Louise Michel
La comune
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PARTE TERZA LA COMUNE

II. Le menzogne di Versailles.

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II.
Le menzogne di Versailles.

Il 19 marzo Brunel andò con la guardia nazionale a prendere la caserma del principe Eugenio. Pindy e Ranvier occuparono il Palazzo di città; mentre si piangeva la morte di Clément Thomas e Leconte, alcune compagnie del centro, dei politecnici e un piccolo gruppo di studenti che fino allora aveva costituito l'avanguardia, il comitato centrale si riunì dichiarando che, essendo spirato il suo mandato, avrebbe tenuto ancora il potere soltanto fino alla nomina della Comune. Oh, se quegli uomini devoti, avessero avuto essi pure un rispetto meno grande della legalità, sarebbe stata nominata «La Comune», rivoluzionariamente, sulla via di Versailles!

I manifesti del comitato centrale esponevano gli avvenimenti del 18 marzo in risposta a quelli del governo che continuava a mentire dinnanzi ai fatti. I battaglioni stessi del centro leggevano con stupore le dichiarazioni di Thiers e de' suoi colleghi che avevano l'aria di non comprendere la situazione; e forse effettivamente non la comprendevano.

REPUBBLICA FRANCESE.

Guardia nazionale di Parigi.

«Si sparge la notizia assurda che il governo prepari un colpo di stato.

«Il governo della Repubblica non può avere altro scopo che la salute della Repubblica. Le misure da esso prese erano indispensabili al mantenimento dell'ordine; esso vuole finirla con un comitato insurrezionale i cui membri, quasi affatto sconosciuti alla popolazione non rappresentano che dottrine comuniste e metterebbero Parigi al saccheggio e la Francia a morte se la guardia nazionale non si levasse per difendere di comune accordo la patria e la Repubblica.

Parigi, 18 Marzo 1871.

«Thiers, Dufaure, Picard, Favre, Simon, ecc.»

Il generale d'Aurelle de Paladine, che da parte sua si immaginava di comandare la guardia nazionale di Parigi, aveva diretto un proclama anch'esso in data del 18 marzo, in cui la invitava a difendere la città, le proprie famiglie, i propri averi.

«Alcuni uomini fuorviati, diceva, mettendosi al disopra delle leggi, non obbedendo che a capi occulti, dirigono contro Parigi i cannoni sottratti ai Prussiani; essi resistono con la forza alla guardia nazionale e all'esercito. Potete voi sopportarli?

«Volete voi, sotto geli occhi dello straniero pronto ad approfittare delle nostre discordie, abbandonare Parigi alla sedizione? Se voi non li soffocate nel sangue è finita per Parigi e forse per la Francia.

«Voi avete le loro sorti nelle vostre mani. Il governo ha voluto che le vostre armi vi fossero lasciate.

«Armatevene con risoluzione per ristabilire il regime delle leggi e salvare la Repubblica dall'anarchia che sarebbe la sua perdita.

«Mettetevi attorno ai vostri capi; è il solo mezzo di sfuggire alla rovina e al dominio dello straniero».

Giove, dicevano gli antichi, acceca coloro che vuol perdere. I fulmini di Versailles non raggiungevano che male il loro fine, non essendo in armonia con la situazione.

Il comitato centrale, in poche parole, rettificò le bugie ufficiali.

LIBERTA, UGUAGLIANZA,
FRATELLANZA.

Repubblica Francese

19 marzo 1871

«Cittadini, il popolo di Parigi ha scosso il giogo che gli si voleva imporre. Calmo, impassibile nella sua forza, esso ha atteso senza timore e senza provocazione i pazzi svergognati che volevano impadronirsi della Repubblica.

«Questa volta, i nostri fratelli dell'armata non hanno voluto alzare la mano su l'arca santa della libertà; grazie a tutti; e tutti e la Francia gettino insieme la base di una Repubblica accettata con tutte le sue conseguenze; il solo governo che saprà arrestare per sempre l'era delle invasioni e delle guerre civili.

«Lo stato d'assedio è tolto, il popolo di Parigi è convocato nelle sessioni per le elezioni comunali; la sicurezza di tutti i cittadini è nelle mani delle guardie nazionali.

Il Comitato Centrale».

Una seconda dichiarazione completa l'esposizione della situazione.

«Cittadini.

«Voi ci avete incaricati di organizzare la difesa di Parigi e dei vostri diritti. Noi abbiamo la coscienza di aver compiuto questa missione, aiutati dal vostro generoso coraggio e dal vostro ammirabile sangue freddo.

«Abbiamo cacciato il governo che ci tradiva. Ora il nostro mandato è finito e ve lo rimettiamo, non volendo prendere noi il posto di coloro che la volontà popolare ha rovesciato.

«Preparate e fate le vostre elezioni comunali; e dateci l'unica ricompensa che noi abbiamo sperato da voi, quella di vedervi stabilire la vera Repubblica. In attesa, noi teniamo per ora il Municipio in nome del popolo francese.

Dal palazzo di città, il 19 marzo 1871

Il Comitato Centrale della G. N.

Poveri amici, nessuno di voi s'accorse che la sola dichiarazione eloquente, era che la rivoluzione terminasse l'opera sua con una vittoria che assicurasse la liberazione. Ma si era tanto infatuati dell'89 e del '93, che se ne usava persino il linguaggio. Ma Versailles parlava un linguaggio ben più antico, assumendo arie di cappa e di spada sotto le quali si scorgeva l'agguato.

La provincia da principio trascurò tali menzogne, ma poco a poco s'ingolfò in queste idee finchè ne fu satura.

Il nano di Transnonain metteva il suo tempo a profitto.

È curioso per lo meno far conoscere alcune delle dichiarazioni di quest'uomo nefasto.

In quella rivolta agli impiegati dell'Amministrazione si spiegò senza tergiversazioni.

«Per ordine del potere esecutivo, siete invitati a recarvi a Versailles per mettervi a sua disposizione. Per ordine del governo nessun oggetto di corrispondenza proveniente da Parigi deve essere avviato o distribuito. Tutti gli oggetti di detta origine che pervenissero al vostro ufficio in dispacci chiusi da Parigi, o d'altra parte, dovranno essere invariabilmente spediti a Versailles». Grazie a quest'ordine eseguito dalle poste di provincia, Thiers potè più tardi accusare la Comune di intercettare le lettere.

Il Journal Officiel, spedito da un punto all'altro della Francia, conteneva questo apprezzamento.

«Il Governo, uscito da un'assemblea nominata per suffragio universale, ha parecchie volte dichiarato di voler fondare la Repubblica.

«Quelli che la vogliono rovesciare sono i partiti del disordine, assassini che non temono di spargere spavento e morte in una città, che non può essere salvata che dalla calma e dal rispetto alle leggi.

«Questi uomini non possono essere che degli stipendiati dal nemico, dal dispotismo. I loro delitti, noi speriamo, solleveranno la giusta indignazione del popolo di Parigi, che sarà capace di infliggere loro il castigo che si meritano.

Il Capo del Potere Esecutivo, Thiers.

Il dispaccio inviato da questo vecchio borghese bilioso al sindaco di Rouen è ancor più esplicito. Essendo fuggito da Parigi, voleva assassinarlo in casa propria, come Pietro Bonaparte sgozzava in camera.

«Il presidente del consiglio del governo, capo del potere esecutivo ai prefetti, generali comandanti le divisioni militari, primi presidenti delle corti d'appello, procuratori, generali, arcivescovi e vescovi.

«Il governo al completo si è riunito a Versailles, e l'assemblea vi si riunisce ugualmente.

«L'esercito in numero di 400.000 uomini vi si è concentrato in bell'ordine, sotto il comando del generale Vinoy.

«Tutte le autorità, tutti i capi dell'armata vi sono giunti: Le autorità civili e militari non eseguiranno nessun altro ordine che quelli del governo regolare, residente a Versailles, sotto pena di essere considerati in istato di ribellione.

«I membri dell'assemblea nazionale sono invitati ad affrettare il loro ritorno per essere presenti alla seduta del 20 marzo. La presente lettera circolare sarà resa di pubblica ragione».

Per rivivere quei tempi bisogna esaminare i documenti, parlare il linguaggio di quel passato di 25 anni, vecchio di mille anni, e ricordare le ingenuità infantili di quest'uomini eroici, che sacrificavano così a buon mercato la loro vita.

Il Comitato centrale credette suo dovere di scolparsi delle calunnie lanciategli contro da quei di Versailles.

Lo si diceva occulto, mentre il nome de' suoi membri era sotto a tutti i manifesti.

E non era certo sconosciuto, giacchè era stato eletto per suffragio di duecento quindici battaglioni. Aveva chiamato ad aiutarlo tutte le intelligenze e tutte le energie.

I suoi membri erano considerati come assassini, eppure non avevano mai firmato una sentenza di morte.

Poco mancò che uno dei più timorati non sostenesse la mozione che il Comitato centrale doveva protestare contro l'esecuzione di Leconte e di Clement Thomas.

Un'apostrofe di Rousseau lo arrestò: – Guardatevi bene dal disapprovare il popolo, e temete che un giorno esso non abbia da disapprovare voi stessi.

Il governo, fuggendo a Versailles, aveva lasciato le casse vuote. Gli ammalati negli ospedali, il servizio di ambulanza e funerario erano senza risorse; gli uffici in disordine. Varlin e Jourde ottennero quattro milioni alla Banca, ma le chiavi erano a Versailles, e non vollero sforzare le casseforti; chiesero allora a Rothschild un credito di un milione che fu pagato alla Banca.

Fu pagata la guardia nazionale, la quale si accontentò di trenta soldi, nella persuasione di fare un sacrificio utile.

Gli ospedali e gli altri servizi ricevettero quanto loro abbisognava, e gli assassini ed i saccheggiatori del comitato centrale cominciarono la stretta economia che doveva durare fino all'ultimo, continuata dai banditi della Comune.

Una dichiarazione collettiva di parecchi giornali, nella persuasione che la convocazione degli elettori era un atto di sovranità popolare, ma che non poteva aver luogo senza il consentimento dei poteri usciti dal suo seno stesso per effetto del suffragio universale, pur riconoscendo il 18 marzo come una vittoria del popolo, tentarono un accordo fra Parigi e Versailles. Tirad, Desmarets, Vautrin, Dubail si recarono al municipio del primo dipartimento, dove era rimasto Giulio Ferry. Costui li rimandò da Handilé, segretario di G. Favre, il quale dichiarò non voler trattare con la rivolta. Millière, Malon, Clemenceau, Toubain, Pourier e Villeneuve chiesero al Comitato centrale di sottomettersi senza lotta e senza intervento prussiano alla municipalità che si impegnava a fare in modo che le elezioni consigliari fossero fatte liberamente, essendo abolita la prefettura di polizia e il comitato centrale riservandosi di mantenere la sicurezza in Parigi.

Varlin, presidente della seduta, al comitato centrale, rispose che il governo era stato l'aggressore, ma che il comitato centrale la guardia nazionale desideravano la guerra civile.

Varlin, Jourde, e Moreau accompagnarono i delegati al Consiglio della Banca, dove discussero senza potersi intendere, non potendo il Comitato centrale abbandonare il proprio posto. Così fino al 23 i giorni passarono in inutili abboccamenti: il 23 alla seduta della Assemblea, Millière, Clemenceau, Malon, Locheroy e Tolain, andarono a reclamare le elezioni municipali per Parigi.

Non si può avere un'idea di quando fu detto e fatto, meglio che leggendo la memoria di uno dei delegati, Malon.

«Io lascio il Palazzo dell'assemblea sotto il colpo della più dolorosa emozione. La seduta è terminata con una di quelle spaventose tempeste parlamentari, di cui solo gli annali della Convenzione ci han tramandato il ricordo: tuttavia quando si rileggono queste pagine tristi della storia nostra sul finir del secolo passato, si pensa che le loro conseguenze possono consolarmi sempre di quei tragici eventi del dramma. La patria, la Repubblica escono fatte più grandi da queste crisi, e la lotta più tormentosa vita spesso alla più eroica risoluzione.

«Ma nulla di simile potrete trovare in queste mie memorie. Le due prime tribune di destra della Galleria si aprono, gli spettatori che le affollano, si alzano ed escono, tredici sindaci di Parigi con la sciarpa a tracollo entrano. Subito su tutti i banchi di sinistra scoppiano applausi frenetici e grida nudrite di: «Viva la Repubblica!» qualcuno grida anche: «Viva la Francia!».

«Allora su alcuni banchi di destra è un vero furore; si urla all'attentato, si minacciano a pugni tesi i sindaci. Molti deputati si lanciano verso la tribuna dove si scalmana ancora il malcapitato Baze; si mostrano i pugni al presidente: il tumulto è spaventoso, indescrivibile.

«Infine, senza dubbio per spossatezza, il vocìo si calma, l'estrema destra si copre e comincia ad uscire. Il presidente che aveva suonato il campanello dall'arrivo, durante questa tempesta, si mette il cappello e dichiara tolta la seduta, l'ordine del giorno essendo esaurito. L'agitazione è al colmo, nelle tribune che si sgombrano lentamente.

«Quei poveri diavoli di sindaci restavano , in piedi, col fare imbarazzato, la fisionomia desolata. Arnaud de l'Ariège li raggiunge, ed essi escono per gli ultimi.

«All'uscita vedo parecchie signore della migliore società, distinte e di gran cuore che piangono per lo spettacolo miserando al quale hanno assistito. E come io le comprendo: con tutte le nostre lacrime bisognerebbe scrivere la lugubre pagina di storia che noi facciamo. Così la gente di Versailles, comprendeva e voleva la riconciliazione».

– Voi porterete la pena di ciò che avverrà, grida Clemenceau all'assemblea; e Floquet aggiunge: Quelli sono pazzi! Erano pazzi davvero, folli di paura per la rivoluzione. Ma non era forse ben fatto per costoro che andavano in cerca di questi arrabbiati, un simile ricevimento?

La maggioranza dei sindaci tentò un ultimo accomodamento che non attecchì.

Mentre però si trattava questo accordo, Langlois riuniva i battaglioni e li accuartierava al grand'Hotel.

L'ammiraglio Saisset, avendo fatta confermare la sua nomina a Versailles, fece proclamare la stabilità della Repubblica; le franchigie municipali, le elezioni a breve termine, una legge sulle scadenze e sugli affitti.

Non vi sembra di vedere un ministero spagnuolo legiferare su l'indipendenza di Cuba, con Weyler capo di stato maggiore?

Il 25 maggio una lettera dei deputati di Parigi letta all'assemblea di Versailles, supplicava il governo, di non lasciare più lungamente la città senza consiglio comunale; ma essa rimase senza risposta.

Le trattative continuarono fra il comitato centrale e i sindaci. Il comitato capiva che ogni tentativo di riconciliazione era inutile: i sindaci si accordarono tra di loro e col comitato centrale.

Dichiarazione dei Sindaci e dei deputati di Parigi, riuniti in consiglio a Saint Germain, il 25 marzo 1871.

«I deputati di Parigi, i sindaci e assessori, reintegrati nei municipi dei propri dipartimenti, e i membri del consiglio centrale federale della guardia nazionale, convinti che il solo mezzo di evitare la guerra civile, lo spargimento di sangue a Parigi, e nel medesimo tempo di affermare la Repubblica, è quello di procedere alle elezioni immediate, convocano per domani domenica tutti i cittadini nei loro collegi elettorali.

«Gli uffici saranno aperti alle otto del mattino e chiusi a mezzogiorno.

Viva la Repubblica!

Appena questo manifesto fu reso pubblico, Thiers fa telegrafare in tutta la Francia, secondo il suo modo ordinario di provocazione e di menzogna.

«La Francia, decisa e indignata, si stringe attorno al governo dell'assemblea nazionale per reprimere l'anarchia che tenta di dominare Parigi.

«Un accordo, al quale il governo è rimasto estraneo, si è stabilito fra la pretesa Comune e i sindaci per promuovere le elezioni. Queste saranno fatte senza libertà e quindi senza autorità morali.

«Che il paese non se ne preoccupi ed abbia fiducia. L'ordine sarà ristabilito a Parigi e altrove».

Mentre Thiers e i suoi complici propagavano queste falsità, il comitato centrale, aiutato da qualche ardente rivoluzionario, come Eudes, Vaillant, Ferrè, Varlin, pensava a tutto e il Giornale Ufficiale pubblicava a Parigi le seguenti misure:

«Lo stato d'assedio è levato nel dipartimento della Senna. – I consigli di guerra dell'esercito permanente sono aboliti. – Amnistia piena e intiera è accordata per i delitti politici. – È quindi ingiunto ai direttori di carcere di rilasciare in libertà immediatamente tutti i detenuti politici.

«Il nuovo governo della Repubblica, prende possesso di tutti i ministeri e di tutte le amministrazioni.

«Questa operazione fatta dalla guardia nazionale impone ai cittadini che hanno accettato questo incarico, dei grandi doveri.

«L'armata, comprendendo infine la posizione che le era stata creata, e i doveri che le incombevano, ha fraternizzato con i cittadini: truppe di linea, territoriali e marinai, si sono unite per l'opera comune.

«Sappiamo dunque trar profitto di questa unione per rafforzare le nostre file, ed una volta per sempre basare la Repubblica su fondamenta serie e indistruttibili.

«Che la guardia nazionale, coll'aiuto delle truppe di linea e territoriali continui a fare il suo servizio con coraggio e devozione. Che i battaglioni di marcia, di cui i quadri sono ancora completi, occupino i forti e tutte le posizioni, avanzate, per assicurare la difesa della capitale.

«I municipi dei dipartimenti, animati dallo stesso zelo e dal medesimo patriottismo della guardia nazionale e dell'armata si sono riuniti per assicurare la salvezza della Repubblica e preparare le elezioni del consiglio comunale, che stanno per aver luogo. Nessuna divisione, unità perfetta e libertà piena ed intera

Il Comitato centrale della Guardia nazionale».


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