Louise Michel
La comune
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PARTE TERZA LA COMUNE

VIII. La marea sale!

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VIII.
La marea sale!

Incalzava da ogni parte la marea popolare, e batteva con l'onde furiose tutte le sponde del vecchio mondo; mugghiava da vicino, e lo si sentiva fin lontano lontano.

Cuba, come oggi, agognava allora alla libertà: e si parlava di uno scontro avvenuto presso Mayan fra Massimo Gomez con cinquecento insorti e i distaccamenti spagnuoli, che avevano dovuto ritirarsi. Altri quattrocento insorti con Bombetta e José Mendoga l'africano avevano battuto in breccia una torre fortificata.

I repubblicani spagnuoli non si tuffavano allora nei delitti della monarchia. Castelar e Oreuse d'Albaïda reclamavano da Picard, del governo di Versailles, la scarcerazione di José Guisalola, che condannato a morte nel suo paese, fuggiasco, mentre attraversava la Francia, era stato arrestato a Tonillac dal sindaco, per ordine del prefetto Bakhauset, dietro istruzioni del governo.

Dieci anni prima l'Europa intera aveva avuto fremiti d'orrore, quando Van Benert aveva consegnato l'ungherese Tebeki all'Austria, che aveva tuttavia rifiutato di metterlo a morte: i poteri affrettandosi verso la loro decrepitezza, e perseverando nella loro via, riunivano sempre più le loro forze contro ogni popolo che anelasse alla libertà.

Alcuni francesi, sospettati d'appartenere all'Internazionale, avevano dovuto abbandonare Barcellona, dove s'erano stabiliti: su di ciò i repubblicani interpellarono il governo. Ed è in questa occasione che Emilio Castelar pronunciò le parole seguenti: «Quando la patria è la nazione spagnuola, questa nazione fiera della propria indipendenza e della propria libertà, questa nazione che ha visto con orrore il nome di Sagonte sostituito da un nome straniero, questa nazione che ha vinto Carlo Magno, il più grande guerriero del medioevo a Ronscisvalle, che vinse Francesco I, il grande capitano del rinascimento a Pavia, che vinse Napoleone, il più grande generale dei tempi moderni, a Bailen e a Talavera, questa nazione, la cui gloria non può essere contenuta negli spazi; il cui genio ha una forza creatrice capace di lanciare nella solitudine dell'oceano un nuovo mondo: questa nazione che quando marciava sul suo carro di guerra, vedeva i re di Francia, gli imperatori di Germania, e i duchi di Milano umiliati seguire i suoi stendardi, questa nazione che aveva per alabardieri, per mercenari, i poveri, gli oscuri, i piccoli duchi di Savoia, fondatori della dinastia attuale. (Interruzione).

Castelar. – Voi mi richiamerete all'ordine, se vorrete, signor presidente, ma io non sono qui per difendere la mia debole personalità; oggi io difendo la mia inviolabilità, e la libertà di questa tribuna. (Nuova interruzione).

Castelar. – Io mi appello alla storia, che con la penna di Tacito e di Svetonio, ha, libera e indipendente, colpito i tiranni, sfidando Nerone e Caligola; e così la storia dice che Filiberto di Savoia, che Carlo Emanuele di Savoia, che tutti i duchi di Savoia hanno seguito poveri e mendicanti, il carro trionfale dei nostri avi!...

«Quale parola non è offensiva, se io non ho il diritto di parlare degli avi dei re, se la loro persona è sacra! Perchè quando Isabella di Borbone rientrava da questa porta, perchè doveva vedere davanti a' suoi occhi i nomi di Mariano, di Pineda, di Riego, di Lacy, e dell'Empecinado, vittime del padre suo, e, lo ripeto, i duchi di Savoia seguivano poveri e mendicanti il carro di Carlo V, di Filippo II e di Filippo V».

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Quanto è lontano da noi questo orgoglio della vecchia Spagna della seduta del 20 aprile 1871, questo orgoglio tragico, che, involontariamente, faceva pensare al Cid, per quanto si avesse l'illusione, ascoltando, di veder passare degli spettri nel fulgor della gloria!

Ed ecco che alla distanza di ventisei anni, invece di questi fantasmi, che segnano col dito i loro antenati, si erge l'orribile fortezza di Montjuich, con i suoi carnefici torturatori e gli assassini di Maceo.

La proclamazione della Repubblica in Francia aveva entusiasmato la gioventù russa; della salvezza della Repubblica e di quella di Gambetta erano state portate notizie a Pietroburgo e a Mosca: di lontano pareva così bella!

Lo czar spaventato, si consigliò con la polizia: e si ebbero arresti in tutta la Russia, e per renderle sicuro il proprio padrone, il capo della polizia credette di tenere nelle sue mani i fili di un grave complotto: non teneva invece fra le mani che le chiavi delle galere e degli istrumenti di tortura. La legione federale belga, le sezioni dell'Internazionale in Catalogna e nell'Andalusia inviavano alla Comune il saluto dei figli di Van Artevelde e quello dei pittori, letterati, dotti, eredi di Rubens, di Grétry, dei Vesali e dei veri figli della Spagna fiera e libera. L'avvenire era infine tutto per la liberazione dell'umanità, mentre acclamando alla caccia abbominanda contro Parigi, i giornali dell'ordine, a Versailles, inserivano degli appelli ignobili e vili alla carneficina.

«Meno erudizione e filosofia, signori; ma un po' più di esperienza e di energia: che se questa esperienza non ha potuto giungere fino a voi, preparate quella delle Vittime!

«Noi ci disputiamo in questo momento la Francia: forse che è il tempo di vaneggiare con la letteratura? No, mille volte no, noi sappiamo il valore di quegli scritti.

«Fate un po' ciò che i grandi popoli energici farebbero nel caso vostro:

Niente prigionieri!

«Se nel mucchio si trova per caso un galantuomo, veramente trascinatovi per forza, voi lo potete riconoscere: un galantuomo si fa sempre conoscere per l'aureola sua.

«Accordate ai nostri bravi soldati libertà di vendicare i loro commilitoni, permettendo loro di fare, sul luogo e nella rabbia dell'azione, ciò che domani a sangue freddo non avranno più animo di fare!

(Giornale di Versailles, 3a settimana d'aprile 1871).

A quest'opera che doveva essere solamente consumata nella rabbia del combattimento, fu destinata l'armata ubbriaca di menzogne, di sangue e di vino: l'Assemblea e gli ufficiali superiori squillavano l'hallalì; Parigi era servita a colpi di coltello.


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