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IV.
Proclamazione della Comune.
Ils étaient là debouts, prêts pour le sacrifice.
La proclamazione della Comune fu splendida. Non era la festa del potere, ma la cerimonia del sacrificio: si sentiva che gli eletti erano votati alla morte. Il pomeriggio del 28 marzo, sotto un sole magnifico che ricordava l'alba del 18, il 7 germinale, anno 79 della repubblica, il popolo di Parigi che il 26 aveva eletto la propria Comune, inaugurò la sua entrata nel palazzo di città.
Un oceano umano sotto le armi, le baionette ritte e spesse come le spiche di un campo; lo squillare delle trombe e i tamburi che rullavano sordamente, battuti dai due inimitabili tamburini di Montmartre, quegli stessi che nella notte in cui entrarono i Prussiani svegliarono Parigi: le bacchette spettrali e i loro pugni di acciaio evocavano suoni strani.
Ma questa volta le campane erano mute: il rombar pesante dei cannoni, ad intervalli regolari, salutava la rivoluzione. E le baionette si abbassavano davanti alle bandiere rosse, che a gruppi circondavano la statua della Repubblica. In alto un gran vessillo rosso. I battaglioni di Montmartre, Belleville, La Chapelle hanno le loro bandiere sormontate dal berretto frigio: si direbbero le reclute del 93.
Negli squadroni, soldati di ogni arme, rimasti in Parigi: fanteria, marina, artiglieria, zuavi.
Le baionette sempre più fitte occupano anche le vie laterali; la piazza è piena: sembra un campo di grano. Quale sarà la messe?
Tutta Parigi è in piedi: il cannone a intervalli tuona. In una tribuna sta il comitato centrale: davanti i membri della Comune, tutti con la sciarpa rossa. Poche parole fra un colpo e l'altro dell'artiglieria. – Il Comitato dichiara scaduto il proprio mandato, e rimette il potere alla Comune. Si fa l'appello degli eletti. Un urlo immenso si eleva: «Viva la Comune». – I tamburi battono a battaglia, i cannoni rompono i raggi del sole.
– In nome del Popolo – dice Ranvier – la Comune è proclamata!
Tutto fu grandioso in questo prologo della Comune la morte doveva segnarne l'apoteosi. Non discorsi: ma un grido solo, immenso: Viva la Comune!
Tutte le musiche suonano la Marsigliese e il Canto della partenza. Un uragano di voci ne ripete il ritornello. Tanti vecchi abbassano la testa verso terra: si direbbe che ascoltino la voce dei martiri della libertà. Sono gli uomini di giugno e di dicembre; alcuni già tutti bianchi, alcuni del 1830, Mabile, Malezieux, Cayol.
L'unico potere che avrebbe potuto far qualcosa era la Comune, composta d'uomini d''intelligenza, di coraggio, di onestà a tutta prova, i quali tutti avevano dato incontestabili prove di devozione e di energia. Il potere invece li annientò, non lasciando loro che un'indomabile volontà per il sacrificio: seppero morire eroicamente. Ma il potere è maledetto, e per questo io sono anarchica.
La sera stessa del 28 marzo, la Comune tenne la sua prima seduta, inaugurata con atto degno della grandezza di quel giorno: fu deciso infatti, per evitare questioni personali, nell'ora in cui gli individui dovevano entrare nella massa rivoluzionaria, che i manifesti non avrebbero portato altra firma che questa: La Comune.
Fin da questa prima seduta, alcuni non vollero compromettersi oltre, e dettero le loro immediate dimissioni. E siccome queste dimissioni obbligavano a delle elezioni complementari, così Versailles potè mettere a profitto il tempo che Parigi perdeva intorno alle urne.
Ecco la dichiarazione fatta alla prima seduta della Comune:
«La nostra Comune è costituita: il voto del 26 marzo sanziona la Repubblica vittoriosa.
«Un potere vigliaccamente oppressore vi aveva preso alla gola, voi dovevate nella nostra legittima difesa respingere questo governo che voleva disonorarvi, imponendovi un re. Oggi i delinquenti, che voi non avete voluto neppure perseguitare, abusano della vostra magnanimità per organizzare alle porte della città un focolare di cospirazione monarchica; invocano la guerra civile, mettendo in opera tutte le corruzioni, accettando tutte le complicità, osando mendicare persino l'appoggio dello straniero.
«Noi ci appelliamo, contro questi raggiri, al giudizio della Francia e del mondo.
«Cittadini, voi ci avete dato degli statuti che sfidano tutti i tentativi. Voi siete padroni del vostro destino; e forte del vostro appoggio, la rappresentanza che avete eletta riparerà ai disastri causati dal potere caduto.
«L'industria compromessa, il lavoro sospeso, i trattati di commercio paralizzati stanno ora per ricevere nuovo vigoroso impulso. Fin da oggi è stabilita l'attesa deliberazione sugli affitti, domani avrete quella sulle scadenze.
«Tutti i servizi pubblici ristabiliti e semplificati.
«La guardia nazionale, ormai unica forza armata a difesa della città, sarà organizzata. senza indugio.
«Questi saranno i nostri primi atti.
«Gli eletti dal popolo altro non domandano, per il trionfo della Repubblica, che di essere sostenuti dalla vostra fiducia.
«Quanto ad essi, faranno il loro dovere.
«La Comune di Parigi, 28 Marzo 1871
Fecero difatti il loro dovere, occupandosi di tutto quanto poteva assicurare la vita della folla, ma la prima sicurezza avrebbe dovuto essere quella di vincere la reazione.
Mentre la fiducia rinasceva in Parigi, i topi di Versailles rodevano la carena della nave.
Altre dimissioni ebbero luogo ancora per motivi diversi.
Alcune commissioni erano state formate fin dai primi giorni, senza essere definitive; e secondo le loro attitudini i membri di una Commissione passavano in un'altra. La Comune era divisa fra una maggioranza ardentemente rivoluzionaria, ed una minoranza socialista che talvolta si fermava troppo a sofisticare, dato il tempo ristretto; ma la paura di prendere delle misure dispotiche o ingiuste, le conduceva ad una stessa conclusione.
Uno stesso amore per la rivoluzione rese uguale il loro destino. Anche la maggioranza sa morire! esclamava qualche settimana dopo Ferré, abbracciando Delescluze morto.
I membri della Comune eletti nelle elezioni complementari furono: Cluseret, Pottier, Johannard, Andrieu, Serailler, Lenguet, Pillot, Durand, Sicard, Philippe, Lonelas, A. Dupont, Pompée, Viard, Trinquet, Courbet, Arnold.
Rogeart e Brione non ne vollero far parte per suscettibilità sul numero dei voti ottenuti: erano veramente, questi uomini del 71, dei candidati ben diversi dagli altri. Menotti Garibaldi fu eletto, ma non accettò, ancora accorato, forse, di quanto aveva fatto l'assemblea di Bordeaux, dove Garibaldi era stato coperto di fischi, mentre offriva alla Repubblica i propri figli.
Qualunque cosa avvenga, dicevano i membri della Comune e le guardie nazionali, il nostro sangue segnerà profondamente questa tappa.
E la segnò infatti, e così profondamente che la terra ne fu saturata; vi aprì degli abissi che sarebbe difficile superare, per ritornare indietro.