Louise Michel
La comune
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PARTE TERZA LA COMUNE

VII. Ricordi.

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VII.
Ricordi.

Une fanfare sonne au fond du noir mystère
Et bien d'autres y vont que je retrouverai.
Ecoutez, on entend des pas lourds sur la terre;
C'est une étape humaine, aver ceux j' irai.

(L. M. Le Voyage).

Io avevo scritto da principio questo volume senza raccontar nulla di me: poi per consiglio di amici, vi ho aggiunto qualche episodio personale, malgrado la ripugnanza mia: poi in me s'è prodotto un effetto tutto opposto. Procedendo nella narrazione, io ho sentito, vivo il desiderio di rivivere quel tempo di lotta per la libertà, tempo che assorbì tutta la mia esistenza, ed al quale oggi m'è caro riportarmi con la fantasia.

Io guardo in fondo ai miei ricordi come in una serie di quadri, dove passano in folla migliaia di esistenze umane scomparse per sempre. Eccoci al Campo di Marte, le armi in fascio: la notte è bella. Verso le tre del mattino si parte, con la speranza di spingerci fino a Versailles. Io parto col vecchio Luigi Moreau, anch'egli felice di partire: invece del mio vecchio fucile mi ha dato una piccola carabina Remington: per la prima volta ho finalmente una buona arma, per quanto la dicano poco sicura, cosa per nulla vera. Ridico le bugie pietose che ho già detto a mia madre per non lasciarla inquieta, tutte le precauzioni prese: ho in tasca parecchie lettere pronte per darle notizie rassicuranti, ch'io daterò secondo l'occasione: in una le dico che hanno avuto bisogno di me in un'ambulanza e che appena posso faccio una corsa a Montmartre.

Povera donna, come le volevo bene! Quanto le ero riconoscente della completa libertà ch'essa mi lasciava, di agire secondo la mia coscienza, e come avrei voluto risparmiarle alcuno di quei giorni tristi ch'ella ha spesso avuto.

I compagni di Montmartre sono ; sicuri gli uni degli altri, sicuri e fidenti in coloro che comandano. Ecco, si fa silenzio: è la zuffa. Una salita; scappo avanti gridando: «A Versailles! a VersaillesRazona mi passa la sua sciabola per aggrapparsi a me. Ci stringiamo la mano, in alto, sulla cima, sotto una pioggia di proiettili: il cielo è di fuoco, ma nessuno è ferito. Ci si spiega in linea, in mezzo a campi pieni di intoppi; ma si direbbe che abbian già fatto altre volte il mestiere dell'armi.

Ecco Moulineaux: i nemici non resistono come si credeva: si credeva anche di spingerci più in : no; pernottiamo parte al forte e parte al convento dei gesuiti. Io e quelli di Montmartre, che speravamo in una più audace avanzata, piangiamo di rabbia, però abbiamo ancora fiducia. Eudes, Ranvier, gli altri si adatterebbero a rimanersene , senza un vantaggio maggiore. Ci dicono le ragioni di questa fermata, ma non le ascoltiamo. Riprendiamo speranza: ci sono dei cannoni al forte d'Issy: sarà buona mossa il mantenercisi. Eravamo partiti da Parigi con delle munizioni strane (avanzi dell'assedio), con dei pezzi da dodici, per dei proiettili da ventiquattro.

Ed ecco passare come ombre, quelli che si trovavan , nella gran sala del convento: Eudes, i fratelli May, i fratelli Caria, tre vecchi arditi come tre eroi, papà Moreau, papà Chevalet, papà Caria, Razona, e i federati di Montmartre; un negro dal color dell'ebano e dai denti bianchi e aguzzi come quelli delle belve, d'un coraggio a tutta prova, intelligente e buono, un vecchio zuavo pontificio convertito alla Comune.

I gesuiti sono fuggiti tutti, salvo un vecchio che non ha paura, dice, della Comune e resta tranquillamente nella sua camera, e il cuoco, il quale, non so perchè, mi fa pensare a fra' Jean des Eutomures.

I quadri che ornano i muri non valgono un soldo, all'infuori di un ritratto, ben fatto e colorito, somigliante a Mefistofele, e che deve essere certo un qualche direttore dei gesuiti: di più un'adorazione dei Magi, de' quali uno in bruttezza può sembrare il nostro negro, poi quadri di cronologia sacra, ed altre sciocchezze.

Il forte è magnifico, una fortezza spettrale, smantellata in alto dai Prussiani: breccia del resto che gli un'aria spavalda. Ci passo buona parte del mio tempo, con gli artiglieri: riceviamo la visita di Vittorina Eudes, una mia amica di lunga data, per quanto più giovane di me: anch'essa tira bene. Ecco le donne con il loro vessillo rosso, crivellato dalla mitraglia, che vengono a salutare i federati: organizzano ambulanze al forte, da dove poi i feriti vengono mandati a quelle di Parigi, meglio fornite. Ci sparpagliamo qua e per essere più utili: io vado alla stazione di Clamort, battuta in breccia tutte le notti dall'artiglieria Versagliese. Si giunge al forte d'Issy per una breve salita, fra due siepi: il sentiero è tutto fiorito di violette schiacciate dagli obici. Vicinissimo è il molino di pietra spesso noi siamo troppo pochi nelle trincee di Clamort. Se i cannoni del forte non ci sostenessero, potremmo essere esposti a continue sorprese: certo a Versailles ignorano che noi siamo in pochi. Anzi una notte, non so come, eravamo rimasti due soli nella trincea davanti alla stazione: io e il negro pontificio, con due fucili carichi, abbastanza per dare l'allarme. Per buona sorte quella notte la stazione non fu attaccata.

Mentre andavamo su e giù per la trincea, egli mi disse incontrandomi:

– Che impressione vi fa la vita che viviamo ora?

– Ma, risposi, mi fa l'effetto di vedere davanti a noi una riva, alla quale bisogna approdare.

– A me, soggiunse il negro, pare di leggere in un libro pieno di figure.

Così, tutta la notte continuammo a perlustrare le trincee, mentre il cannone dei Versegliesi taceva su Clamart.

Quando la mattina dopo, Lisbonne venne a stabilirvi una compagnia, fu nello stesso tempo soddisfatto e stizzito, e scosse i suoi capelli sotto le palle che ricominciavano a fischiare, come se avesse dovuto scacciare delle mosche importune. Abbiamo avuto a Clamart una scaramuccia notturna, fra le tombe del cimitero, rischiarate a tratti da improvvisi bagliori, poi nuovamente quiete sotto il chiarore della luna, che lasciava vedere tutti bianchi i sepolcri, come fantasmi, dietro ai quali fischiavano sinistramente i fucili. Un'altra spedizione abbiamo fatta, negli stessi luoghi con Berceau. Quelli che ci avevano lasciato da prima, per venirci a raggiungere sotto il piombo versagliese, ebbero da soffrire peggiori danni.

Io vedo tutto ciò come una fantasmagoria, nel paese dei sogni, dei sogni della libertà.

Uno studente che non divideva le nostre idee, e ancor meno quelle di Versailles, era venuto con noi a Clamart a tirare, specialmente per fare i suoi calcoli sulle probabilità. Aveva portato un volume di Baudelaire, del quale, quando avanzava qualche ora di tempo, leggevamo qualche pagina.

Un giorno che parecchi federati di seguito erano stati colpiti da un obice nel medesimo posto (una piccola rotonda in mezzo alla trincea) volle verificare due volte i propri calcoli, e mi invitò a prendere con lui una tazza di caffè. Noi ci sediamo comodamente leggendo sul volume di Baudelaire la poesia «La Carogna». Il caffè era quasi pronto, quando le guardie nazionali si gettano sopra di noi, ci scuotono violentemente gridando:

– Per Dio, eccone abbastanza! – Nel medesimo istante un proiettile cadde fracassando le chicchere rimaste nella trincea, e riducendo il libro in briciole.

– Ciò piena ragione ai miei calcoli, – disse lo studente pulendosi di dosso la polvere sollevata dal proiettile. Restò con noi qualche giorno, poi non lo rividi più.

I soli che io abbia visto pieni di paura durante la Comune: un omaccione venuto per fare un dispetto alla giovane moglie appena sposata, e che fu tutto felice di portare un mio biglietto a Eudes, con cui gli chiedevo di rimandarlo a Parigi. Io avevo abusato della sua confidenza, scrivendo press'a poco così:

«Potreste rinviare a Parigi quest'imbecille, che sarebbe solamente capace di suscitare del panico fra noi, se alcuno ci fosse capace di aver paura? Io gli faccio credere essere cannoni versagliesi quelli del forte, affinchè se ne scappi più in fretta. Sarete tanto cortese da dargli il foglio di via

Noi non l'abbiamo più visto, tanta era la paura che lo aveva invaso.

Se, all'entrata dell'armata di Versailles, avesse conservato la sua uniforme di federato sarebbe stato fucilato in massa insieme ai difensori della Comune, come lo furono molti altri.

Un altro della medesima razza era un giovanotto. Una notte che noi eravamo in pochi alla stazione di Clamart che l'artiglieria di Versailles fulminava, l'idea di arrendersi lo invase così come un'ossessione, e non ci fu ragionamento di sorta a liberarlo da quell'incubo.

Fate come vi pare, gli dissi, io resto, e se voi vi arrendete io faccio saltare la stazione! – e mi sedetti con una candela, sulla soglia, di una cameretta, ove erano raccolti i proiettili, ed accesa la candela vi passai tutta la notte: una persona venne a stringermi la mano, e vegliò con me: il negro.

La stazione resistette come al solito: il giovanotto partì il giorno dopo e non lo rividi più.

Una strana avventura capitò a me ed a Fernandez, mentre eravamo ancora a Clamart.

Eravamo andati con alcuni federati verso la casa di una guardia forestale, dove abbisognavano uomini di buona volontà. Fischiavano così frequenti i proiettili intorno a noi che Fernandez mi disse: – Se io resto ucciso, abbiate cura delle mie sorelline! – Ci abbracciammo, e proseguimmo il cammino.

Tre o quattro feriti erano stesi a terra, sopra alcuni materassi, in una camera della guardia campestre: la guardia era assente; vegliava sola la moglie dall'aria spaventata. Volendo noi trasportare i feriti, quella donna cominciò a pregarci di partire io e Fernandez, abbandonando i feriti che non erano trasportabili, diceva essa, sotto la guardia dei due o tre federati che erano venuti con noi.

Senza poter comprendere per qual motivo la guardiana agisse così, per nulla al mondo avremmo voluto lasciare i nostri compagni in quella casa sospetta. Con molta fatica sollevammo i feriti, su alcune barelle di ambulanza portate con noi, mentre la donna in ginocchioni ci scongiurava di partire noi due soli. Ma vedendo che non riusciva ad ottener nulla, tacque ed uscì sulla porta a vederci allontanare, portando via i nostri feriti, sui quali piovevano gli obici versagliesi, giacchè Versailles ebbe sempre l'abitudine di sparare anche sulle ambulanze. Abbiamo saputo poi che alcuni soldati dell'armata regolare erano nascosti nelle cantine della casa. Temeva forse quella donna di veder sgozzare altre donne, oppure era pazza?

Avevamo condotto con noi fra i nostri feriti un giovane soldato di Versailles, mezzo morto, depositato poi come gli altri in un'ambulanza di Parigi, dove cominciò a migliorare. Certamente quando l'armata regolare invase Parigi sarà stato massacrato dai vincitori insieme a tanti altri. Quando Eudes andò alla Legion d'onore, io andai a Mantrouge con La Cecilia, di qui a Neuilly con Dambrowsky. – Questi due uomini così diversi fisicamente, facevano una medesima impressione visti all'opera: lo stesso colpo d'occhio rapido, la stessa risolutezza, la stessa impassibilità. Nelle trincee delle Hautes Bruyères ho conosciuto Pointendre, il comandante dei così detti ragazzi perduti. Se mai questo soprannome fu meritato, lo si deve a lui, lo si deve a tutti quei bravi giovani: la loro audacia era così grande, che sembrava non dovessero essere mai uccisi: pur troppo invece cadde Pointendre, e con lui caddero molti altri. In generale, di coraggiosi come i federati se ne potranno ammirare, di più bravi, no. Con il loro slancio avrebbero potuto vincere se si fosse approfittato di un movimento rivoluzionario risoluto.

Le calunnie sull'armata della Comune correvano per le provincie: Foutriquet diceva che era composta di banditi e di malfattori della peggior specie. Tuttavia Paola Mink, Amouroux ed altri arditi rivoluzionari avevano commosso le grandi città, dove sorgevano le Comuni, inviando le loro adesioni a Parigi: il rimanente della provincia, le campagne si fidavano dei rapporti militari di Versailles. Quello, per esempio, sull'assassinio di Duval spaventava i villaggi. Diceva:

«Le nostre truppe hanno fatto più di mille e cinquecento prigionieri, e si poterono vedere da vicino quei miserabili figuri, che per saziare le loro passioni di bestie feroci, tentavano con deliberato proposito, di perdere il paese. Mai, come ora, la bassa demagogia aveva offerto agli sguardi tristi degli onesti visi più ignobili: la maggior parte erano uomini dai quaranta ai cinquant'anni; ma nelle lunghe file di quei luridi personaggi si potevano vedere anche dei vecchi e dei giovanetti, ed anche alcune donne.

«Lo squadrone di cavalleria che li scortava potè a stento sottrarli dalle mani della folla esasperata. Tuttavia riuscì a condurli sani e salvi alle grandi scuderie.

«Quanto a Duval, questo generale da burla, era stato fucilato già la mattina a Petit Bicêtre, con due ufficiali di stato maggiore della Comune. Tutti e tre hanno subìto spavaldamente la sorte che la legge riserva a ogni capo d'insorti preso con l'arme alla mano».

Noi sapevamo però che conto fare dei generali dell'Impero passati al servizio della Repubblica a Versailles senza che essi e l'Assemblea nulla mutassero all'infuori del titolo.

Una delle vendette future delle carneficine di Parigi sarà di denudare i tradimenti infami e abituali della reazione.


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