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XIV.
La fine.
Si sarebbe detto che il trionfo veniva. Le leghe repubblicane rompevano la riserva dei primi giorni, l'internazionale si affermava sempre più tenace alla Corderie du Temple.
La federazione delle camere sindacali aveva aderito, il 6 maggio, alla Comune! Questa federazione poteva contare su trentamila uomini.
I deputati di Parigi, presenti a Versailles, Floquet e Lockroy, avevano date energicamente le loro dimissioni.
Ecco, Parigi ha una fisonomia tragica, i carri funebri di quattro trofei di bandiere rosse passano più numerosi, seguiti dai membri della Comune e dalle delegazioni dei battaglioni al suono della marsigliese.
I clubs delle chiese alla sera scintillano di luci: anche là dentro squilla la marsigliese: non è il sordo rullio dei tamburi funebri che l'accompagna, nè l'organo inneggia più sotto le grandi navate sonore.
Nella chiesa di Vaugirard accampa il club dei Giacobini: l'idea di radunarsi nei sotterranei faceva ricordare la cantina ove lavorava Marat: era come un soffio del 93 che passava fischiando sopra la terra.
Al club della Rivoluzione, nella chiesa di San Michele, a Batignolles, Combault, nella prima seduta parlò come già davanti ai tribunali di Bonaparte, di questa idea, che le persecuzioni favoriscono incessantemente la libertà del mondo.
Dal club di S. Nicola dei Campi, una deputazione inviata alla Comune dichiara che chiunque parla di conciliazione fra Versailles e Parigi è un traditore.
Quale conciliazione infatti può esservi fra la lunga schiavitù e la libertà?
In dieci o dodici chiese, ogni sera un coro immenso inneggiava alla libertà.
Io sentiva parlare intorno a me con vero entusiasmo.
Le donne specialmente esortavano alla libertà: ma dal 3 aprile alla settimana di sangue io non sono venuta che due sole volte a parlare, e brevemente: qualche cosa mi teneva avvinta alla lotta, un fascino, così tenace che non tentavo neppure di vincerla.
La prima volta andai al Municipio, con un incarico da parte di La Cecilia, al quale dovevo poi portare la risposta. A circa mezzo cammino incontro tre o quattro guardie nazionali, che dopo avermi osservata, si avvicinano a me.
– Noi vi arrestiamo! mi dice uno di essi.
Evidentemente io avevo qualcosa di sospetto: erano forse i miei capelli corti, che uscivano fuori di sotto il berretto e che essi prendevano per una capigliatura da uomo.
– Dove volete essere condotta?
– Al municipio! giacchè credo che voi conduciate i prigionieri dove essi vogliono.
Il bravo uomo che mi interrogava arrossi di collera.
Ci mettiamo in cammino, quelli osservandomi attentamente, ed io con passo grave, divertendomi assai.
Giunti davanti al cancello, quegli che già aveva parlato, mi chiese
– A proposito; il vostro nome!
– Macchè, è impossibile! dissero, tutti e tre.
Noi non abbiamo mai vista Luisa Michel; ma non è certamente lei che si veste in codesto modo.
Mi guardai addosso: calzava infatti ancora gli zoccoli, che mi ero dimenticata di mutare con gli stivali.
Pur ringraziandoli della loro buona opinione, potei assicurarli che non era giustificata: avevo con me parecchie carte che non lasciavano loro alcun dubbio. Mi avevano preso per un uomo camuffato da donna, grazie agli zoccoli che facevano un effetto particolare sui marciapiedi.
La seconda volta, non ricordo se in municipio o alla Sicurezza, trovai alcune prostitute che ne uscivano piangendo, perchè non si voleva che esse andassero a curare i feriti. Mani pure volevano gli uomini della Comune per curare i feriti. Mi dissero tutto il loro dolore: chi più di esse, vittime del vecchio mondo, aveva diritto di dar la propria vita per il nuovo?
Prometto loro che la domanda sarà accettata, e che giustizia sarà loro fatta. Io non so cosa dissi, ma il dolore di quelle disgraziate mi aveva tanto angosciato il cuore, che io trovai parole che andarono a toccare il cuore anche degli altri: furono indirizzate ad un comitato femminile, che le accolse benevolmente.
Questa notizia le riempì di gioia, così che piansero ancora, ma di contentezza. Con desiderio infantile vollero la loro fascia rossa. Divisi la mia con loro.
– Non faremo mai vergogna alla Comune, mi dissero.
Difatti morirono quasi tutte, durante la settimana di Maggio. L'unica che io rividi nelle prigioni di Chantiers mi raccontò che due erano state uccise coi calci dei fucili, mentre portavano soccorso ai feriti.
Mentre esse mi salutavano per andarsene alla loro ambulanza di Montmartre, ed io riprendevo il mio cammino verso Montrouge, da La Cecilia, un involtino di carta mi fu gettato senza che io vedessi chi fosse il donatore: era una sciarpa rossa che sostituiva la mia.
Gli agenti di Versailles fatti più astuti, fomentavano nuove discordie: anzi una n'era sorta alla Comune, a proposito di una delazione di certo signor de Montaut, uno dei traditori sguinzagliati da Versailles, fra mezzo gli ufficiali di stato maggiore, il quale annunciava l'assassinio di una infermiera uccisa e insultata dai soldati Versagliesi.
La maggioranza offesa dal manifesto della minoranza, aveva fatto capire che nelle presenti circostanze bisognava dire come già altra volta: Che importa la nostra memoria, purchè la Comune sia salva!
La notizia di una catastrofe interrompe la seduta.
La polveriera Rapp era scoppiata. Si contavano molti morti e feriti: quattro case crollate, e se i pompieri con pericolo della loro vita non avessero strappato alle fiamme i furgoni delle cartuccie, il disastro sarebbe stato ben più grave. Il primo pensiero di tutti fu che fosse un tradimento: la vendetta per la colonna Vêndome atterrata.
Quattro individui, fra cui un artigliere, furono arrestati: il comitato di salute pubblica annunziò che un'inchiesta sarebbe stata aperta; ma non avevano l'abitudine, quei terribili magistrati della Comune, di giudicare senza prove, e luce sul fatto non si ebbe mai.
«I primi ad entrare nella fornace – dice Delescluze nel suo rapporto al Comitato di salute pubblica – sono: Abeaud, Denier, Buffot, zappatori pompieri, 6a compagnia. Quindi sono accorsi contemporaneamente i cittadini Dubois, capitano della flottiglia, Jagot, marinaio, Boisseau, capo del personale della delegazione alla marina, Fevrier, comandante della batteria leggera.
«Grazie al loro eroismo, i furgoni carichi di cartucce, e che avevano già le ruote incendiate, ed i barili di polvere sono stati ritirati dalla zona infiammata.
«Non parlo del salvataggio dei feriti e degli abitanti sepolti, prigionieri nelle loro case, schiacciati orribilmente. Pompieri e cittadini hanno rivaleggiato in coraggio ed abnegazione.
«I cittadini Avrial e Sicard, membri della Comune, furono tra i primi sui luoghi del disastro.
«Dodici chirurghi della guardia nazionale si son recati alla Polveriera Rapp ed hanno organizzato il servizio medico con una puntualità tale che io non saprei abbastanza lodare.
«In tutto una cinquantina di feriti, la maggior parte leggeri, ecco tutto ciò che hanno guadagnato quei di Versailles. La perdita in materiale è senza importanza in confronto degli immensi depositi di cui possiamo disporre: ai nostri nemici non resterà che l'onta di un delitto inutile ed odioso, che aggiunto a tanti altri basterebbe a far chiudere loro in faccia le porte di Parigi, se altri mezzi di difesa non avessimo.
«Tutti hanno fatto più che il loro dovere; ed abbiamo da deplorare pochissimi morti».
Come era corsa voce, potrebbe darsi che la catastrofe fosse la vendetta per la colonna Vêndome: infame rivincita per una statua di bronzo su vittime umane.
Alcuni giorni dopo la catastrofe, una donna, rimasta sconosciuta, inviò alla Polizia di Parigi una lettera che essa aveva trovata in un vagone di prima classe fra Versailles e Parigi, raccontando come avesse visto in faccia a sè un uomo agitato.
Davanti alle fortificazioni, avendo costui sentito il rumore de' calci dei fucile dei federati, gettò un pacchetto sotto il sedile, dove la donna trovò la lettera che essa rimetteva. Eccola:
Stato maggiore delle Guardie Nazionali.
Versailles, 16 maggio 1871.
«Signore,
La seconda parte del piano che vi è stato consegnato dovrà essere eseguita il 19 corrente alle tre del mattino: prendete bene le vostre precauzioni, in modo che questa volta tutto vada bene.
«Per bene assecondarvi, noi ci siamo accordati con un capo della polveriera per farla saltare in aria il 17 corrente.
«Studiate bene le vostre istruzioni, la parte che vi riguarda, e che voi dirigete come comandante.
«Abbiate sempre cura della Muette».
Il colonnello capo di Stato Maggiore
«Il secondo versamento è stato fatto in vostro favore a Londra».
Poi, dietro, un timbro con, la scritta: Stato Maggiore della guardia nazionale.
Gli avvenimenti non permisero di verificare se questa lettera era uno strattagemma adoperato da Versailles per sviare i sospetti, poichè le donne misteriose che depongono o trovano lettere compromettenti non hanno mai ispirato fiducia alla Comune: è certo però che il delitto veniva dalla reazione.
Ciò non impedì che si diffondesse la famosa quartina, che per alcune ore mutò la colonna in gogna di persona viva:
O cacciatore in alto su quei
trampoli,
Che tanto sangue umano fai grondare,
Se in questa piazza ci potesse stare
Senza abbassarti lo potresti bere...
Blanchet ed Emilio Clément, membri della Comune, che mai avevano dato occasione a sospetti di sorta, furono invece sospettati per il loro passato reazionario. Forse si fu troppo severi nel tener calcolo che quelli che si convertono furono già ostili a quell'idea che poi scoprono vera; la loro conversione era stata invece vera e sincera: ma negli ultimi giorni in cui tutto era agguato, se ne potevano contare di quelle che non lo erano: e in questi casi ogni negligenza non è quasi come un tradimento?
Il manifesto del municipio del 18° dipartimento delineava la vera situazione. Sì: bisognava vincere e vincere subito. Dalla rapidità dell'azione dipendeva la vittoria. Ecco alcuni frammenti di questo manifesto indirizzato ai rivoluzionari di Montmartre.
«Grandi e belle cose si sono fatte dal 18 marzo in qua: la nostra opera però non è finita: altre e più grandi bisogna farne, e si compiranno perchè noi proseguiamo il nostro cammino senza tregua, senza timore nel presente e nell'avvenire. Ma per questo bisogna conservare tutto il coraggio, tutta l'energia che abbiamo avuto fino ad oggi; e ciò che più importa, bisogna prepararci a nuove abnegazioni, a tutti i pericoli, a tutti i sacrifici: quanto più saremo pronti a dare, tanto meno ci costerà il sacrificio.
«La salvezza è a questo patto, e la condotta vostra prova che l'avete capito.
«Una guerra senza esempio nella storia dei popoli ci è mossa: essa ci onora, e svergogna i nemici nostri. Voi lo sapete, tutto ciò che è verità; giustizia o libertà non ha mai trionfato sotto il sole senza che abbiano incontrato sulla loro via, armati fino ai denti, gli intriganti, gli ambiziosi, gli usurpatori, che hanno interesse a soffocare le nostre legittime aspirazioni.
«Oggi, o cittadini, voi avete davanti a voi due programmi.
«Il primo, quello dei realisti di Versailles condotti dalla reazione legittimista e dominati da generali capaci di colpi di stato e degli agenti bonapartisti; tre partiti che si sbranerebbero da sè stessi dopo la vittoria e si disputerebbero le Tuileries.
«Questo programma è la schiavitù perpetua, è l'affogamento dell'intelligenza e della giustizia, è il lavoro mercenario; è il collare di miseria posto al vostro collo; è la minaccia ad ogni passo; vi si domanda il vostro sangue, quello delle vostre donne e de' vostri fanciulli; vi si domandano le vostre teste come se esse potessero turare i fori che essi fanno ne' vostri petti, come se le nostre teste cadute potessero far risuscitare quelli che essi vi hanno ucciso.
«Questo programma è il popolo allo stato di bestia da soma, che non lavora che per una massa di sfruttatori e di parassiti, per ingrassare teste coronate, ministri, senatori, marescialli, arcivescovi, gesuiti.
«È Giacomo Bonhomme, al quale si vendono i suoi arnesi fino alle panche del suo tugurio, dal corsetto della sua massaia fino alla biancheria de' suoi bambini, per pagare le pesanti imposte che nutrono il re e la nobiltà, il prete e il gendarme.
«L'altro programma, cittadini, è quello per il quale voi avete fatto tre rivoluzioni, quello per il quale voi combattete oggi, è quello della Comune, il vostro, infine.
«Questo programma è la rivendicazione dei diritti dell'uomo, è il popolo padrone de' suoi destini; è la giustizia e il diritto di vivere lavorando; è lo scettro dei tiranni spezzato sotto il martello dell'operaio, è l'arnese legale del capitale, è l'intelligenza che punisce l'astuzia e la furberia, è l'uguaglianza dopo la nascita e la morte.
«E, diciamolo, cittadini, ogni uomo che al giorno d'oggi non ha un'opinione, non è uomo; tutti gli indifferenti che non prenderanno parte alla lotta non potranno godere in pace i benefici sociali che noi loro prepariamo senza arrossire dinanzi ai loro figli.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
«Non è più un 1830 nè un 48; è l'insurrezione d'un gran popolo che vuol vivere libero o morire.
«E bisogna vincere perchè la sconfitta farebbe delle vostre vedove delle vittime perseguitate, maltrattate e votate al corruccio di vincitori feroci, perchè i vostri orfani sarebbero abbandonati alla loro mercè e perseguitati come piccoli criminali, perchè Cayenne sarebbe ripopolata e i lavoratori vi finirebbero i loro giorni attaccati alla stessa catena dei ladri, degli assassini, dei falsari; perchè domani le prigioni sarebbero piene e le guardie di polizia implorerebbero l'onore di essere i vostri carcerieri e i gendarmi i vostri guardia ciurma, perchè le fucilate di giugno ricomincerebbero più fitte e più sanguinanti.
«Vincitori, non è soltanto la vostra salvezza, quella delle vostre donne, de' vostri fanciulli, ma altresì quella della Repubblica e di tutti i popoli.
«Nessun equivoco: colui che si astiene non può dirsi repubblicano.
«Coraggio dunque, noi stiamo per raggiungere il termine delle vostre sofferenze; non è possibile che Parigi s'abbassi al punto che un Bonaparte la riprenda d'assalto; non è possibile che si rientri qui a regnare su delle rovine e su dei cadaveri; non è possibile che si abbia a subire il giogo dei traditori che stettero mesi interi senza tirare sui Prussiani e che fra un'ora al più tardi ci mitraglieranno.
«Andiamo; nulla d'inutile; le donne consolino i feriti, i vecchi incoraggino i giovani, gli uomini ancora capaci di combattere quantunque già un po' avanzati negli anni, seguano i loro fratelli e ne dividano i pericoli.
«Coloro che pur essendo in forze si dicono fuori d'età, si mettano nella condizione di essere posti un giorno dalla libertà fuori della legge e qual vergogna sarebbe per essi!
«È una derisione. Le persone di Versailles, cittadini, vi dicono scoraggiati e stanchi; essi mentono e lo sanno. Potete voi essere scoraggiati e disperare nella vittoria quando tutti vengono a voi, quando da tutte le parti di Parigi ci si pone sotto la vostra bandiera, quando i soldati della linea, i vostri fratelli, i vostri amici, si rivoltano e tirano sui gendarmi e le guardie di polizia che li spingono ad assassinarvi, quando la diserzione si pone nelle file de' vostri nemici, quando il disordine, l'insurrezione regnano fra essi, quando la paura li atterrisce?
«Quando la Francia intera si leva e vi stende la mano, quando si è saputo soffrire per otto mesi così eroicamente è faticoso forse aver ancora da soffrire qualche giorno, sopratutto quando la libertà è lo scopo della nostra lotta? No, bisogna vincere e vincere subito; con la pace il lavoratore tornerà alla sua carriola, l'artista a' suoi pennelli, l'operaio al suo opificio, la terra ritornerà feconda ed il lavoro ricomincerà. Con la pace noi riporremo i nostri fucili per riprendere i nostri arnesi e, felici d'aver adempiuto il nostro dovere, noi avremo il diritto di dire un giorno: Io sono un soldato cittadino della grande rivoluzione.
«I membri della Comune: Dereure, J. B. Clément, Vermorel, Pascal Grousset, Cluseret, Arnold, Th. Ferré».
La predizione s'è realizzata; accadde peggio che in giugno e dicembre; lo sbaglio si deve alle fatalità riunite del tradimento borghese e della conoscenza troppo imperfetta dei capi dell'esercito della Comune, del carattere dei combattenti e delle circostanze della lotta.
Nell'alternativa tutto poteva servire: tanto una vera armata disciplinata come la voleva Rossel, quanto l'armata della rivolta come la voleva Delescluze. Se i fanatici della libertà avessero trovato bello per vincere di attenersi ad una disciplina di ferro sarebbero occorse due armate, l'una di bronzo, l'altra di fiamma.
Rossel ignorava ciò che fosse un'armata di insorti; egli aveva cognizione soltanto di armate regolari.
I delegati civili alla guerra non conobbero che la grandezza generale della lotta: andare innanzi offrendo il petto. Era bello alzare la testa sotto la mitraglia! Ciò non era necessario contro nemici come quelli di Versailles!
In un ordine all'armata, Rossel si espresse così:
«È proibito interrompere il fuoco durante un combattimento quand'anche il nemico levasse il calcio in aria od inalberasse la bandiera parlamentare.
«È proibito, sotto pena di morte, di continuare a far fuoco quando è stato dato l'ordine di fermarsi. I fuggitivi o coloro che rimarranno indietro saranno uccisi a colpi di spada dalla cavalleria e, se numerosi, uccisi a cannonate; i capi militari hanno, durante il combattimento, pieni poteri per far marciare ed obbedire gli ufficiali ed i soldati posti sotto il loro comando».
Se questo stesso ordine fosse stato dato in modo da far comprendere che si trattava d'assicurare la vittoria, coloro che ne erano colpiti l'avrebbero accettato. Certamente i rivoltosi non sono dei fuggitivi, ma, essendo l'armata di Versailles numerosa, occorreva tattica ed ardore. La Comune non ebbe mai cavalleria; soltanto alcuni ufficiali erano a cavallo. I cavalli servivano per i pezzi d'artiglieria e a diversi usi simili. Chi attacca, inoltre, ha spesso qualche vantaggio.
Un arresto del Rossel, abituato alla disciplina degli eserciti regolari, veniva commutato dalla Comune. Rossel accusato di debolezza si ritirava senza poter essere compreso, reclamando, nell'ardore della sua collera, una cella a Mazas.
Col concorso dell'amico Carlo Gérardin, venne liberato tanto più volontieri in quanto anche la Comune lo preferiva.
Fu una perdita reale. Versailles lo provò assassinandolo.
Il delegato civile alla guerra, Delescluze, vecchio di anni, giovane di coraggio, gridava nel suo manifesto:
«La situazione è grave, voi lo sapete; questa orribile guerra fattavi dai feudatari congiurati con gli avanzi dei regimi monarchici, è già costata tanto sangue generoso, ma tuttavia, pur piangendo tali dolorose perdite, quando penso al sublime avvenire che s'aprirà pei nostri figli, quand'anche non ci fosse concesso di raccogliere quanto abbiamo seminato, saluterei ancora con entusiasmo la rivoluzione del 18 marzo che ha offerto alla Francia ed all'Europa prospettive che nessuno di noi avrebbe osato sperare.
«Dunque, ai vostri posti, cittadini; siate fermi dinanzi al nemico.
«Le nostre barricate sono solide come i vostri cuori. Voi non ignorate, d'altronde, che combattete per la vostra libertà e per l'uguaglianza.
«È questa la promessa che v'ha, sorriso per tanto tempo. Se i vostri petti sono esposti alle palle e agli obici di Versailles, ciò che ritrarrete sarà la libertà della Francia e del mondo, la sicurezza del vostro focolare e la vita delle vostre donne e de' vostri fanciulli.
«Voi vincerete dunque; il mondo che applaude i vostri sforzi magnanimi, si prepara a celebrare il vostro trionfo che sarà quello di tutti i popoli.
«Viva la Repubblica universale!
Ci si affrettava e tutto doveva ancora venire.
La casa del signor Thiers demolita, aveva riempito piazza Saint-Georges della polvere de' suoi nidi di topi; essa doveva ridargli un palazzo.
Ma che importano le questioni d'individui? noi siamo più vicini d'allora al mondo nuovo; attraverso le trasformazioni da esso subite, esso sarebbe morto se lo scoppio avesse tardato.
Nelle case di piacere più infette, gli emissari dell'ordine si nascondevano sotto tutti i travestimenti.
Si credette di poter impedir loro di entrare con l'esigere delle carte d'identificazione. Ma individuo per individuo, come goccia a goccia, essi si infiltravano in Parigi.
Il signor Thiers aveva domandato l'11 maggio all'assemblea impaurita e feroce, 8 giorni ancora perchè tutto fosse consumato.
La cospirazione dei «bracciali» era stata scoperta; altre erano rimaste sconosciute.
Versailles rinunciando a comperare gli uomini che non volevano vendersi, cercava di infiltrare i suoi ove essi potevano dare una parola d'ordine, aprire una porta.
Essi furono male ispirati però cercando di comperare Dombrowski con l'offerta d'un milione e mezzo. Questi avvertì il Comitato della salute pubblica.
Come le persone di Versailles poterono indirizzarsi così male? Dombrowski, capo dell'ultima insurrezione polacca, che aveva resistito quasi un anno all'armata russa, che in seguito aveva fatto la guerra del Caucaso e, come generale dell'esercito dei Vosgi, aveva mostrato che le sue qualità non erano quelle d'un traditore, non poteva servire la reazione!
Versailles guadagnava frattanto terreno; sembrava poi lo perdesse; il topo vittorioso faceva festa mordendo il gatto che indietreggiava.
La sera del 21 maggio, doveva essere dato un concerto a benefizio delle vittime della guerra sociale: vedove, orfani, federati feriti combattendo.
Il numero ed il talento degli esecutori facevano di questi concerti dei veri trionfi. Agar vi diceva dei versi dei Châtiments. Ella vi cantava la Marsigliese con una voce tanto potente che quelli di Versailles dicevano che urlava.
Il 21 maggio, domenica, 200 esecutori formavano una armonia sorprendente. L'uditorio subito s'esaltava avido di sentire; tuttavia i cuori si serravano: si sentiva avanzare il tradimento.
Un po' prima delle cinque un ufficiale dello stato maggiore della Comune s'avanzò sul palco e disse:
«Cittadini, Thiers aveva promesso d'entrare ieri in Parigi; non è entrato, non vi entrerà. Vi convoco per domenica prossima 28, allo stesso posto, al nostro concerto, a beneficio delle vedove e degli orfani della guerra!» Si applaudì.
Durante questo tempo una parte degli avamposti di Versailles entrava per la porta di Saint-Cloud.
Un antico ufficiale di fanteria della marina, chiamato Ducatel, traditore, ancora senza impiego, gironzava cercando, per avvertirne Versailles, i punti deboli della difesa di Parigi; dati i pochi uomini di cui noi si disponeva egli, non dubitava di trovarne. Egli notò che la porta di Saint-Cloud era senza difesa e con un fazzoletto bianco chiamò un corpo di guardia.
Nello stesso momento si presentò un ufficiale di marina; le batterie di Versailles cessarono il fuoco e a piccole squadre i soldati penetrarono in Parigi.
La cessazione del fuoco non fu notata subito; l'orecchio v'era talmente abituato che, parecchie settimane dopo la disfatta si credeva di sentire ancora il rombo dei cannoni. Finalmente ci si accorse della cessazione del fuoco. Ad alcuni parve di buon augurio; ad altri sembrò strano.
Riuniti a Mont-Valérién, Thiers, Mac-Mahon, l'ammiraglio Pothuau telegrafavano dappertutto.
«La porta di Saint-Cloud è stata abbattuta sotto il fuoco dei nostri cannoni, il generale Douay vi si è precipitato; egli entra in questo momento in Parigi con le sue truppe. I corpi dei generali Ladmirault e Clinchamp si muovono per seguirle».
«A. Thiers».
Venticinque mila uomini di Versailles, per tradimento e senza combattere, dormirono quella notte in Parigi.