Louise Michel
La comune
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PARTE QUARTA L'ECATOMBE

I. La lotta in Parigi. – Il massacro.

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PARTE QUARTA
L'ECATOMBE

I.
La lotta in Parigi. – Il massacro.

Au cri vive la Républiquic!
Tomba le vaisseau le Vengeur!

(Vieille Chanson).

Qualche tempo prima dell'entrata dei 25 mila uomini del generale Douay, un membro della Comune, Lefrançais, percorrendo la zona della difesa fu colpito dallo stato di solitudine e di abbandono della porta di Saint-Cloud.

Se il caso non avesse favorito il tradimento di Ducatel, sarebbero state le porte di Montrouge, Vanves, Vaugirard che il conte di Beaufort avrebbe indicato a Thiers come le meno sorvegliate.

Lefrançais inviò a Delescluze un avviso che non gli giunse a tempo. Dombrowski, prevenuto da parte sua da un battaglione di federati, inviò dei volontari che momentaneamente arrestarono i Versagliesi, uccidendo un loro generale che attraversava la banchina. Coloro che fino ad allora avevano creduto che la battaglia fosse stata intrapresa troppo tardi, dicevano ora: – Parigi vincerà, o morirà invitta! Così avevano fatto Cartagine, Numanzia, Mosca; così faremmo noi. –

Dombrowski inviò a Montmartre uno o due federati: la signora Danguet, Mariani e me. Noi dovevamo provare a dire che bisognava affrettarsi per la difesa.

Non so che ora fosse; la notte era calma e bella. Che importava l'ora? Bisognava che la Rivoluzione non fosse vinta, anche nella morte stessa.

Alla Comune le diffidenze avevano trionfato, e quando giunse il dispaccio di Dombrowski portato da Billioray, Cluseret, accusato di negligenza, comparve dopo aver discusso qualche tempo.

La seduta è terminata, Cluseret liberato; non esiste altra preoccupazione che la difesa di Parigi.

La lettera di Dombrowski era esplicita:

«I Versagliesi sono entrati per la porta di Saint-Cloud.

«Io prendo disposizioni per ricacciarli. Se potete inviarmi rinforzi, io rispondo di tutto».

Il Comitato della salute pubblica si riunisce al Palazzo di Città; si prendono in fretta le prime disposizioni; ciascuno impiega il suo coraggio.

Lo sgozzamento cominciava in silenzio. Assì andando dalla parte della Muette vide in via Beethoven degli uomini che, accovacciati a terra, sembrava dormissero. Essendo la notte chiara, egli riconosce dei federati, si avvicina per svegliarli; il suo cavallo scivola in un mare di sangue. I dormienti erano dei morti! tutto un corpo di guardia sgozzato!

L'Officiel di Versailles non aveva ordinato di sparare a morte?

«Niente prigionieri. Se nel mucchio esiste un uomo onesto trascinato dalla forza, lo si vedrà al mondo di . Un uomo onesto si distingue dalla sua aureola; lasciate ai bravi soldati la libertà di vendicare i loro compagni facendo sul teatro e nella rabbia stessa dell'azione ciò che essi non vorrebbero più fare a sangue freddo».

Tutto era . Si persuasero i soldati che essi avevano da vendicare i loro compagni; a coloro che giungevano liberati dalle prigioni Prussiane si diceva che la Comune se la intendeva coi Prussiani e i crudeli s'abbeverarono di sangue.

Perchè, come al 18 marzo l'armata non levasse il calcio dei fucili in aria, si ubriacarono i soldati d'alcool mescolato secondo un'antica ricetta con della polvere; e sopratutto con menzogne: alla storia troppo vecchia dell'indiano segato fra due assi si era aggiunto non so quale altro racconto altrettanto inverosimile.

Parigi, questa città maledetta che sognava il benessere di tutti, in cui i banditi del Comitato centrale e della Comune, i mostri del Comitato di salute pubblica e della Sicurezza non aspiravano che a dare la loro vita per la salvezza di tutti, non poteva essere compresa dall'egoismo borghese, più feroce ancora dell'egoismo feudale: la razza borghese non fu grande che mezzo secolo appena, dopo l'89. Delescluze, Dijon furono gli ultimi grandi borghesi simili ai convenzionali.

Gli uomini energici della Comune, ciascuno al suo posto, col fardello del potere tolto dalle loro spalle, col rispetto della legalità annullato dal dovere di vincere o morire, con le illusioni del sospetto eterno scomparse nella grandezza della loro libertà riconquistata, ridivennero essi stessi. Le attitudini si designavano, senza falsa modestia.

Parigi forse avrebbe sostenuto la lotta! Chi lo sa? I dieci cannoni di Porta Maillot che sparavano da sei settimane, tuonavano sempre, e, come sempre, non appena un artigliere veniva ferito, il suo posto veniva preso da chi si precipitava.

Non si ebbero mai più di due soldati per cannone.

Un marinaio, certo Craon, teneva ancora morendo le due micce che gli servivano per due cannoni, una per ogni mano.

Quasi tutti gli eroi di questo picchetto sono rimasti sconosciuti!

Essi saranno vendicati insieme alla grande rivolta, il giorno in cui su una linea di attacco grande come il mondo si alzerà la sommossa.

All'alba del 21 la Muette era tolta, l'esercito circondava quasi Parigi venendo a raggiungere i 25000 uomini che vi erano penetrati durante la notte.

La campana a martello batte a distesa; in Parigi si suona a raccolta.

I federati del di fuori si ripiegano su Parigi; si teme l'entrata dei Versagliesi! L'osservatorio dell'Arco del Trionfo smentisce la notizia, ma domina tuttavia l'idea di difendere Parigi.

Verso le tre del mattino Dombrowski giunge al Comitato della Salute Pubblica; non comprende l'accusa dapprima, poi se ne rende conto: «Come?, egli dice, si è potuto prendermi per un traditore?» Tutti lo rassicurano stendendogli la mano.

Dereure che era stato inviato presso di lui come Johannard presso La Cecilia, Leo Meillet presso Wrobleski, non gli aveva, e a ragione, parlato di questi odiosi sospetti.

Egli vede che la fiducia è rimasta, ma il colpo è tratto; Dombrowski si farà uccidere.

Al Municipio di Montmartre, La Cecilia, pallido, deciso a tentare tutto per la lotta, cerca di organizzare la difesa.

Ci ritroviamo , con parecchi del Comitato di vigilanza, il vecchio Luigi Moreau, Chevalot.

Con Luigi Moreau e altri due decidiamo d'andare a renderci conto del vero stato delle cose per far saltare l'altura dopo l'entrata dei Versagliesi. Parigi vincerà? Noi siamo sicuri soltanto di questo: che essa si difenderà fino alla morte!

Sulla porta del Municipio siamo raggiunti da alcuni federati del 61°.

«– Venite, mi dicono, noi andiamo a morire; voi eravate con noi il primo giorno, dovete esservi pure l'ultimo

Allora, faccio promettere al vecchio Moreau che l'altura salterà e me ne vado col distaccamento del 61° al cimitero di Montmartre ove prendiamo posizione. Benchè pochi pensiamo di resistere a lungo.

Dei proiettili sempre più numerosi solcavano il cimitero.

Uno di noi disse che essendo il tiro dell'altura troppo corto ripiombava su noi invece di colpire il nemico; dal 17 maggio tale tiro si era riconosciuto cattivo, e durante la mattinata, per questo motivo, senza dubbio, non ce ne servimmo.

Quasi tutti i federati feriti lo erano a causa dell'altura.

Venne la lotta. Eravamo un drappello ben deciso.

Ad intervalli regolari venivano dei proiettili: si sarebbero detti i colpi d'un orologio: quello della morte.

In quella notte chiara, imbalsamata dal profumo dei fiori, i marmi sembravano vivere.

Parecchie volte noi andammo a riconoscerli quantunque i proiettili cadessero sempre.

Volli tornarvi sola; questa volta il proiettile cadde proprio vicino a me: io mi copersi di tralci e di fiori. Ero presso la tomba di Murger. La figura bianca che gettava su questa tomba dei fiori di marmo faceva un effetto meraviglioso. Vi gettai una parte de' miei, e l'altra sulla tomba di un'amica, la signora Poulain, che era sul mio cammino.

Tornando vicino a' miei compagni, vicino alla tomba sulla quale è coricata la statua di bronzo di Cavaignac, essi mi dissero: – Questa volta non vi moverete più! – Resto con loro. Dei colpi di fuoco partono dalle finestre di qualche casa.

Credo che il giorno sia spuntato: abbiamo ancora dei feriti. Il drappello si riduce ed ecco l'attacco; occorre del rinforzo. Si domanda chi andrà. Io sono già lontana, essendo passata attraverso un foro del muro. Non so come si possa andare così in fretta; tuttavia il tempo mi sembra lungo. Giungo al Municipio di Montmartre; sulla piazza un povero uomo che non poteva impiegarsi, piangeva. Egli non ha carta, nulla, e me lo racconta; ma io non ho tempo. – Venite, gli dico, e chiedendo rinforzi a La Cecilia, gli presento il giovane, che è studente, non ha potuto combattere e vuole combattere.

La Cecilia lo guarda: gli fa buona impressione: «Andate», gli dice. Con un rinforzo di 50 uomini torniamo al cimitero. Il giovane è felice. Davanti, vicino a me, cammina Barois; le palle piovono; noi andiamo in fretta; al cimitero si combatte. Giungendovi vi entriamo pel foro; non troviamo più di quindici combattenti; de' nostri cinquanta parecchi sono morti e tra essi il giovane. Diminuiamo continuamente; ci pieghiamo sulle barricate: esse resistono ancora.

Con la bandiera rossa alla testa, le donne erano passate; esse avevano la loro barricata a piazza Blanche. Eranvi Elisabetta Dmihef, la signora Lemel, Malvina Poulain, Bianca Lefèvre, Excoffons. Andrea Leo era a quelle delle Batignolles. Più di dieci mila donne nei giorni di maggio, sparse od unite, combatterono per la libertà.

Ero alla barricata che sbarrava l'entrata del viale Clignancourt, davanti al delta; Bianca Lefevre venne a vedermi.

Potei offrirle una tazza di caffè, facendo aprire, in tono minaccioso, il caffè che trovavasi vicino alla barricata. Il padrone si spaventò, ma, vedendoci ridere ci servi gentilmente. Gli permettemmo di richiudere poi perchè aveva paura.

Io e Bianca ci abbracciammo; essa ritornò alla sua barricata.

Poco dopo passò Dombrowski a cavallo con i suoi ufficiali.

– Siamo perduti, mi disse. – No! gli risposi.

Egli mi tese le mani. Fu l'ultima volta che lo vidi.

A qualche passo da quel luogo venne ferito mortalmente. Noi eravamo ancora in sette alla barricata quando passò nuovamente, questa volta coricato su di una barella quasi morto. Lo condussero a Lariboissière ove morì.

Ben presto di sette non rimanemmo che tre. Un capitano dei federati, grande, bruno, impassibile davanti al disastro, mi parlava di suo figlio, un fanciullo di dodici anni al quale egli voleva lasciare la sua sciabola per ricordo.

Voi gliela darete, diceva egli, come se fosse stato probabile che qualcuno avesse a sopravvivere.

Noi ci eravamo allontanati l'uno dall'altro, tenendo in tre tutta la barricata: io nel mezzo, gli altri due ai lati.

L'altro mio compagno era tozzo, con le spalle quadrate, coi capelli biondi e gli occhi celesti; rassomigliava molto a Poulouin, lo zio della signora Eudes, ma non era lui.

Quel Bretone non era di quelli di Charette; egli metteva nella sua fede novella lo stesso ardore che senza dubbio aveva messo nell'antica quando vi credeva.

Nella sua faccia pallida errava lo stesso sorriso di selvaggio, che aveva il nero d'Issy, dai denti bianchi di lupo. Anche quello non fu più riveduto.

A noi tre non si sarebbe mai creduto che fossimo così pochi; resistevamo ancora. Ad un tratto ecco avanzarsi delle guardie nazionali: il fuoco cessa. Io grido «Venite, non siamo che tre!»

Nello stesso tempo mi sento afferrare, sollevare e gettare nella trincea della barricata come se si fosse voluto accopparmi.

Erano i Versagliesi vestiti da guardie nazionali.

Un po' stordita sento tuttavia di vivere ancora; mi risollevo: i miei due compagni erano scomparsi. I Versagliesi stavano per entrare nelle case situate presso la barricata; io me ne vado comprendendo che tutto era perduto; non vidi altro, che una barriera possibile e gridai: «Il fuoco davanti a essi! il fuoco! il fuoco» – La Cecilia non ha avuto dei rinforzi. Si combatteva ancora. Le donne che non erano state ferite in piazza Blanche, corsero alle barricate più vicine di piazza Pigalle.

Si costruì una barricata nelle vie situate dietro l'argine Clignancourt, alla destra, venendo dal Delta. I Versagliesi potevano essere sorpresi tra due fuochi, ma il tempo mancava.

Dombrowski dopo essere stato portato al Palazzo di Città fu trasportato durante la notte verso Père-Lachaise. Passando dalla Bastiglia venne deposto ai piedi di una colonna, ove, alla luce delle torcie che gli facevano una cappella ardente, i federati che andavano a morire vennero a salutare il prode che era già morto.

Venne sotterrato il mattino a Père-Lachaise ove dorme avvolto in una bandiera rossa.

«Ecco, disse Vermorel, colui che venne accusato di tradimento!» Ed aggiunse: «Giuriamo di non uscire di qui che per morire».

Suo fratello, i suoi ufficiali, i suoi soldati erano attorno a lui.

Batignolles, Montmartre, erano presi; tutto si cambiava in macello; Montmartre rigurgitava di cadaveri. Allora s'illuminarono come torce le Tuileries, il Consiglio di Stato, la Legion d'onore, la Corte dei Conti.

Chissà se, non avendo più il loro riparo, sarà facile ai re di tornare!...

Ahimè! Sono tornati mille e mille re della finanza con la borghesia.

Ciò che si vedeva allora, era sopratutto il sovrano; l'impero ci aveva abituati così.

Il dispotismo cominciava ad avere parecchie teste; esso continuò.

Thiers, non appena conobbe la presa di Montmartre, telegrafò a modo suo in provincia.

Le fiamme dardeggianti, gli appresero che la Comune non era morta.

È l'ora delle rappresaglie fatali, nella quale il nemico, come faceva Versailles, tronca le vite umane come una falce l'erba.

Mentre a Père-Lachaise si salutava per l'ultima volta Dombrowski, Vaysset, che per cospirare meglio aveva sette dimore in Parigi, fu condotto davanti a una gran folla sul Ponte Nuovo e fucilato, per ordine di Ferré, per aver tentato di corrompere Dombrowski. Egli disse queste strane parole: «Voi risponderete della mia morte al conte De Fabrice».

Un commissario della Comune disse allora alla folla: «Questo miserabile volle comperare i nostri capi in nome di Versailles. Così muoiano i traditori».

Tutti i quartieri presi da Versailles erano cangiati in ammazzatoi. La rabbia del sangue era tanto grande che i Versagliesi uccisero i loro propri agenti che andavano loro incontro.

I sopravvissuti al combattimento hanno ancora l'undecimo distretto. Alcuni membri della Comune e del Comitato centrale si sono riuniti alla biblioteca. Delescluze si alza con aria tragica; con una voce simile a un soffio, domanda che i membri della Comune, con la sciarpa a tracolla, passino in rivista i battaglioni. – Si applaude.

Venuti all'appello, alcuni battaglioni entrano a furia di spinte nella sala. Il cannone spara: questa scena è così grande che coloro che circondano Delescluze credono alla possibilità di vincere.

Si chiama il direttore del genio; esso è assente; forse morto.

Il Comitato di salute pubblica agirà senza aspettare gli assenti; la morte è ovunque; ciascuno deve combattere fino alla morte.

Al sobborgo Antoine sonvi tre cannoni; le strade circostanti hanno delle barricate.

La piazza Château-d'Eau un muro di pietre e due cannoni.

Brunel è al primo; Ranvier alle alture Chaumont.

Wrobleski all'altura delle Cailles. Si spera. Sonvi federati alle porte Saint Denis e Saint Martin. Chi sa che Delescluze non abbia ragione!

La Comune vincerà, o almeno Parigi morrà invitta.

Delle donne ammucchiate sugli anditi del Municipio cuciono dei sacchi per le barricate.

Nella sala del Municipio i membri della sicurezza sono : essi sapranno essere all'altezza del pericolo.

Come Delescluze, Ferré, Varlin, J. B. Clément, Vermorel, hanno fede (nella morte, senza dubbio!).

Una tormenta di mitraglia ci circonda; essa soffia terribile in piazza Chàteau-d'Eau. In questo momento vi appare Delescluze.

Lissagaray, testimone della morte di Delescluze, così la racconta:

«Con Jourde, Vermorel, Theisz, Jaclard ed una cinquantina di federati egli marciava in direzione di Château-d'Eau.

«Delescluze indossava il suo abito ordinario, cappello, redingote e pantaloni neri, sciarpa rossa alla cintura, senz'armi: s'appoggiava ad un bastone.

«Temendo del panico a Chàteau-d'Eau noi seguimmo il delegato, l'amico.

«Alcuni di noi si fermarono alla chiesa di Sant'Ambrogio per prendere delle cartucce. Incontrammo un negoziante Alsaziano venuto da cinque giorni per dare il colpo di fuoco a quella Assemblea che aveva preso d'assalto il suo paese; se ne tornava con una coscia forata. Più lungi Lisbonne, ferito, sostenuto da Vermorel, Theisz, Jaclard.

«Vermorel cadde a sua volta gravemente ferito, Theisz e Jaclard lo rialzarono e lo portarono su una barella. Delescluze stringe la mano del ferito e gli mormora parole di speranza.

«A cinquanta metri dalla barriera le poche guardie che hanno seguito Delescluze scompaiono poichè i proiettili oscurano l'entrata del boulevard.

«Il sole tramontava dietro la piazza. Delescluze senza guardare se era seguito, s'avanzava allo stesso passo; era il solo essere vivente sulla panchina del boulevard Voltaire. Giunto alla barricata, volse a sinistra.

«Per l'ultima volta quella faccia austera, dalla corta barba bianca, ci parve volta verso la morte.

«Subitamente Delescluze scomparve; egli cadeva colpita sulla piazza Chàteau-d'Eau.

«Alcuni uomini vollero rialzarlo; tre o quattro caddero; non bisognava più pensare che alla barricata; riannodare i suoi rari difensori. Johannard nel mezzo della panchina, alzando il suo fucile e piangendo dalla collera gridava ai terrificati: «No, voi non siete degni di difendere la Comune

«La pioggia cadde; noi ritornammo lasciando abbandonato agli oltraggi d'un avversario senza rispetto della morte, il corpo del nostro povero amico; egli non aveva prevenuto nessuno; neppure i suoi più intimi.

«Silenzioso, non avendo per confidente che la sua coscienza severa, Delescluze marciò alla barricata come gli antichi membri del partito della Montagna andarono al patibolo».

(Lissagaray, Storia della Comune).

Il sangue scorreva a flotti in tutti i distretti presi da Versailles; i soldati, stanchi di carneficina, s'arrestavano come belve sazie.

Senza le rappresaglie l'uccisione sarebbe stata ancora maggiore.

Soltanto il decreto sugli ostaggi impedì Gallifet, Vinoy e gli altri di operare lo sgozzamento completo degli abitanti dell'intera Parigi.

Un principio d'esecuzione di questo decreto indusse i plotoni d'esecuzione a salvare dei prigionieri che a colpi di calcio di fucile erano spinti verso il muro ove restavano morti e morenti a mucchi.

Noi abbiamo incontrati in Caledonia alcuni di costoro sfuggiti alla morte.

Rochefort racconta così ciò che gli venne detto da un compagno di strada, o meglio di gabbia.

«Si stava per uccidere una quindicina di prigionieri; era venuta la sua volta; egli era stato legato al muro con un fazzoletto sugli occhi.

«Egli attendeva le dodici palle e cominciava a trovare il tempo un po' lungo. Ad un tratto un sergente venne a slegargli la benda fatale gridando agli uomini del plotone d'esecuzione:

Mezzo giro a destra.

«– Che c'è? domandò il paziente.

«–C'è, gli rispose il luogotenente in tono di rimpianto, che la Comune ha decretato che essa pure fucilerà i prigionieri se continuiamo a fucilare i vostri, e che il Governo proibisce ora le esecuzioni sommarie.

«Fu così che vennero resi alla vita altri trenta federati, ma non alla libertà. Essi vennero inviati sui pontoni di dove il mio camerata di galera partì con me verso la Nuova Caledonia».

Le esecuzioni sommarie ripresero dopo il trionfo di Versailles; i soldati ne ebbero le braccia insanguinate come macellai; il governo non aveva più nulla a temere.

Si vedrà, come, da parte della Comune, il numero delle esecuzioni fu infimo!

Riconosciuto da un battaglione che l'aveva insultato e accusato sopra numerose testimonianze, d'accordo con Versailles, il conte di Beaufort venne giustiziato malgrado l'intervento della cantiniera Margherita Guinder, moglie di Lachaise che fece di tutto per salvarlo. Essa venne poi accusata della sua morte, ed anche di aver insultato il suo cadavere, come se questa generosa donna avesse dovuto subire una punizione per aver voluto salvare un traditore!

Chaudey, arrestato dopo qualche settimana sotto l'accusa d'avere il 22 gennaio ordinato di mitragliare la folla, non sarebbe stato fucilato senza il raddoppiamento di crudeltà di Versailles.

Malgrado proponimenti come questi: – I più forti fucileranno gli altri senza gli sgozzamenti di Versaillesera sembrato meno ostile prima del suo incarceramento. Che la sua morte, come tutte le altre, come tutte le fatalità dell'epoca, ricada sui mostri che sgozzando anche i più deboli fecero delle rappresaglie un dovere!

Che si scavino i pozzi, le cantine, i pavimenti delle strade; Parigi intera è piena di morti e tante ceneri sono state gettate ai venti da coprirne intera la terra.

Coloro che formavano il drappello d'esecuzione dei primi ostaggi, volontari feroci, che fino ad allora erano stati gli uomini più dolci, non gridavano: Io vendico mio padre; io vendico i miei figli; io vendico coloro che non hanno nessuno?

Pensate che se la battaglia ricomincia ogni ricordo rimanga seppellito sotto terra e il sangue versato non rifiorisca?

La vendetta dei diseredati! Essa è più grande della terra stessa!

Le leggende più strane corsero sulle petroliere. Di petroliere non se ne ebbero. Le donne combatterono come leoni; ma io non vidi che me gridante: il fuoco, il fuoco davanti a quei mostri!

Non le combattenti, ma disgraziate madri di famiglia, che nei quartieri invasi si credevano protette da qualche utensile che mostravano per far vedere che andavano a procurare dei cibi per i loro bambini (una bottiglia di latte, per esempio), erano considerate incendiarie, portatrici di petrolio e addossate ai muri! Quanto le attesero i loro piccini!

Alcuni bimbi in braccio alle madri venivano con esse fucilati; i marciapiedi erano cosparsi di cadaveri!

Come si sarebbe potuto dire a delle madri: noi vogliamo morire invitti sotto le ceneri di Parigi?

Il Palazzo di città bruciava come un lampadario! Di fronte un muro di fiamme mosse dal vento! La fiamma vendicatrice rifletteva nei laghi di sangue, passando sotto le porte delle caserme, nelle vie, ovunque.

Ben presto dalla caserma Lobeau il sangue, in due ruscelli se ne andò verso la Senna: vi scorse, rosso, lungo tempo.

Millière sugli anditi del Panthéon cade gridando: Viva l'umanità! Questo grido fu profetico: è quello che oggi ci raduna.

Rigaud venne assassinato in via Gay Lussac, ove dimorava, nell'ora stessa in cui venne preso il quartiere. Quello stesso commissario della Comune che assisteva all'esecuzione di Vaysset, passando in via Gay Lussac, nel silenzio spaventevole che regnava dopo la vittoria, alzò gli occhi, verso un appartamento ove dimoravano degli amici di Gastone Dacosta: una persona era alla finestra e, guardando a terra, gli indicava qualcosa.

Egli scorse allora un cadavere con le braccia stese sul marciapiede; la sua uniforme era slacciata, i suoi distintivi strappati, i piedi bianchi e piccoli nudi, essendo stati scalzati secondo l'uso di Versailles; la testa era tutta insanguinata da un piccolo rigagnolo di sangue che sgorgava da un foro e scendeva sulla barba e sul viso rendendolo irriconoscibile.

Un testimone oculare gli raccontò che Rigaud, giungendo dinanzi alla casa che abitava, vestiva la sua uniforme di comandante del 114° battaglione che aveva nel combattimento.

La sua intenzione era di bruciare le carte che erano nel suo appartamento.

I soldati lo riconobbero dall'uniforme. Essi entrarono quasi nello stesso istante di lui e finsero di prendere il proprietario, Chrétien, per un ufficiale federato, affinchè questi dalla paura facesse arrestare colui che avevano visto entrare.

Siccome Chrétien protestava, Rigaud intese e gridò: – Io non sono un vile e tu salvati.

Egli scese fieramente, staccò la cintura, diede la sua sciabola e il suo revolver e seguì coloro che l'arrestavano.

In mezzo alla via egli incontrò un ufficiale dell'armata regolare che gridò:

– Chi è questo miserabile? – e rivolto al prigioniero l'invitò a gridare: – Viva Versailles!

– Voi siete degli assassinirispose Rigaud: – Viva la Comune!

Furono le ultime sue parole. L'ufficiale prese il suo revolver e gli bruciò le cervella. La palla aveva fatto nel mezzo della fronte quel piccolo foro dal quale colava il sangue.

Per molto tempo nessuno volle credere alla morte di Rigaud; alcuni assicuravano di averlo veduto alla testa del suo battaglione; ma siccome era molto valoroso, bisognò riconoscere dalla sua lunga assenza che era morto.

Dopo l'entrata dell'armata di Versailles, le guardie nazionali dell'ordine eccitavano l'esercito all'uccisione gli uni avendo tradito, gli altri avendo paura di essere scambiati per rivoltosi, quegli imbecilli, feroci come tigri, avrebbero sgozzata perfino la terra.

La maggior parte, avidi di dar prova di fedeltà a Versailles, indicavano nei quartieri invasi i partigiani della Comune, facendo fucilare quelli contro i quali avevano odio.

I colpi sordi di cannone, il crepitio della fucileria, i rintocchi delle campane, le colonne di fumo guizzanti di fiamme, dicevano bene che l'agonia di Parigi non era ancor finita, e che Parigi non si arrendeva.

Non tutti gli incendi d'allora, dipesero dalla Comune: alcuni proprietari e commercianti, pur d'essere lautamente indennizzati delle baracche e delle merci ormai inservibili, le incendiarono. Altri incendi furono causati dalle bombe incendiarie di Versailles.

Quello del ministero delle Finanze fu attribuito a Ferré, il quale se l'avesse fatto l'avrebbe anche dichiarato.

Fra questi volontari del massacro che tentavano così ingraziarsi Versailles, aiutandola nella carneficina, vi furono, si dice, un vecchio, ex sindaco di un dipartimento, un capo battaglione che tradiva la Comune, dei facchini, semplici amatori di strage: conducevano essi i branchi versagliesi, già ebbri di sangue.

La caccia ai federati era bene e largamente organizzata: si sgozzava nelle ambulanze; un medico, il dottor Faneau, che non volle abbandonare i suoi feriti, fu ucciso con loro.

L'armata di Versailles tenta di distogliere dai ridotti gli ultimi difensori di Parigi.

La barricata del sobborgo Antoine è presa e i combattenti fucilati; alcuni, rifugiati in un cortile del quartiere Parchappe attendono: non altro asilo. L'istitutrice signorina Lonchamp mostra loro una parte del muro, donde possono fuggire attraverso un buco ch'essi allargano: eccoli salvi.

Versailles stende su Parigi un immenso lenzuolo rosso di sangue. Si ammazza come alla caccia: un vero macello umano: quelli che non restano morti sul colpo o si rifugiano contro ai muri sono abbattuti con comodo.

Allora ci ricordiamo degli ostaggi: trentaquattro agenti di Versailles e dell'Impero sono trucidati. Ma sull'altra parte della bilancia stanno i cadaveri a mucchi. È passato il tempo in cui la Comune diceva: non c'è odio di parte per le vedove e per gli orfani: la Comune manda del pane a 74 donne di coloro che ci fucilano! Quel tempo non è lontano ancora, ma oggi non è l'ora della misericordia.

La Comune non ha più munizioni: ma continuerà fino all'ultimo. Il manipolo d'audaci del Père-Lachaise si batte fra le tombe, contro un'armata, nelle fosse, nei sotterranei, alla sciabola, alla baionetta, coi calci dei fucili: i più numerosi, i meglio armati, l'esercito che custodisce la sua forza per Parigi, sgozza i più bravi.

Lungo il muro bianco che fiancheggia la via del Riposo, i superstiti di questo manipolo eroico, sono fucilati. Cadono al grido di «Viva la Comune!».

, come ovunque, le scariche successive, finiscono quelli che sono stati risparmiati dalle prime: alcuni anzi, muoiono sotto i mucchi dei cadaveri, già sotto terra.

Un altro manipolo, quelli delle ultime ore, cinta la sciarpa rossa, corrono alla barricata di via Fontaine-au-Roi. Altri membri della Comune e del Comitato di salute pubblica vengono ad unirsi a costoro, ed in quegli istanti di morte la maggioranza e la minoranza si stringono la mano.

Sulla barricata sventola una grande bandiera rossa: vi si battono i due Ferré, Teofilo ed Ippolito, G. B. Clément, Cambon, un garibaldino.

La barricata di via San Mauro sta per soccombere, quella di via Fontaine-au-Roi resiste vomitando mitraglia in viso alla truculenta Versailles. Par di sentire la torma dei lupi affamati: non resta alla Comune che una piccola parte di Parigi, dalla via del sobborgo del Tempio al boulevard di Belleville.

In via Ramponeau un solo combattente sulla barricata arrestò un momento i versagliesi.

Le sole ancora in piedi, in questo momento in cui tace il cannone del Père-Lachaise, sono quelle di via Fontaine-au-Roi.

Mancano di mitraglia, fra poco avranno addosso quei di Versailles. Quando stavano per scaricare gli ultimi colpi, una giovinetta venne dalla Barricata di via San Mauro ad offrire l'opera sua: volevano allontanarla da quel luogo di morte; ma vi restò.

Alcuni istanti dopo, la barricata scaraventava addosso agli assalitori tutti gli esplosivi che aveva e in questa scarica enorme, che noi udimmo fin da Satory, cadeva la barricata.

All'infermiera dell'ultima barricata e dell'ultima ora, G. B. Clément dedicò più tardi la Canzone delle ciliegie. Nessuno mai la rivide.

La Comune era morta, seppellendo con stessa migliaia d'eroi sconosciuti.

L'ultimo colpo di cannone tuona più forte e più pesante! Sentiamo che è la fine: ma tenaci come siamo nell'ora della disfatta, non vogliamo confessarcelo.

Siccome io pretendevo d'averne inteso altri, un ufficiale ch'era , impallidì di furore, o forse di timore temeva d'indovinare la triste verità.

La stessa domenica, il 28 maggio, il maresciallo MacMahon fece affiggere in Parigi deserta questo manifesto:

«Abitanti di Parigi.

«L'armata di Francia è venuta a salvarvi. Parigi è libera; i nostri soldati hanno preso in quattro ore le ultime posizioni occupate dagli insorti. Oggi la lotta è terminata; l'ordine, il lavoro, la sicurezza cominciano a rinascere

«Il maresciallo comandante in capo
Mac-Mahon, Duca di Magenta».

Quella domenica, in via Lafayette fu arrestato Varlin. Il suo nome destò l'attenzione e fu tosto circondato dalla folla strana dei giorni cattivi.

Lo si mise in mezzo ad un drappello di soldati per condurlo sull'altura, che doveva essere il macello.

La folla cresceva; non quella che noi conoscevamo, fervida, impressionabile, generosa, ma la folla delle sconfitte, che viene ad inneggiare ai vincitori, ed insultare ai vinti, la folla del vae victis eterna.

La Comune aveva ceduto, e questa folla aiutava la carneficina.

Si stava già per fucilare Varlin vicino ad un muro ai piedi dell'altura, quando una voce gridò: Bisogna farlo camminare ancora; ed altri soggiungevano: Andiamo in via Rosiers.

I soldati e l'ufficiale obbedirono e Varlin, sempre con le mani legate, fece la salita, sotto una tempesta d'insulti, di grida, di percosse. C'erano intorno a lui due mila di quei miserabili. Egli camminava altero, la testa alta, ma un colpo di fucile, sparato senza comando, pose fine al suo martirio. I soldati si precipitarono per finirlo: era morto.

Tutta Parigi reazionaria e vile, che fugge nell'ore terribili e s'intana, non avendo più nulla da temere venne a vedere il cadavere di Varlin.

Mac-Mahon agitando incessantemente gli ottocento cadaveri che la Comune aveva fatto, tentava di legalizzare agli occhi dei ciechi il terrore e la morte. Vinoy, Ladmirault, Donay, Chinchamp dirigevano la carneficina, macellando Parigidice Lissagaray – sotto quattro comandi.

Quanto sarebbe stato meglio e più bello che il rogo ci avesse tutti avvolti nelle sue fiamme!

Le nostre ceneri seminate ai quattro venti come vindici di libertà, avrebbero atterrito meno la folla che questi macelli umani!

Ma ci voleva per i vegliardi di Versailles questo bagno di sangue per riscaldare il loro corpo già tremante!

Le rovine dell'incendio della disperazione sono segnate con uno strano sigillo. Il municipio dalle sue finestre vuote come l'occhiaie dei morti stette a mirare per dieci anni la rivincita dei popoli: la grande pace del mondo, ancor oggi aspettata, guarderebbe ancora se non si fossero demolite le rovine.

Al ritorno dalla Caledonia, potei salutarla! La Corte dei Conti, le Tuileries, attestano ancora che si volle morire invitti.

Oggi le rovine della Corte dei Conti vengono tolte per l'Esposizione.

Vi vendono ancora all'asta: gli affreschi di Teodoro Chassereau, del quale uno solo, La Forza e l'Ordine, è in buono stato, e gli alberi schiantati nella rovina, e coperti d'uccelli spauriti ai quali davano asilo.

Se invece dei palazzi fossero bruciate le stamberghe, affinchè non vi si morisse più di fame, forse la carneficina sarebbe stata meno facile.

Non piangiamo sulla lentezza delle cose, il germinale secolare cresce in questa terra grassa di morte.

La pazienza di coloro che soffrono sembra eterna ma pure nella marea le acque sono pazienti, calme; e vanno e vengono con dell'onde lunghe, morbide: ma sono pur quest'onde che si gonfiano, che ingigantiscono come montagne e si scaraventano mugghiando sulla spiaggia e la sprofondano nell'abisso.

Così noi abbiamo visto quest'onde nel paese dei cicloni, coll'implacabilità delle lotte della natura, e fu come il miraggio della nostra lotta.

L'acqua si butta sulle foreste con subiti boati, si sfascia e crepita come scariche di fucileria.

Gli alberi si spezzano con fracasso, le roccie son battute in breccia, e il coro dell'uragano passa per quelle lande nel silenzio profondo degli uomini.

Abissi profondi, franamenti sconosciuti, come un pianto lungo, umano, si sentono anche laggiù; ripetuti anche dal cannone d'allarme.

Più squillanti dei bronzi, echeggiano le trombe del vento, e fiammeggiante come la polvere è la elettricità sparsa e saturata nell'aria.

E le onde, mugghiando, gettano alle roccie, come a tentarne la scalata, i loro artigli bianchi di schiuma.

L'oceano sconvolto da forze misteriose e terribili si butta nelle voragini, come se sterminate braccia lo ricevessero nell'amplesso e lo rigettassero lontano.

Così come queste forze terribili, si sviluppano potenze sconosciute, e i fiotti di sangue montano più violenti al cuore, riportando con come da un abisso cose confuse di un lontano passato, che si rivive negli elementi scatenantisi.

Nella lotta implacabile di Parigi l'impressione era la stessa: solo che in avanti essa trasportava i cuori, nella speranza di un lontano avvenire di progresso.


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