Louise Michel
La comune
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PARTE TERZA LA COMUNE

X. L'armata della Comune.

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X.
L'armata della Comune.

Dopo il 5 aprile le batterie del sud e dell'ovest messe dai Prussiani per bombardare Parigi, furono usate dai Versagliesi, che erano appunto detti i Prussiani di Parigi: per render ragione però a chi spetta di diritto aggiungo che mai i più brutali ulani si resero colpevoli di tanta ferocità. I proiettili esplosivi, che l'armata di Versailles lanciava contro i federati, non furono usati che contro Parigi. Ho visto tra gli altri un disgraziato, che nelle trincee delle alte brughiere era stato colpito in fronte da uno di quei proiettili che avrebbero potuto benissimo servire nelle caccie agli elefanti. Ne avevamo alcuni ma scomparvero nelle diverse perquisizioni subite.

Tutto il piano dei Campi Elisi era continuamente mitragliato. Mont-Valérien, Meudon, Brimborion non cessavano di vomitare fuoco sui disgraziati che abitavano da quelle parti. D'altra parte il ridotto di Molineaux, il forte d'Issy presi e ripresi; senza tregua, lasciavano la lotta apparentemente indecisa. L'armata della Comune era un pugno di uomini in confronto a quella di Versailles; bisognava che sopperisse col coraggio al numero per resistere così a lungo, non ostante i tradimenti continui e la perdita di tempo all'inizio della campagna.

I militari di professione erano ridotti a pochissimi; Flourens morto, Cipriani prigioniero; rimaneva Cluseret, i fratelli Dombrowsky, Wroblesky, Rossel, Okolowich, La Cecilia, Ettore France, qualche sottufficiale e alcuni soldati rimasti a Parigi: tra essi pochi ufficiali; Coignet, venuto insieme a Lullier, era aspirante di marina, Perusset capitano di lungo corso. – C'è qualcosa di meglio da fare, dicevano i marinai, che pagare l'indennità ai Prussiani! Quando si sarà finito con Versailles riprenderemo d'assalto i forti.

Uno di essi, deportato con noi alla penisola Ducos ne parlava ancora laggiù, quando si ricordava il tempo della Comune; che a traverso l'oceano ci sembrava già lontana nel passato.

Ai primi d'aprile Dombrowsky fu nominato comandante in capo della città di Parigi. Si sperava, mentre ferveva la lotta; e intanto i Versagliesi attaccavano volta per volta Neuilly, Levaillois, Asnières, il Bosco di Boulogne, Issy, Vanves, Bicêtre, Clichy, Pasy, la Porta Bineau, le Termes, l'Avenue de la Grande Armées, i Campi Elisi, l'Arco di Trionfo, Saint Cloud, Auteuil, Vaugirard, la porta Maillot.

Foutriquet, nello stesso tempo, dichiarava che solo i banditi di Parigi tiravano a caso colpi di cannone per far credere d'essere attaccati.

«Così, i numerosi feriti che ingombrano le ambulanze di Versailles, facevano finta di essere feriti; quelli di Versailles che si seppellivano a combattimento finito, fingevamo di essere ammazzati. Così voleva la logica del Sanguinante Tam Ponce che copriva Parigi di fuoco e di mitraglia ed annunciava nelle sue circolari o faceva dire dai suoi giornali che Parigi non era bombardata

(Rochefort, Le Mot d'Ordre).

Il capitano Bourgonin fu ucciso durante l'attacco alle barricate di Neully: e fu per la Comune una grave perdita.

Dombrowsky non aveva che due o tre mila uomini per resistere ai continui assalti di dieci mila dell'armata regolare. – Il generale Wolf, che faceva la guerra come la fa oggi Weyler, fece circondare una casa dove erano duecento federati; li sorprese e li sgozzò tutti.

Si sentivano incessantemente sopra il parco di Neuilly il grandinare delle palle attraverso i rami, con lo stesso rumore dei temporali estivi che noi conosciamo benissimo. L'illusione era tale che si credeva di sentirci persin bagnati, pur sapendo che era la mitraglia.

Alla Barricata Peyronnet, vicino alla casa dove era Dombrowsky col suo stato maggiore, si ebbero dei veri diluvi d'artiglieria versagliese, durante certe notti, come se la terra avesse tremato ed un oceano si fosse scatenato dal cielo.

Una notte, che i miei compagni avevano voluto che io andassi a riposare, scorsi vicino alla barricata una chiesa protestante abbandonata il cui organo non aveva che due o tre note stonate: in vena di divertirmi un poco mi misi a suonare di gran gioia, quando improvvisamente apparve un capitano dei federati con tre o quattro uomini furibondi.

– Come! gridò, siete voi che attirate sopra la barricata i proiettili di Versailles? Venivo per far fucilare chiunque avesse osato rispondermi....

Così finì il mio saggio d'armonia imitativa della danza delle bombe.

Nel parco, davanti ad alcune case, si vedevano dei pianoforti, molti ancora buoni, per quanto esposti all'umidità. Non ho mai saputo spiegarmi perchè li avessero lasciati fuori piuttosto che dentro.

Alla barricata di Neuilly, crivellata di palle, vi furono delle ferite raccapriccianti: certuni avevano le braccia divelte sin dietro le spalle, lasciando le ossa scoperte; altri il petto squarciato, altri le mascelle spaccate. Si medicavano senza speranza. Quelli che ancora avevano un fil di voce, gridavano: Viva la Comune! prima di spirare. Mai più ho visto delle ferite così orribili.

A Neuilly, in certi luoghi eravamo così vicini ai Versagliesi, che dal posto d'Enrico Place si sentivano chiacchierare.

Fernandez, Madama Danguet, Mariani erano venute, ed avevano organizzata un'ambulanza volante, vicino alla barricata Peyronnet, in faccia allo stato maggiore: i meno feriti restavano , quelli più gravi erano condotti nelle grandi ambulanze, secondo ciò che dicevano i medici, ma una pronta ed efficace medicazione ne salvò parecchi.

Come sempre in mezzo alle cose più tragiche se ne vedevano delle più grottesche. Un contadino di Neuilly aveva seminato dei poponi che egli custodiva gelosamente appena germogliati, come per difenderli contro gli obici: dovemmo strapparlo di a forza e distruggere il vivaio, che aveva già tutti i vetri rotti, per impedirgli di tornare.

Quelli che avevan voglia di ridere raccontavano che in Parigi alcuni agenti di Versailles, mandati da Thiers per riunirsi a un dato punto ed organizzare tradimenti, dovevano introdursi in Parigi passando per i canali delle fogne; ma avevano così mal calcolato che alcuni di essi, presi come topi, all'imboccatura, non potendo uscire, dovettero chiamare alcuni nemici di buona volontà per farsi strappar fuori; e così la tresca fu sventata.

Altri agenti, mentre tentavano di sobillare odii fra il Comitato Centrale e la Comune, si erano mostrati così bassamente adulatori che si erano scoperti da stessi.

Si rideva di tutto ciò fra mezzo al fischiar delle palle e degli esplosivi, al rombar dei cannoni.

La porta Maillot resisteva sempre, coi suoi leggendari artiglieri, pochi di numero, vecchi e giovani.

La mattina del 9 aprile un soldato di marina, certo Fériloque ebbe il ventre squarciato avvinghiato al proprio pezzo. E quel nome ci rimase caro. Si conobbe anche Craon; altri invece sono rimasti sconosciuti. Ma che importa il loro nome? è la Comune, è sotto questo nome che saranno vendicati,

Come nei sogni passano lievi forme, così passano i battaglioni della Comune, fieri nella loro libera marcia di ribelli, i vendicatori di Flourens: gli zuavi della Comune, gli esploratori, i federati, simili ai guerrieri spagnuoli, pronti alle imprese più audaci: e i ragazzi perduti, che con mirabile slancio si spingevano di trincea in trincea, sempre avanti! I «turcos» della Comune, i «lascars» di Montmartre, insieme a Gensoule ed altri ancora. Tutti intrepidi dal cuore mite, che a Versailles erano dipinti come banditi: la loro cenere è sparsa al vento, le loro ossa sono rose dalla calce viva. Sono la Comune, sono lo spettro di maggio.

E le armate della Comune contarono nelle loro compagnie donne cantiniere, infermiere, soldati, ovunque frammischiate, senza distinzione.

Il 17 maggio il forte di Vanves era circondato, i versagliesi sparavano da Bagneux, fra le due barricate.

C'era stato la notte del sedici, a Neuilly, un violento scontro di artiglieria; ma da Saint-Ouen a Point-du-Jour di Bercy accampavano ancora i due corpi d'armata della Comune.

La Porta Maillot resisteva sempre, e resisteva pure Dombrowsky. Alcuni membri della Comune, Pasquale Grousset, Ferré, Dereure, Ranvier, venivano spesso, così audacemente, che si perdonava loro la temeraria audacia.

L'esercito della Comune era così esiguo, che ogni giorno ci si trovava sempre gli stessi.

Malgrado le cure della Comune, c'erano ancora tante miserie terribili. Alcuni ragazzi, in diversi luoghi, fra cui in via Pergolese, raccattavano da terra degli ordigni di guerra, che vendevano per qualche soldo agli stranieri, ignorando incoscientemente, certo, che quelle cose potevano essere raccolte e usate dalla Comune; altri li vendevano per proprio guadagno. Alcuni bambini avevano le sopracciglia e le mani bruciacchiate. Ci meravigliavamo come nulla di peggio capitasse loro. Di tanto in tanto andavano a ricrearsi al Teatro Guignol, che recitò fino alla fine di maggio, all'Avenue de l'Etoile.

Fin qui l'armata della Comune era stata l'armata della libertà, ma stava per diventare l'armata della disperazione.

Termino questo capitolo con due pensieri di Rossel: il primo anteriore alla sua entrata nell'armata della Comune, e che racchiude il suo giudizio su di essa. È un frammento della sua lettera del 19 marzo 1871 dal campo di Nevers al generale ministro della guerra a Versailles: «Ci sono due partiti in lotta nel paese nostro: ebbene io mi schiero senza esitazione dalla parte di quello che non ha segnato la pace, e non conta fra le sue file generali colpevoli di capitolazioni». Il secondo che egli aveva espresso giudicando l'armata regolare, poco prima di morire, lo confidò al suo avvocato Alberto Joly: «Voi siete repubblicano, gli diceva; se fra poco voi non riformate l'esercito, l'esercito finirà col riformare voi stessi. Io muoio per i diritti civili del soldato: è il meno che voi potete credere di me su questo argomento».


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