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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
In un libro edito molto tempo dopo la Comune, si possono leggere questi giudizi, tra altre mille cose dello stesso tenore che provano l'accordo cordiale di Thiers con coloro che nei loro sogni vedevano danzare delle corone sui gorghi di sangue:
«A. Thiers aveva fatto collocare presso l'ambasciata di Londra alcuni orleanisti; il duca di Broglie, Carlo Gavard, ecc.
«Era difficile assai stabilire la natura esatta dei modi pieni di deferenza, ma sempre rispettosi con i quali egli (il conte di Parigi) si esprimeva parlando di Thiers. Io ho avuto la buona idea di pregare il principe affinchè egli stesso prendesse la penna e scrivesse in proposito, e il principe infatti scrisse alla mia scrivania questo dispaccio:
«Il conte di Parigi è venuto sabato ad Albert-Gate-House, e mi ha detto che l'ambasciata è territorio nazionale, ed aveva fretta di toccarne il suolo: la sua visita d'altronde aveva per oggetto di esprimere al rappresentante ufficiale del suo paese la gioia profonda che gli recava la decisione presa dall'Assemblea di aprirgli le porte di una patria che egli non ha mai cessato di amare.
«Mi ha chiesto personalmente di farmi interprete dei suoi sentimenti presso il capo del potere esecutivo, e di fargli conoscere l'assicurazione del suo rispetto.
«Il dispaccio è partito la sera stessa, con le sole iniziali: S. A. R. Mgr, davanti al nome del conte di Parigi».
(Un diplomatico a Londra, p. 46-47).
E a pagina 5 dello stesso libro si, legge: «Si avevano gli Orleans a portata di mano, avendo gli ultimi avvenimenti resi impossibili i Bonaparte».
È inutile far altre citazioni: dovrei citare tutto il volume.
Mentre Thiers si occupava dei pretendenti che aveva sotto mano, non tralasciava nulla per annegare nel sangue tutte le aspirazioni verso la libertà che si avevano in Francia.
La Comune di Lione e di Marsiglia, già soffocate da Gambetta, risorgevano dalle loro ceneri. Scriveva la Comune di Marsiglia a quella di Parigi il 30 marzo 1871: «Noi vogliamo la decentralizzazione amministrativa, con l'autonomia della Comune, affidando al consiglio comunale eletto in ogni grande città le attribuzioni amministrative e municipali.
«La istituzione delle prefetture è funesta alla libertà.
«Noi vogliamo la consolidazione della Repubblica per mezzo della federazione della guardia nazionale sopra tutto il territorio francese.
«Ma, anzitutto e sopratutto noi vorremo ciò che vorrà Marsiglia!»
Le elezioni dovevano aver luogo il 5 aprile alle 6 del mattino: per questo il generale Espivent riunì agli equipaggi del Couronne e del Magnanime tutte le truppe di cui potè disporre il giorno 4 e bombardò la città.
Un colpo di cannone a salve aveva avvisato i soldati: ma avendo incontrato una dimostrazione senza armi che seguiva un vessillo nero acclamando: Viva Parigi! si lasciarono trascinare dalla folla insieme agli artiglieri e col cannone che aveva tirato altri due colpi.
Espivent, da parte sua, dal Forte San Nicola, faceva bombardare la prefettura, dove sospettava ci fosse la Comune.
Landeck, Megy, Canbet de Taillac, delegati di Parigi, insieme a Gastone Cremieux andarono a parlamentare con Espivent e gli esposero la situazione esortando a non voler sgozzare degli uomini inermi e inoffensivi.
Per tutta risposta Espivent fece arrestare Gastone Cremieux e i delegati di Parigi, contro il consiglio e l'opinione di tutti i suoi ufficiali. Fu obbligato, però, a lasciar liberi questi ultimi, che avevano incarico di esporgli la volontà di Marsiglia (elezioni libere, e le sole guardie nazionali incaricate della sicurezza della città).
«Io voglio, rispose Espivent, la consegna della prefettura fra dieci minuti, o la prendo per forza fra una ora!
– Viva la Comune! gridarono i delegati, e attraverso la folla di popolo e di soldati che fraternizzavano, se ne tornarono.
Espivent fece nascondere dietro le finestre dei reazionari e dei cacciatori: la fucileria durò sette ore, appoggiata dai cannoni del forte San Nicola. Quando cessò il fuoco, la terra era coperta di cadaveri! Mentre il sangue gorgogliava per le vie seminate di cadaveri, il Gallifet di Marsiglia diede l'ordine di fucilare i prigionieri, alla stazione (erano garibaldini che avevano combattuto contro gli invasori di Francia, e soldati che non avevano voluto tirare sul popolo!). Una donna, con un bambino fra le braccia, ed un cittadino che stimavano forse troppo severi gli ordini di Espivent, furono uccisi sul momento, insieme ad altri cittadini di Marsiglia, fra cui il capostazione, il cui giovane figlio invano aveva chiesto grazia per il padre suo. Espivent scriveva in questi termini al proprio governo, a Versailles:
«Il generale di divisione al Ministro della Guerra.
«Ho fatta la mia entrata trionfale nella città di Marsiglia, con le mie truppe, e molto acclamata.
«Il mio quartier generale è installato nel palazzo della Prefettura. I delegati del Comitato rivoluzionario hanno abbandonato ieri mattina la città alla spicciolata.
«Il procuratore generale presso la Corte d'Aix, che mi presta il più devoto appoggio, lancia proclami da spedirsi per tutta la Francia.
«Abbiamo qui 500 prigionieri che io faccio condurre al Castello d'If. Tutto è perfettamente tranquillo in questo momento a Marsiglia.
Così fu definitivamente sgozzata la Comune di Marsiglia da quello stesso Espivent, che dietro indicazioni fantastiche diresse nel porto di Marsiglia la famosa caccia ai pescicani, dei quali, neppure uno esisteva.
Malgrado le sanguinose repressioni di Marsiglia, Saint Etienne insorse. Il prefetto De Lespée vi ristabilì dapprima l'ordine alla maniera d'Espivent: si cita di lui questa frase: «So che cosa sia una rivolta la canaglia non mi fa paura!». E la canaglia lo conosceva così bene, che avendo essa ripreso la città, lo fece arrestare e condurre al palazzo di città, ove la morte sua avvenne in circostanze straordinarie.
Il De Lespée infatti era stato consegnato a due individui, certi Vitoire e Fillon, i quali dovevano semplicemente vegliare sopra di lui.
Vitoire era una specie di Girondino; Fillon invece un esaltato, tanto che s'era messo due sciarpe, ricordi delle lotte sostenute, una alla cintura e l'altra intorno al cappello. Subito una disputa sorse fra Vitoire che cercava di scagionare il prefetto, e Fillon che ricordava la condotta tenuta da De Lespée.
Persistendo Vitoire a sostenere le ragioni di De Lespée, Fillon, fuori di sè, scaricò a bruciapelo un colpo di revolver addosso a Vitoire e uno sul Prefetto, cadendo egli stesso colpito da una delle guardie nazionali accorse al rumore. – Aveva assistito a tanti tradimenti, quel povero vecchio, che era diventato pazzo, così da vedere ovunque tradimenti sopra tradimenti.
La morte di De Lespée fu rimproverata a tutti i rivoluzionari, quella di Fillon al suo uccisore.
Compiendo alcuni anni fa un giro di conferenze, alcuni vecchi abitanti di Marsiglia mi raccontavano di essere stati colpiti come da una visione strana, quando il vecchio Fillon, avanti a tutti, marciava contro il Municipio, la sua sciarpa rossa svolazzante sul cappello, lanciando dagli occhi lampi di fuoco. La bocca semiaperta, gettava tratto tratto delle grida, che erano udite fin dai lontani: «Avanti, avanti! La Comune, la Comune!
I minatori usciti fuor dai pozzi, si unirono alla rivolta; ma non furono le guardie che ristabilirono l'ordine e la calma: fu la morte.
Insorse anche Narbonne. Digeon, carattere di eroe, aveva trascinato la città tutta. Una prima volta i soldati sono persuasi a fraternizzare. Raynal, come autore di un attacco da parte della reazione è preso come ostaggio.
Il proclama di Digeon terminava così:
«Che altri continuino a vivere eternamente schiavi; ad essere il gregge vile, di cui si vende e la lana e la carne.
«Noi non disarmeremo se non quando si saranno riconosciute le nostre rivendicazioni, e se abbiamo ricorso alla violenza per sostenerle, noi lo giuriamo in faccia al cielo, sapremo difenderle fino alla morte!»
Bravo Digeon! aveva visto tante cose che al ritorno dalla Caledonia lo ritrovammo fatto anarchico da rivoluzionario autoritario che era stato: la sua grande integrità ed onestà gli facevano considerare il potere come la sorgente di tutti i delitti commessi contro i popoli.
Non volendo Narbonne capitolare, fu circondata da truppe e da cannoni. Le autorità di Montpellier inviarono due compagnie del genio, quelle di Tolosa fornirono l'artiglieria, Foix la fanteria, Carcassonne mandò della Cavalleria, Perpignano delle compagnie d'Africa. Il generale Zents prese il comando di questa armata, alla quale fu detto che bisognava trattare alla stregua delle iene e da nemici dell'umanità, quegli uomini che insorgevano per la giustizia e per la umanità.
Quando si fece loro sentir l'odore del sangue, si sguinzagliarono come cani. Il combattimento incominciato di notte, durò fino alle due del pomeriggio. La città era divenuta un cimitero! Si arrese.
Digeon, rimasto solo al municipio, non voleva capitolare: la folla dovette portarlo via: solo il giorno dopo fu arrestato non volendo sottrarsi con la fuga.
Diciannove soldati del 52° di linea, condannati a morte per non aver voluto sparare sulla folla, non furono fucilati per timore di rappresaglie da parte della popolazione: si fecero passar per le armi solo quelli trovati, nella lotta con l'arme in pugno.
Al Creusot, l'insurrezione era stata fatta prima della Comune di Parigi. Cominciò con un agguato posto agli operai, sulla via di Montchanin, dove ad ogni rivolta, essi si radunavano per avvertire i compagni. Alcuni individui sospetti furono visti nei dintorni: ora avendo voluto accertarsi della cosa, quindici operai furono uccisi dallo scoppio d'una bomba, depositatavi prima. In questa guisa il governo credeva di fermare il moto di ribellione.
Creusot si svegliò, alla notizia del 18 maggio: la prima volta le truppe furono ritirate. – Fate la vostra Comune! aveva detto il comandante. Gli insorti risposero acclamando: Viva la Repubblica! Viva la Comune! Più tardi la truppa, tornata più numerosa, potè disperdere i dimostranti, i quali però riuscirono a far prigionieri alcuni agenti di Schneider, che si frammischiavano nelle loro, file gridando: «Viva la ghigliottina!»
Costoro confessarono la loro missione di agenti provocatori. I rivoluzionari del Creusot mandarono delegazioni a Lione ed a Marsiglia, dove regnava una grande agitazione.
A Lione la piazza della Guillotière era stipata di folla: un manifesto appiccicato in tutta la città invitava la popolazione a non essere vile tanto da lasciar assassinare Parigi e la Repubblica!
No, i Lionesi non erano vigliacchi! ma il prefetto Valentin e il generale Grauzat disponevano di forze considerevoli, delle quali si servirono come meglio non fecero contro l'invasione.
La guardia nazionale dell'ordine si unì all'esercito e la guerra contro la Comune di Lione cominciò! Il combattimento durò cinque ore alla Guillotiére e in altri punti della città.
Alberto Leblanc, delegato dell'Internazionale, non avendo potuto passare per recarsi alla Guillotiére, prese il suo posto di lotta nella città. Dopo queste cinque ore di lotta accanita di uomini male armati contro battaglioni interi, la Comune di Lione fu uccisa. Dei fremiti, come quelli che agitano le membra di chi in piena vita, è colpito mortalmente, si fecero sentire per lungo tempo nelle grandi città dopo che i moti di libertà vi furono arrossati di sangue. Esistono numerosi documenti sulle rivolte di Bordeaux, Montpellier, Cette, Béziers, Clermont, Lumel, L'Herault, Marraussan, Abeillvan, Villanova Les Béziers, Thibery.
Tutte queste città e molte altre avevano deciso di mandare dei delegati a un congresso generale che doveva aprirsi il 14 maggio nel gran teatro di Lione. Lettere di protesta furono mandate a Versailles dalle città di provincia.
Malon, ben informato, contava a migliaia le lettere indignate inviate dalla provincia alla città maledetta. Avuta la conferma della proclamazione della Comune a Parigi, Le Mans si sollevò. Due reggimenti di linea comandati da Rennes, e alcuni corazzieri chiamati per schiacciare i dimostranti fraternizzarono con essi.
Il Comitato radicale di Mâcon scriveva in capo al proclama mandato alla Comune:
«La Repubblica è al disopra del suffragio universale... I colpi di stato e i plebisciti sono le cause direte di tutti i malanni che ci accasciano».
Il plebiscito lo aveva dimostrato e la nomina dell'assemblea di Bordeaux non è senza mistero, quando ci si voglia render conto del movimento che agitò allora la Francia intera.
Del resto, i retroscena del suffragio universale non possono esser un secreto per nessuno; se si aggiunge lo spavento delle repressioni, si vedrà che solamente i villaggi poterono essere docili, mentre il resto del paese fu mantenuto tale col terrore delle armi.
I repubblicani, di Bordeaux pubblicarono anche essi il loro manifesto, caldeggiando il progetto di un congresso convocato a Bordeaux, allo scopo di determinare le misure più necessarie per por fine alla guerra civile, assicurare le franchigie municipali, e rafforzare la libertà.
I firmatari dei proclami di provincia era gente che si dava alla Comune non perchè forzati, ma in considerazione della tendenza generale e anche per disgusto delle mene di Versailles, di cui si può avere un'idea leggendo la seguente circolare trasmessa gerarchicamente, e della quale potemmo aver conoscenza in un municipio di Seine-et-Oise.
«Sorvegliare giorno per giorno gli Hôtels e le locande; curare che i proprietari di questi stabilimenti tengano notati sui loro registri di polizia il nome delle persone ammesse ad alloggiarvi, far vistare questi registri al municipio o al corpo di polizia.
«Invitare, con ordinanza speciale, i privati che avessero in pensione provvisoriamente degli stranieri, a farne dichiarazione al sindaco, dando il nome delle persone, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la professione.
«Sorvegliare gli alberghi, i caffè, i bar: impedire che qualsiasi giornale di Parigi possa essere letto».
Tutta la gerarchia degli impiegati, alti e bassi, del governo di Versailles, doveva occuparsi di cose di polizia, e tutta la Francia era divenuta come una trappola. Man mano che queste indegnità erano conosciute, le coscienze si rivoltavano.
A Rouen, fin dai primi giorni, i framassoni dichiararono di aderire pienamente al manifesto ufficiale del consiglio dell'ordine, che porta scritto sulla sua bandiera le parole sacre: Libertà, Eguaglianza, Fratellanza. Implora la pace fra gli uomini, e in nome dell'umanità proclama inviolabile la vita umana, maledice tutte le guerre; vuol che cessi l'effusione di sangue, e siano poste le basi di una pace definitiva, che sia come l'aurora di un nuovo avvenire.
Ecco ciò che noi domandiamo energicamente, dicevano i firmatari, e se il nostro grido non è ascoltato, noi vi dichiariamo qui che l'umanità e la patria lo esigono.
A Montpellier, Tolosa, Bordeaux, Grenoble, Saint-Etienne, la rivoluzione continuamente soffocata, risorgeva continuamente: i giornali perseguitati rinascevano dalle loro ceneri, empiendo Versailles di spavento, non ostante i suoi cannoni che bombardavano Issy, Neuilly, Courbevoie; e le armate di volontari chiamati contro Parigi, senza grande efficacia, erano una lieve minoranza che Versailles attirava a sé con la paura.
A Parigi, incerti invece per generosità, i Comunardi lasciavano che il vecchio e non meno inoperoso Beslay vegliasse là alla Banca per difenderla, al bisogno, con la sua vita, e si immaginavano che là fosse posto tutto l'onore della Comune. Sulla fede di De Pleuc egli credette di aver salvata la rivoluzione, salvaguardando la fortezza capitalista.
Vi fu un momento, in cui tutti a Parigi si rivolgevano alla Comune, tanto Versailles si mostrava feroce, e tutte le città chiedevano che cessassero le carneficine... e non facevano che cominciare!
Il manifesto di Lione, in data del 5 maggio, diceva che da ogni parte erano stati mandati indirizzi all'Assemblea ed alla Comune per recare loro parole di pace, e solo la Comune aveva risposto.
Parigi, assediata da un esercito francese, dopo esserlo stata da orde prussiane, tende ancora una volta le mani verso la provincia: non domanda aiuto di armati, ma appoggio morale: chiede che l'autorità pacifica provinciale si interponga per disarmare i combattenti. Potrebbe la provincia rimaner sorda a questo ultimo disperato appello?
La città di Nevers mandò alla Comune un manifesto, chiedendo l'unione indissolubile fra Parigi e la Francia, il pronto scioglimento, ed al bisogno, la caduta dell'Assemblea di Versailles, essendo il suo mandato finito.
Il Comitato Repubblicano di Melun, il cui motto era: l'ordine nella libertà, dichiarò di unirsi a coloro che cercavano di sanare i mali del paese, non ristabilendo un ordine di cose ormai scaduto, ma assicurando l'avvenire.
A Limoges, il 4 aprile, i soldati di un reggimento di linea, che vi era accasermato, avendo ricevuto l'ordine di andare a rinforzare l'armata di Versailles, furono accompagnati alla stazione dalla folla, che fece loro giurare di non piegarsi a sgozzare i fratelli di Parigi: i soldati giurarono, abbandonarono le armi a coloro che li accompagnavano e se ne tornarono alla caserma, ove la folla, in presenza degli ufficiali, fa loro una solenne ovazione.
Le autorità si riunirono al municipio, ed essendo il prefetto fuggito, il sindaco si incaricò della repressione: ordinò ai corazzieri di impadronirsi del distaccamento che rifiutava obbedienza e di caricare la folla. E il conflitto avvenne, terribile; il partito dell'ordine ebbe la vittoria, ma il colonnello dei corazzieri ed un capitano furono uccisi.
Nel Loiret, il moto rivoluzionario fu di qualche importanza: c'era un comitato dall'iniziativa energica, che aveva per segretari Francesco David di Batile sur Loiret, Garnier e Langlois di Meug sur Loire: mandarono dei delegati incaricati di intendersi con la Comune.
L'Associazione del Giura, gli abitanti di parecchie città di Seine-et-Marne (ed anche di Seine-et-Oise) avevano a Parigi, a dispetto di Versailles, dei comitati corrispondenti.
Al nord della Francia, tutte le città industriali, come quelle del Mezzogiorno volevano la loro Comune.
L'Algeria, dopo il 28 marzo, diede la sua adesione con il seguente proclama:
Alla Comune di Parigi, la Comune dell'Algeria.
«I delegati dell'Algeria dichiarano in nome di tutti i loro mandatari, di aderire nella maniera più assoluta alla Comune di Parigi. L'Algeria tutta rivendica le libertà comunali.
«Oppressa per quarant'anni dalla doppia concentrazione dell'armata e dell'amministrazione, da colonia ha compreso, dopo lungo tempo, che l'indipendenza completa della Comune è il solo mezzo col quale possa raggiungere la libertà e la prosperità».
Alessandro Lambert, Luciano Rabuel, Luigi Calvinahc».
L'Emancipazione di Tolosa, alcuni giorni dopo il 18 marzo, così giudicava gli uomini di Versailles:
«C'è difatto un complotto, organizzato per eccitare l'odio dei cittadini gli uni contro gli altri e per far seguire alla guerra contro lo straniero quella civile. Gli autori di questo delittuoso tentativo sono i malvagi che si gratificano indegnamente del titolo di difensori dell'ordine, della famiglia, della proprietà.
«Uno degli agenti più attivi di questo complotto contro la sicurezza pubblica si chiama Vinoy: è generale e fu già senatore».
Le prime storie del 71, scritte quando ancora il governo era ebbro di sangue, non osarono, per paura della repressione sempre minacciosa, menzionare tutte le rivolte rivoluzionarie di Francia, simili in tutto a quella della Comune, a quelle di tutta Europa e di tutto il mondo, in Spagna, in Italia, in Russia, in Asia, in America. La sua storia deve essere ancora scritta, come prologo della situazione presente.