Louise Michel
La comune
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PARTE QUARTA L'ECATOMBE

II. La "curèe" fredda.

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II.
La "curèe" fredda.

Nelle sere di caccia, nei canili, dopo il primo pasto fatto delle carni ancor palpitanti della vittima sgozzata, i bracconieri buttano ai cani del pane inzuppato di sangue, quale ultimo avanzo della caccia; così alla carneficina furono offerte dai borghesi di Versailles fin le ultime vittime.

Dapprima la strage in massa, quartiere per quartiere, all'entrata della truppa regolare, quindi la caccia ai federati, nelle case, nelle ambulanze, dappertutto.

Si cercavano, con cani e fiaccole, nelle cantine; persino nelle catacombe; cominciò la paura.

Alcuni soldati di Versailles, sperduti nelle catacombe, avevano creduto di perire.

La verità si è che essi erano stati guidati nell'uscita dal prigioniero fatto, e non avendo voluto in ricambio consegnarlo per essere fucilato, gli avevano lasciata salva la vita: cosa però che tennero segreta, chè altrimenti i loro padroni li avrebbero puniti con la morte. E fecero circolare sulle catacombe delle strane leggende.

Essendo d'altra parte corso voce che i federati s'erano nascosti, armati, nelle case, scemò alquanto l'ardore per queste caccie.

Talvolta la bestia tenta di sorpassare i cani e il cacciatore; tal'altra, invece, sembra quasi pigra a lanciarsi nella corsa, quasi per sentirsi addosso il respiro caldo, affannoso dei cani. Così spesso il disgusto invadeva anche quegli uomini venduti.

Alcuni, tornata la pace, morirono di fame sognando libertà...

Gli ufficiali, padroni assoluti della vita dei prigionieri, ne disponevano a loro voglia.

Le mitragliatrici erano usate meno dei primi giorni; solamente quando il numero delle vittime condannate era maggiore di dieci e c'erano macelli comodi, come le casematte dei forti che si chiudevano una volta piene di cadaveri, o il Bosco di Boulogne, il che nel tempo stesso procurava una passeggiata.

Ma tutta questa carneficina che empiva ogni luogo di cadaveri, e l'orribile puzza che ne emanava, attirava sulla morta città sciami d'insetti, mosche e tafani; cosicchè i vincitori, temendo la peste, cessarono le esecuzioni.

La morte non ci perse nulla: i prigionieri ammucchiati a l'Orangerie, nei sotterranei, a Versailles, a Satory, senza biancheria per i feriti, nutriti peggio delle bestie, furono presto decimati dalle febbri e dall'inedia.

Alcuni, vedendo attraverso le inferriate la moglie o i bambini diventarono pazzi.

D'altra parte i bambini, le donne e i vecchi cercavano nelle fosse comuni, tentando di riconoscere i loro cari, o nei carri pieni di cadaveri che incessantemente passavano. Se poi il dolore delle mogli era troppo rumoroso, si arrestavano.

Con la testa bassa, cani magri ed affamati erravano tra i morti urlando: alcuni colpi di spada talvolta decimavano le povere bestie.

C'era nei primi tempi una certa qual promessa di 500 franchi per chi sapeva indicare il rifugio di un membro della Comune e del Comitato centrale, tanto in Francia che all'estero. Chiunque si sentiva capace di vendere un proscritto, era invitato.

La lettera seguente fu indirizzata fin dal 20 maggio agli agenti del governo di Versailles presso gli Stati esteri.

«Signore,

«L'opera abbominanda dei scellerati che soccombono sotto l'eroico sforzo della nostra armata non può essere confusa con alcun atto politico: costituisce una serie di delitti previsti e puniti dalle leggi di tutti i popoli civili.

«L'assassinio, il furto, l'incendio sistematicamente ordinati, preparati con una abilità infernale non devono permettere ai loro complici altro scampo che quello della espiazione legale.

«Nessuna nazione può colpirli con l'immunità e fra l'umanità intera sarebbero un'onta ed un pericolo.

«Se dunque voi venite a sapere che un individuo compromesso nell'attentato di Parigi ha passato la frontiera della nazione presso la quale voi siete accreditato, vi invito a sollecitare dalle autorità locali il suo arresto immediato, e a darmene avviso perchè io possa regolarizzare la situazione con una domanda di estradizione

Giulio Favre».

L'Inghilterra per tutta risposta diede asilo ai proscritti della Comune.

Il governo spagnuolo e quello belga soli inviarono la loro adesione a Versailles.

Il Belgio però dopo i primi momenti, nei quali fu anche assediata la casa di Victor Hugo, perchè per quanto male informato su alcuni individui, aveva offerto un asilo ai rifugiati; dopo questi primi momenti, ripeto, il Belgio più al corrente degli avvenimenti, aprì le sue porte e non le rinchiuse più. Vanghau, Deneuvillers, Constant Martin, rappresentavano i malfattori.

L'ospitalità larga e pronta è già da lungo tempo la gloria dell'Inghilterra.

Come altre nazioni ereditarono dal passato le atrocità in disuso, essa ripristina questa virtù: l'ospitalità.

Anche oggi i proscritti che fuggono alla strage del sultano rosso; i proscritti sfuggiti a Montjuich trovano a Londra, come già vi trovarono i fuggitivi della Comune, una pietra ove riposare la loro testa.

Un giornale belga, La Libertà, avendo riprodotto il doloroso racconto d'un prigioniero arrestato alla presa di Chatillon ed internato a Brest dopo mille insulti, si comprese quale fosse il carattere dei federati e la ferocia di Versailles.

Le cose furono meglio chiarite a Bruxelles e a Londra.

I soldati e i gendarmi avevano l'ordine, qualora sentissero qualche rumore dentro i carri da bestiame, dov'erano rinchiusi i prigionieri durante i lunghi viaggi, di scaricare i loro revolvers attraverso i buchi fatti per respirare... e l'ordine fu eseguito!

Satory era il punto di radunanza da dove poi si inviarono o alla morte, o sui pontoni o a Versailles.

Il sangue non seccava così facilmente sui pavimenti, e la terra già satura non poteva sorbirne di più: si credeva di vederlo scorrere nella Senna imporporata.

Bisognava far scomparire i cadaveri: i laghetti delle Montagnole di Chaumont rigettavano i loro: galleggiavano sballottati qua e alla superficie.

Si erano rimossi per portarli nelle fosse comuni, veri ammassi di carne putrefatta: si portavano dappertutto: nelle casematte, dove si finì per bruciarli con petrolio e catrame, nelle fosse scavate intorno ai cimiteri; si bruciarono a carrettate sulla piazza dell'Etoile.

Quando per la prossima esposizione si scaverà il sottosuolo al Campo di Marte, si vedranno i fuochi accesi sulle lunghe file dove si allineavano sotto a letti di catrame, si vedranno forse ancora le ossa imbiancate dalla calce riapparire schierate per la battaglia come già lo erano nei giorni di maggio.

Alcuni rammenteranno forse i bagliori rossastri, le colonne nere di fumo, che in certe case, dopo la capitolazione di Parigi, si vedevano di lontano: erano le fornaci improvvisate che esalavano fetidi odori.

C'era fra quei morti gente che si aspettava ancora, e che si aspettò per lungo tempo, finchè si fu stanchi di non veder nulla: si sperava però non ostante sempre.

Poi, alcune pie donne, nascondendo sotto i loro vecchi scialli manate di semi, vennero e furtivamente li seminarono sulle fosse dei cimiteri.

E vi germogliarono e vi fiorirono come goccie di sangue; allora le donne furono sorvegliate e grossolanamente insultate: ma non ostante ciò, le fosse erano sempre fiorite.

Una donna, la signora Gentil, il cui marito aveva combattuto nel '48, e forse anche nel '30, lasciò per parecchi anni la porta socchiusa perchè suo marito potesse rientrare senza svegliare sospetti. Egli era uscito illeso dalle giornate di giugno; era rientrato una sera... Perchè non rientrerebbe anche dopo i fatti di maggio?

Chiamava i suoi giardini i fiori dei morti, e li coltivava per i morti: ma suo marito no, non voleva fosse morto. Il suo cane, un grosso cane bianco, l'aspettava alla porta dei cimiteri, e poi la notte con lei aspettava il padrone.

Madama Gentil credette di conoscere il luogo dove era stato sepolto Delescluze, e lo disse a sua sorella, con la quale spesso si trovava. Essa non fu mai arrestata: forse dovette questo privilegio perchè la si vedeva attendere il marito, che avrebbero poi arrestato con lei; forse lo dovette a qualche famiglia influente che a sua insaputa era stata commossa da questa convinzione contro la morte.

Al nostro ritorno dalla Caledonia, Madama Gentil, felice come mai era stata da tanti anni, si commuoveva ancora parteggiando le sue scarse provviste con chi nulla aveva, quando sentiva dei passi che gli ricordavano il povero marito e il cane drizzava le orecchie.

Ho detto che la cifra di trentacinquemila, adottata ufficialmente per numerare le vittime della repressione di Versailles, non può essere presa sul serio.

La lettera di Beniamino Raspail a Camillo Pelletan, contiene in proposito dei dati indiscutibili, che molti altri poi vennero corroborando.

«Mio caro amico,

«Si avrà un bel daffare a stabilire il numero delle vittime che furono fatte nella repressione della Comune: non si riuscirà mai a saperne il numero esatto.

«Dal vostro articolo apparso sabato nella Giustizia, voi dite che bisogna valutare a più di tre mila e cinquecento i cadaveri sotterrati al cimitero d'Ivry. Posso assicurarvi che siete ben lontano dal giusto.

«Infatti, solamente nell'immensa fossa scavata in quello che si suol dire il primo cimitero parigino, d'Ivry, furono scaricati più di quindici mila corpi.

«Inoltre furono scavate parecchie altre fosse, che contenevano ciascuna, secondo i calcoli, seimila cadaveri in tutto ventitremila.

«In quel tempo io non tardai ad essere ben informato, e gli agenti di polizia, incaricati per parecchi anni d'impedire ai parenti ed agli amici di depositare il minimo segno di ricordo su questa immensa fossa, interrogati risposero sempre con quella prima cifra.

«Posso ancora aggiungere che alcuni di essi non celavano quanto fosse loro penosa questa consegna di fronte ai parenti.

«La cifra di quindici mila nella fossa grande non fu messa mai in dubbio.

«In una prima campagna contro l'amministrazione dell'assistenza pubblica, brochure che io pubblicai nel 1875, citavo questa cifra a pagina 9. Ora voi sapete come l'ordine morale spiava, per soffocarle e per condannarle, anche le minime rivelazioni di quell'epoca sanguinosa.

«Ebbene, non osò fare alla mia alcuna contestazione.

«No, non si saprà mai il numero degli uccisi durante e dopo la lotta, e l'altro, più enorme, di quelli che pur non avendo preso parte alcuna alla Comune, furono ugualmente fucilati, sgozzati.

«Un particolare ancor più noto: per più di sei settimane, ogni mattina dalle 4 alle 6 ore si giustiziava al forte di Bicêtre. E negli ultimi giorni le infornate erano ancora d'una trentina di vittime.

«In molti luoghi del sobborgo, le trincee innalzate dai prussiani servirono per seppellirvi mucchi di fucilati.

Qui alcuni punti indicano indubbiamente particolari troppo dolorosi o un numero di cadaveri troppo alto perchè ne fosse permessa la stampa.

Beniamino Raspail continua quindi:

«Dopo tutte le rivelazioni fatte per alcune settimane dalla stampa, dopo le imprudenti parole pronunziate da Leroyer, non bisogna dimenticare, non vogliamo si dimentichi. Ebbene, sì, io sono di questo parere: bisogna che la giustizia, che l'umanità e la civiltà, affogate in quei giorni in torrenti di sangue, riprendano i loro diritti. Una vera inchiesta non ha potuto essere fatta coscienziosamente. Il primo punto da stabilirsi, gli è di sapere tutti i luoghi di esecuzione, nei quali si fucilarono vittime senza alcuna forma di processo, e senza il minimo processo verbale.

«Allora, dopo il combattimento, dopo la lotta, si ebbero dei veri assassinii

Beniamino Raspail
Deputato e consigliere generale della Senna

20 Aprile 1880.

Come s'illudeva ancora, Beniamino Raspail. Quando le cose sono conosciute, gli è allora forse che sono meglio impunite.

Camillo Pelletan aggiunge: «Alcuni consiglieri comunali fecero un'inchiesta privata sui risultati della repressione dal punto di vista della popolazione operaia, ed arrivarono a questa conclusione, se non erro, che erano scomparsi circa centomila operai.» (La settimana di maggio).

In Caledonia noi non sapevamo per quanto tempo ancora si arrestarono persone sotto l'accusa di essere comunardi: però l'ultimo deportato nella penisola Ducos, arrivò poco tempo prima dell'amnistia.

Era un vecchio contadino e si meravigliava come avessero potuto condannar lui ch'era un bonapartista.

Il disgraziato piangeva assai, e noi consolandolo alla nostra maniera, gli dicevamo che stando così le cose, la condanna era giusta. Ed eravamo riusciti così bene a fargli cambiar idee ed a consolarlo che, quando ritornammo in Francia, egli cominciava a meritare d'esserci venuto a trovare.

Come quelli di Versailles avevano ucciso secondo il loro furore, così arrestarono a loro piacere. Disgraziato colui che aveva un nemico così vile da mandare, vera o falsa, firmata o anonima, una denunzia; era ritenuta vera senza esame. L'armata aveva disposto della vita dei parigini, la polizia fu arbitra della loro libertà.

Vi furono arresti finchè le prigioni rigurgitarono; non potendo più far scomparire troppo facilmente i prigionieri, il governo obbligò i denunciatori a firmarsi.

Tutte le basse gelosie, tutti gli odî feroci, si erano fin allora saziati.

Forse la circostanza stessa toccò tale un'intensità d'orrore che disgustò gli stessi vincitori, e il sangue di maggio si serrò loro alla strozza.

Le grandi città di provincia, tutta la Francia era un'immensa trappola.

Alcuni arresti ed alcune esecuzioni a Versailles, ebbero il loro quarto d'ora di storia.

Nella notte dal 25 al 26 maggio, al n. 52 del Boulevard Picpus due vecchi polacchi, superstiti dell'emigrazione del 1831, sorbivano il loro thè, raccontandosi gli avvenimenti ai quali per la tarda età non potevano prender parte. Questa parte sarebbe stata per Versailles, dove uno d'essi, certo Schweitzer, aveva un nipote carissimo: l'altro era un certo signor Razwadowsky. Avendo saputo che il quartiere era stato invaso dall'armata regolare, dov'era luogotenente il giovane nipote, ebbero l'idea di preparare sulla tavola tre chicchere: chissà che non fosse alle volte venuto anche il luogotenente.

Mentre i due discorrevano tranquillamente, alcuni soldati s'informavano presso il portinaio come di solito facevano dovunque: era con loro un ufficiale.

Nell'appartamento vicino, altri due inquiliniappartenenti questi alla Comune – stavano ascoltando i due vecchi, i quali – pensavano essi – avrebbero potuto denunciarli.

– Ci sono stranieri qui? – domanda l'ufficiale.

– Sì, ci sono i due polacchi del quinto pianorisponde rispettosamente il portinaio.

– Dei polacchi? Sono di certo con Dombwroski. Salite, avanti!

Il portinaio obbedisce.

L'ufficiale picchia, lo zio si precipita, ma non è suo nipote.

– Voi facevate dei segnali, – dice l'ufficiale mostrando le due candele ch'essi in segno di gioia avevano accese sul davanzale. – Voi fate parte dei banditi della Comune. Giù, seguiteci.

I vecchi credono ad uno scherzo.

– Dov'è la terza persona che voi nascondete? Ci sono tre tazze qui!

Essi tentano una spiegazione che è ritenuta una burla: ed eccoli spinti giù per le scale, trattati come vecchie canaglie, e fucilati quasi subito.

Siccome la loro vecchiaia non era sufficiente a farli riconoscere, i bravi soldati fecero, come dicevano a Versailles, nella rabbia del combattimento ciò che l'indomani a sangue freddo, non avrebbero fatto.

Intanto, malgrado la trappola posta alla casa, i due altri inquilini comunardi, riuscirono momentaneamente a sfuggire.

Il giornale Le Globe narrò quanto fu riferito poi da parecchi altri. «Un membro dell'assemblea nazionale essendo andato a vedere alcune centinaia di donne prigioniere a Versailles, vi riconobbe una delle sue migliori amiche, donna del gran mondo, che era stata fatta prigioniera in una razzia a Parigi, e ch'era come tutte le altre venuta a piedi fino a Versailles. Le altre, per quanto avessero fatto delle denuncie, non sembrando esse presentare sicure garanzie, furono fucilate insieme a quelli che esse denunciarono

Ci furono degli episodi truci.

Il Petit Parisien del 31 maggio '71 diceva:

«Brunet era presso la sua amante quando fu preso e fucilato, e questa donna fu pure trucidata. Dopo questa duplice esecuzione, furono messi i sigilli all'appartamento. Ieri quando tornarono per sotterrare i due cadaveri, l'amante di Brunet non era ancora spirata; non vollero finirla e la trasportarono in una ambulanza

Ora questi due disgraziati erano stati vittime di una rassomiglianza, giacche Brunet aveva potuto rifugiarsi a Londra. Billioray morto alla Nuova Caledonia, Ferrè arrestato alcuni giorni dopo; Vaillant che potè passare in Inghilterra, furono uccisi più volte in effige. Disgraziato chi rassomigliava ad un membro della Comune o del Comitato Centrale! Eudes, Cambon, Lefrançois, Vallés, trovarono delle persone che furono fucilate e in parecchi sobborghi contemporaneamente per la sola ragione che rassomigliavano ad essi.

Un mercante, certo Constant, denunciato da alcuni nemici, fu doppiamente accusato perchè rassomigliava a Vaillant e perchè fu preso per Constant Martin, ma non si potè fucilarlo che una volta sola...

Durante questo tempo l'assemblea di Versailles e i giornali glorificavano l'armata per il sangue versato.

Che felicità! La nostra armata ha vendicato le sue disfatte con una vittoria magnifica! (journal des Débats).

La domenica del 4 giugno furono fatte delle collette per gli orfani della guerra. Madama Thiers e la Marescialla Mac-Mahon erano presidentesse e ripresero l'opera dell'antica società per le vittime della guerra. Amara delusione!

Ma l'idea non è perduta: altri la riprenderanno e la renderanno più grande. Già la parola umanità, pronunciata da Millières morente vola attraverso il mondo; questa trasformazione, ch'egli salutò morendo, sarà il secolo ventesimo.

Dopo la vittoria dell'Ordine, lo spavento era così grande che la città natìa di Coubet, Ornans, per decisione del Consiglio municipale fece togliere la statua del pescatore della Loira.

Ciò che non si potè togliere fu l'albero sanguinoso che segnava quell'epoca tanto largamente che allora non si poteva neppure misurarne le profondità.


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