Louise Michel
La comune
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PARTE TERZA LA COMUNE

VI. L'attacco di Versailles. La fine di Flourens narrata da Cipriani.

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VI.
L'attacco di Versailles.
La fine di Flourens narrata da Cipriani.

Come si era voluto legalizzare colle elezioni la nomina dei membri della Comune, si voleva attendere l'attacco di Versaglia sotto pretesto di non provocare alla guerra civile sotto gli occhi del nemico, come se il solo nemico dei popoli non fosse i loro tiranni!

Quando i generali, questa volta attenti, giudicarono che non mancava un bottone ad una ghetta il filo ad una sciabola, Versaglia attaccò.

Tutte le mute di schiavi urlanti il loro dolore si legarono ai loro padroni.

L'abitudine di attendere degli ordini è tanta ancora presso il gregge umano che coloro che avevano gridato il 19 marzo a Versaglia, a Montmartre e a Belleville e che sarebbero stati un grande esercito ardente, non ebbero l'idea di armarsi in qualche modo, di unirsi e di partire. Chi sa se in simile occasione non succederà ancora lo stesso?

Il 2 aprile, verso le sei del mattino, Parigi fu svegliata dal cannone.

Si credè in principio a qualche festa dei Prussiani che circondavano Parigi, ma bentosto la verità fu conosciuta. Versaglia attaccava.

Le prime vittime furono le allieve di un pensionato di Neuilly, nella porta di una chiesa ove senza dubbio esse erano andate a pregare per Thiers e per l'Assemblea nazionale.

Il cannone colpiva a caso: il Dio dei sanguinarii ha l'abitudine di conoscere i suoi, specialmente quando non è più in tempo.

Due corpi d'armata in marcia verso Parigi, uno per Montretout e Vaucresson, l'altro per Rueil e Nanterre, si riunirono alla rotonda di Bergers, sorpresero e sgozzarono i Federati a Courbevoie. Dopo essersi dapprima ritirati, i federati superstiti, sostenuti dai tiratori garibaldini, ripresero l'offensiva. La sera stessa Courbevoie era di nuovo occupata. Vi si trovarono allineati sul corso i cadaveri dei prigionieri.

Questa volta la sortita fu immediatamente decisa: gli eserciti della Comune si misero in marcia il 3 aprile alle 4 del mattino.

Bergeret, Flourens e Ranvier comandavano l'ala verso Monte Valeriano, che essi credevano sempre neutrale; Eudes e Duval la colonna che si spingeva a Clamart e Meudon: si andava a Versailles.

Ad un tratto il forte si avvolge di fumo: la mitraglia piove sui federati. Qui occorre dire come il comandante di Monte Valeriano avendo promesso a Lullier, delegato dal Comitato Centrale, di mantenere neutrale questo forte, si era affrettato a renderne avvisato Thiers. Costui, affinchè un ufficiale dell'armata francese non mancasse alla parola data, l'aveva sostituito con uno che non aveva nulla promesso: era quest'ultimo che la mattina aveva aperto il fuoco.

La piccola armata, sotto il comando di Flourens, che aveva come capo di Stato Maggiore Cipriani, si divise al Ponte i Neuilly: Flourens si diresse per Puteaux verso Montretout, e Bergeret per l'Avenue de Saint Germain verso Nantérre. Dovevano riunirsi a Rueil, con circa quindici mila uomini, e non ostante la catastrofe di Monte Valeriano, la maggior parte dei Federati continuarono la loro marcia verso il punto di concentramento.

Alcuni, sparsi nei campi attorno a Monte Valeriano, ritornarono soli a Parigi: i due corpi d'armata si incontrarono a Rueil, ove sostennero il fuoco di Monte Valeriano, che tuonava continuamente.

Solamente quando la terra fu seminata di cadaveri, i superstiti si sbandarono.

I Versagliesi puntarono una batteria al Rondò di Courbevoie e di mitragliavano il ponte di Neuilly.

Un gran numero di federati era stato fatto prigioniero.

Gallifet, nello stesso momento in cui Versailles apriva il fuoco, inviava questa circolare che non lascia alcun dubbio nelle intenzioni sue e del governo:

«La guerra è stata dichiarata dalle bande di Parigi.

«Ieri ed oggi esse mi hanno ucciso i miei soldati!

«È dunque una guerra senza tregua e senza pietà che io dichiaro a quegli assassini.

«Ho dovuto dare un esempio questa mattina: che esso sia proficuo. Desidero non essere costretto un'altra volta a simili necessità.

«Non dimenticate perciò che il paese, la legge, il diritto sono a Versailles e in seno all'Assemblea generale, e non con quella grottesca assemblea che si intitola Comune.

3 Aprile 1871.                                                 Gallifet».

Gallifet scriveva questo proclama al municipio di Rueil, ancora grondante del sangue del quale si era coperto.

Il banditore che lo leggeva, fra due rulli di tamburo, per le vie di Rueil e di Chatou, aggiungeva per ordine superiore: «Il presidente della commissione municipale di Chatou, previene gli abitanti, nell'interesse della loro incolumità, che coloro i quali daranno asilo ai nemici dell'assemblea, si renderanno passibili della legge marziale». Il presidente era Laubeuf.

E i bravi abitanti di Chatou, di Rueil e di altri paesi, tenendosi la testa con le due mani, per accertarsi ch'essa stava ancora nelle spalle, spiavano se passasse a caso qualche fuggitivo per consegnarlo a Versailles.

Il corpo d'armata di Duval combatteva fin dal mattino contro i distaccamenti dell'esercito regolare, uniti a dei poliziotti: e non piegò in ritirata su Chatilion che dopo un vero massacro.

Duval, due suoi ufficiali, e parecchi federati, fatti prigionieri furono quasi tutti fucilati la mattina dopo, insieme ad alcuni soldati passati alla Comune, ai quali prima dell'esecuzione venivano strappati i galloni.

La mattina del 4 aprile la Brigata Deroja e il generale Pellé occupavano il piazzale di Pluteaux. Dietro promessa di aver salva la vita, fatta dal generale, i federati stretti d'ogni parte si arresero: i soldati regolari riconosciuti sono però subito fucilati, gli altri mandati a Versailles coperti di contumelie.

In cammino Vinoy li incontra, e non osando fucilarli tutti dopo la promessa di Pellé, domanda se si trovino fra essi dei capi.

Duval si fa avanti. – Io! dice.

Il suo capo di stato maggiore e il comandante dei volontari di Montrouge, escono dai ranghi e vanno a mettersi al fianco di Duval.

– Siete delle schifose canaglie! urla Vinoy e comanda che siano fucilati.

E gli eroi si allineano addossati ad un muro, si stringono la mano e cadono gridando: Viva la Comune!

Un versagliese ruba le scarpe di Duval e se le mette: l'abitudine di scalzare i morti della Comune era generale nell'armata di Versailles.

Il giorno dopo Vinoy commentava: «I federati si sono arresi a discrezione: il loro capo, un certo Duval, fu ucciso nella mischia!», e un'altro aggiungeva «Questi briganti muoiono con un certo coraggio!»

Delle donnacce sporche, ebbre di ferocità, vestite lussuosamente, e giunte non si sa d'onde, apparvero sin dai primi scontri, al seguito dell'armata di Versailles; insultavano i prigionieri e con la punta delle loro ombrelle sgusciavano gli occhi agli uccisi.

Avide di sangue come tigri, erano in preda ad una rabbia in micidiale: ce n'era d'ogni razza, scese con immondi appetiti, pervertite attraverso i vari gradi della società, erano mostruose e irresponsabili come lupe.

Fra gli assassini di Parigi fatti prigionieri, dei quali Versailles salutò l'arrivo con urla di morte, c'era il geografo Eliseo Reclus. Costui con de' suoi compagni fu mandato a Satory, donde furono spediti ai pontoni su carri bestiame. Ma nessuno era stato così ingannato quanto i soldati, carne da menzogne quanto da cannone; tutti quelli che erano a Versailles avevano la fantasia piena delle favole di brigantaggio e di convivenza con i Prussiani, in aiuto dei quali l'armata fu adibita a lavori di una rozzezza incredibile.

Il racconto degli ultimi momenti e della morte di Flourens, mi fu fatto a Londra l'anno scorso da Ettore France, il quale, ultimo dei nostri compagni, vide Flourens mentre era ancor vivo, e da Amilcare Cipriani, suo compagno d'armi, e solo testimonio della sua morte.

I particolari strazianti dati da Cipriani sugli ultimi istanti di Flourens, formano la seconda parte dell'Odissea lugubre di lui. Dice infatti Cipriani:

«Non è della sua vita che io mi occupo, ma della sua morte, vero assassinio commesso freddamente dal capitano di gendarmeria Desmarets.

«Era il 3 aprile 1871. La Comune di Parigi aveva deciso una sortita in massa contro i soldati della reazione che non cessavano di fucilare i federati presi fuori di Parigi: Flourens aveva ricevuto l'ordine di recarsi a Chatou, attendervi Duval e Bergeret, che dovevano attaccare i Versagliesi a Châtillon; far quindi un corpo solo d'armata, marciare su Versailles e sloggiarvi i traditori.

«Flourens arrivò a Chatou verso le tre pomeridiane: seppe della sconfitta di Duval e di Bergeret a Châtillon e al ponte di Neuilly.

«Duval, fu preso e fucilato: e questo disastro rendeva la posizione di Flourens non solamente difficile, ma insostenibile.

«Sulla sua sinistra i federati in fuga ed inseguiti dall'esercito con un movimento aggirante. Tentavano di accerchiarci.

«Dietro noi il forte di Monte Valeriano, che per la credulità di Lullier era caduto in mano dei nemici ci mitragliava senza tregua. – Era necessario uscire da Chatou e ripiegare su Nanterre: se non vogliamo essere tagliati fuori e presi come in trappola, bisogna pensare un'altra linea di battaglia, che ci liberasse di sorpresa.

«I Federati avendo marciato tutto il giorno erano stanchi ed affamati: non era in quello stato che si poteva, alle tre dopo mezzogiorno, attaccare battaglia con un nemico reso fiero dai successi di Châtillon.

«Tutto dunque esigeva che ripiegassimo su Nanterre, per potere la mattina dopo, con delle truppe fresche arrivate da Parigi, impadronirci delle alture di Buzenval e Montretout e marciare su Versailles.

«Io come amico di Flourens e come capo di Stato Maggiore della colonna, sottomisi questo piano a Flourens e a Bergeret: quest'ultimo approvò; Flourens rispose: Io non batto in ritirata.

«Replicai: – Non è una ritirata, e tanto meno una fuga: è una misura di prudenza, che ci è imposta per tutto quello che vi ho già detto.

«Mi rispose con un segno, affermativo del capo.

«Pregai Bergeret di prendere la testa della colonna, Flourens il centro: io sarei rimasto l'ultimo per fare evacuare Chatou.

«Tutta la colonna era in marcia: tornai sotto l'arcata della ferrovia, dove già mi ero intrattenuto con Bergeret e Flourens: trovai costui sempre a cavallo, allo stesso posto, pallido, abbattuto, taciturno,

«Alla mia esortazione di mettersi in marcia, rifiutò, scese da cavallo, consegnò la sua montura ad alcune guardie nazionali che erano , e si mise a camminare lungo la riva del fiume.

«Gli feci osservare che nella mia duplice qualità di amico suo intimo e come capo di stato maggiore della colonna non potevo dovevo abbandonarlo in una strada che stava per essere occupata dall'esercito di Versailles, e che ero ben deciso a non abbandonarlo, che sarei rimasto o partito con lui.

«Affaticato, si stese sull'erba e si addormentò profondamente. Seduto accanto a lui, io vedeva i cavalleggeri di Versailles caracollare nella pianura ed avanzarsi verso Chatou.

«Era mio dovere di tentare ogni cosa per salvare l'amico e il capo amato dalla folla.

«Lo svegliai e lo pregai di non restar a farsi catturare come un bambino.

« – Il vostro posto non è qui, gli dissi, ma alla testa della vostra colonna: se siete stanco della vita, fatevi uccidere domattina, nella battaglia che daremo alla testa degli uomini che vi hanno seguito fin qui per simpatia, per amore. Dite voi che non volete ritirarvi; ma la diserzione è peggiore di una semplice ritirata. Ritirandovi qui, voi disertate, fate peggio. Voi tradite la Rivoluzione che tutto attende da voi!

«Si rialzò, mi abbracciò: – Andiamo! disse.

«Andarsene era facile dirlo, ma difficile farlo senza essere visti e scoperti dai soldati versagliesi, che circondavano quasi il villaggio dove noi eravamo. Bisognava nascondersi ed aspettare la notte per raggiungere le nostre truppe a Nanterre.

«Rientrati a Chatou, entrammo in una casupola, una specie di osteria, circondata da un terreno incolto, che portava il numero 21. Domandammo alla padrona se aveva una camera da cederci: ci condusse al primo piano.

«I mobili erano semplicemente un letto e un comodino, in mezzo una piccola tavola.

«Appena entrati Flourens gettò sul comodino la sciabola, la pistola e il kepì, si buttò sul letto e si addormentò. Io mi misi alla finestra, per spiare, tenendo chiuse le finestre. Pochi momenti dopo svegliai Flourens per chiedergli il permesso di mandare qualcuno ad esplorare se la strada di Nanterre era sgombra. Acconsentì: feci salire la padrona, e le domandai se poteva indicarmi qualcuno che volesse fare quel viaggio.

– Ho mio marito! rispose.

Fatelo salire, risposi.

«Era, credo, un contadino: lo pregai di assicurarsi se la via per Nanterre era libera, e di tornare subito a portarci una risposta, promettendogli venti lire per il suo disturbo. Questo uomo si chiamava Lecoq. Se ne andò, ed io ripresi il mio posto dietro le persiane.

«Cinque minuti dopo vidi sbucare dalla destra di un vicoletto, che dava sulla strada di Nanterre, un ufficiale di stato maggiore che guardava attentamente verso la parte ove eravamo noi.

«Comunicai la cosa a Flourens, e ripresi il mio posto di osservazione alla finestra.

L'ufficiale era scomparso. Dopo qualche minuto, dalla stessa parte, vidi giungere un gendarme: poi, venendo verso il nostro nascondiglio, senza esitazione, si sporse fuori verso il terriccio incolto, che si stendeva davanti la casa, per vedere nella medesima strada una quarantina di gendarmi che lo seguivano. Corsi da Flourens e gli dissi: – I gendarmi sono qui davanti alla casa.

«– Che fare? disse; non ci arrenderemo.

«Poca cosa! risposi; occupatevi della finestra, io mi incarico della porta, e presi la maniglia con la sinistra e la rivoltella con la destra.

«Nello stesso istante qualcuno dal di fuori tentava di entrare. Apersi e mi trovai di fronte un gendarme che puntava su di me. Senza lasciargli il tempo di tirare, gli scaricai una palla, in pieno petto. Ferito si scaraventò giù dalle scale gridando aiuto. Lo inseguii nella sala terrena mi trovai in mezzo ad altri gendarmi che salivano. Fui atterrato a colpi di baionetta e di calci di fucile.

«Avevo la testa ammaccata in due posti, la gamba dritta rovinata dalle baionettate, il braccio quasi rotto, una costola sfondata, il petto coperto di ferite; perdevo sangue dalla bocca, dalle orecchie, dal naso: ero mezzo morto.

«Mentre mi conciavano così, alcuni soldati erano saliti ed avevano arrestato anche Flourens. Non l'avevano riconosciuto.

«Passandomi davanti e vedendomi steso a terra coperto di sangue, esclamò: Povero mio Cipriani!

«Mi fecero levare e seguire il mio compagno. Lo fecero fermare sull'uscio di casa ed io restai fra i soldati, all'entrata dell'orticello.

«Perquisirono Flourens, e gli trovarono in tasca una lettera o un dispaccio indirizzato al general Flourens.

«Fin qui egli era stato trattato con certo riguardo, ma la cosa cambiò subito.

«Fu un grido selvaggio, una sequela di insulti. – Ecco Flourens! ora l'abbiam preso! non ci scappa più!

«Arrivava allora un capitano dei gendarmi a cavallo. Avendo chiesto chi era il prigioniero, gli fu risposto con grida selvagge: – È Flourens!

«Stava costui, dritto, fiero, con la bella testa scoperta, e le braccia incrociate sul petto.

«Il capitano di gendarmeria aveva Flourens alla sua destra. Bruscamente ed altezzosamente gli chiese:

«– Siete voi Flourens?

«– Sì, rispose egli.

«– Siete voi che avete ucciso i miei soldati?

«– No, rispose ancora Flourens.

«– Mentitore, gridò quel furfante, e con un colpo di sciabola, con l'abilità di un carnefice, gli spaccò in due la testa; poi si allontanò di galoppo. L'assassino di Flourens si chiamava capitano Desmarets.

«Flourens si dibatteva in terra penosamente; un soldato sghignazzando disse: – A me, ora gli faccio saltar il cervello, e gli puntò il fucile nell'orecchio: Flourens non si mosse, era morto!

«Qui dovrei far punto; ma altri oltraggi aspettavano a Versailles il cadavere di questo grande pensatore rivoluzionario, ai quali non crederei, se non li avessi visti coi miei propri occhi.

«Condurrò il lettore a Versailles, la città infame e maledetta, per raccontare gli avvenimenti fino all'ora in cui fui separato dal cadavere di Flourens.

«L'amico mio aveva cessato di soffrire: la mia tortura cominciava allora.

«Allontanatosi l'assassino di Flourens, io restai in balia dei soldati che urlavano come iene intorno a me!

«Mi fecero alzare, e mi collocarono ritto di fianco al cadavere di Flourens.

«Uno dei gendarmi ebbe l'idea di parlarmi: avendogli risposto con orrore e disgusto fece cadere sulle mie spalle una pioggia di colpi e di insulti. Questo contrattempo mi salvò la vita.

«Un sott'ufficiale passando chiese ch'io fossi!

«– È l'aiutante di campo di Flourens! – risposero, dando a me questo titolo per cui sono conosciuto.

«– Questo disgraziato, replicò il sott'ufficiale, indicando Flourens, non qui bisognava ammazzarlo, ma a Versailles.

«Poi volgendosi a me: – Legate questo mariuolo come si deve, lo fucileremo domani a Versailles con tutte le altre canaglie che abbiamo fatto prigioniere.

«Fui infatti incatenato come egli avea comandato; mi buttarono su un carretto con del letame e sulle gambe mi gettarono il cadavere del mio povero amico.

«Ci mettemmo in marcia per Versailles, in mezzo ad uno squadrone di carabinieri a cavallo.

«La notizia dell'arrivo di Flourens ci aveva preceduto. Ci fermammo in mezzo ad una folla ubbriaca e feroce che urlava: A morte, a morte!

«Alla prefettura fui chiuso in una camera col cadavere di Flourens ai miei piedi. Delle donne elegantemente vestite, in compagnia quasi sempre di ufficiali dell'esercito, venivano gaie e sorridenti a vedere il cadavere di Flourens: non faceva loro più paura. Con modi infami e vigliacchi, con la punta dell'ombrellino facevano schizzare il cervello di questo martire.

«Nella notte fui separato per sempre dalla salma sanguinante di questo povero e caro amico, e rinchiuso nelle cantine.

«Così fu assassinato, e da morto oltraggiato Gustavo Flourens dai banditi di Versailles».

Amilcare Cipriani.

Ebbe forse Flourens la visione dell'ecatombe dopo i primi orrori commessi a Versailles dall'armata? Pensò anch'egli che gli uomini della Comune, come lui fiduciosi, generosi, ardenti nelle lotte eroiche, erano vinti già prima per i tradimenti, per l'infame politica di menzogne seguita dal governo?

In questa sortita io faceva parte del 61° battaglione di marcia di Montmartre, corpo d'armata di Eudes, ed avrei potuto convincermi, se già non ne fossi stata convinta, che la paura di morire, quella di dar la morte, ma la voce dell'idea attraverso lo spettacolo grandioso di una lotta armata resta in mente.

Impadronitici di Molineaux, si entrò nel forte d'Issy, ove uno di noi ebbe la testa fracassata da un obice.

Eudes e il suo stato maggiore si stabilirono nel convento dei Gesuiti d'Issy. Due o tre giorni dopo con lo stendardo rosso al vento, vennero a trovarci circa venti donne, tra le quali ricordo Beatrice Excoffons, Malvina Poulain, Marianna Fernandez, le signore Gullé, Danguet, Quartier.

Vedendole arrivar così, i federati riuniti al forte, le salutarono. Seguendo l'appello che noi avevamo lanciato sui giornali, quelle donne curarono i feriti sul campo di battaglia e spesso raccoglievano il fucile di un morto e combattevano. Vi furono così parecchie vivandiere: Maria Schmid, la signora Lachaise, Vittorina Rouchy. Furono così messe all'ordine del giorno una cantiniera, che aveva avuto i suoi figli uccisi, uccisa essa stessa come un soldato, e tante altre, che se si nominassero tutte il volume raddoppierebbe.

Io stavo spesso insieme alle infermiere venute a trovarci ad forte d'Issy, ma più volentieri con i miei camerati di compagnia di marcia; avendo cominciato con essi ci restai, e credo di non essere stata un cattivo saldato.

La nota del giornale ufficiale della Comune, a proposito della presa di Molineaux, il 3 aprile, dice esattamente così: – Nelle file del battaglione combatteva una donna energica, che uccise diversi gendarmi e guardiani della pace.

Allorchè il 61° rientrava per qualche giorno io non avrei voluto per niente al mondo lasciare i compagni di marcia, e dopo il 3 aprile fino alla settimana di maggio io non fui a Parigi che due volte una mezza giornata. Così io ho avuto per compagno d'arme i figli sedenti nelle alte brughiere, gli artiglieri a Issy e a Neully, i conduttori di Montmartre, così io vidi come furono brave le armate della Comune, come i miei amici Eudes, Ranvier, La Cecilia, Dambwroski, valutarono poco la loro vita.


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