Louise Michel
La comune
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APPENDICE

I. Ricordi di Beatrice Excoffons.

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APPENDICE

I.
Ricordi di Beatrice Excoffons.

Beatrice Oeuvrie, maritata Excoffons, mi confidò – alcuni anni fa – il racconto della sua vita durante la Comune e dopo la sua condanna. Le dimensioni di questo volume non mi permettono che di citare le pagine riguardanti l'armata delle donne, con bandiera rossa spiegata al vento, al forte d'Issy. Queste semplici note possono bene dimostrare come le parigine sapevano marciare coraggiosamente per la libertà.

«Il primo aprile 1871narra Beatrice Excoffons – una vicina mi chiese s'io avessi letto il giornale che annunciava una riunione di donne in piazza della Concordia. Volevano andare a Versailles per impedire effusioni di sangue. Informai mia madre della mia partenza, abbracciai i miei bambini e mi misi in cammino.

«In piazza Concordia, all'una e mezzo, mi unii al corteo. C'erano settecento od ottocento donne: alcune consigliavano di informare Versailles di ciò che Parigi voleva: le altre parlavano di cose ormai vecchie di cent'anni fa, quando le donne di Parigi erano già andate a Versailles, per condurre via, come si diceva in quel tempo, il fornaio, la fornaia e il piccolo garzone. Andammo così fino alle porte di Versailles, dove incontrammo i parlamentari framassoni che ritornavano.

«La cittadina che aveva organizzato il corteo, sentendosi stanca, propose di riunirci in qualche luogo. Ci riuniamo infatti nella sala Ragache: dovemmo nominare un'altra cittadina per riprendere la marcia.

«Fui chiamata io stessa: mi fecero montare sopra un bigliardo, ed esposi il mio pensiero: cioè che non eravamo sufficienti per andare a Versailles, ma che eravamo invece bastanti per andare a curare i feriti nelle compagnie di marcia della Comune.

«Le altre accettarono il mio piano e la nostra partenza fu stabilita per il giorno dopo, fino allo stato maggiore della guardia nazionale. Quivi il capo mi consegnò un lasciapassare per me e per le cittadine che mi avrebbero accompagnata.

«Chiesi allora dove avrei potuto dirigermi: mi consigliarono a partire per Neuilly. Il forte di Mont Valerien aveva tuonato il giorno prima; volevamo vedere se per caso non fossero rimasti abbandonati nei campi dei feriti. Venti donne mi seguirono.

«Ed eccoci in cammino per Neuilly: molti al nostro passaggio ci regalano filacci e bende: da un farmacista comperai i medicamenti necessari, e ci mettemmo a battere la campagna in cerca di feriti, non accorgendoci che eravamo proprio in mezzo all'armata di Versailles. Ad un certo punto scorgemmo dei gendarmi, ed indovinando il pericolo ci fermammo.

«– Lasciateci passiatedicemmo – noi vogliamo andare a curare i feriti! – Sentivamo rombare il cannone, ma non sapevamo da che parte. Feci tagliare un ramo d'albero da un ragazzo a cui regalai un paio di soldi, e con quello ci credemmo invincibili.

«Fu convenuto di non parlare del salvacondotto della Comune; di più le mie compagne mi consigliarono di ripiegare il vessillo. Volli invece conservarlo spiegato al vento, per cui ad un tratto ci trovammo sopra un ponte circondato di gendarmi, ai quali chiedemmo di lasciarci passare. Ci fu risposto di no.

«Fu chiamato un tenente, il quale ci chiese che cosa andassimo a fare con quella bandiera rossa. Gli risposi che si andava a curare i feriti, e che avevamo voluto passare il ponte, perchè ci pareva di avvicinarci al luogo del combattimento. Ebbe un istante d'esitazione, durante il quale una delle nostre, dimenticando ciò che era stato convenuto fra noi, uscì a dire che noi avevamo un lasciapassare.

«– Come potete affermarlorisposi io – se noi non ne abbiamo?

«– Volevo diresoggiunse quella, comprendendo – se il signor tenente ce ne desse uno.

«Costui diede ordine di lasciarci passare, non essendo che donne senz'armi.

«Arriviate all'altro capo del ponte, il cannone continuava a rombare. Una donna che passava ci disse che doveva essere verso Issy: e domandandole noi come potremmo giungervi, ci consigliò d'andar più avanti, e di chiamare il battelliere che si trovava nell'isolotto.

«– Ma, soggiunse, ricordatevi di dirgli che siete donne della Comune.

«Chiamammo il battelliere, dicendogli che si andava a curare i nostri fratelli feriti: il brav'uomo ci fece entrare nella sua capanna, ci obbligò a rifocillarci, poi, tagliato un ramo d'albero, vi aggiunse il drappo rosso e me lo riconsegnò...

«Quando io ripenso a quei tempi ed a quel buon navicellaio quasi vegliardo, ch'ebbe per noi tante cure, mettendo a nostra disposizione tutte le provvigioni della sua casupola, per il solo fatto che noi andavamo a difendere le nostre idee, mi par di ricordare il mio buon babbo, a Cherbourg. Quando ritornavano i disgraziati deportati, tutta la casa era sossopra per preparare ad essi ciò di cui potevano abbisognare: e fra di essi trovava talvolta degli amici, chè egli pure era stato arrestato durante il colpo di stato del 51.

«Quando fu rilasciato, si continuò per nove anni a leggere nei rapporti delle Caserme ch'era assolutamente proibito andare dall'orologiaio Oeuvrie sotto pena di un mese di carcere. L'odio dell'Impero l'aveva perseguitato, come quello di Versailles ha perseguitato me.

«Torno al mio racconto. Mi misi a prora della barca spiegando al vento il vessillo alto e fiero.

« però avemmo la certezza che i gendarmi non ci avrebbero fatto approdare, chè anzi ci spararono contro una cinquantina di palle che non ci colpirono. Arrivati all'altra spiaggia, il buon barcaiolo ci disse che era felice che noi avessimo ricevuto così bene il battesimo del fuoco: ci strinse la mano, assicurandoci che se avessimo avuto bisogno di lui, era sempre e tutto a nostra disposizione.

«Così potemmo arrivare al forte d'Issy. una guardia nazionale mi riconobbe e mi disse che mio marito si trovava nel forte.

«Com'ero felice con mio marito al fianco, al quale raccontavo quanto la sorte ci era stata favorevole! Mi pareva ormai che nulla poteva separarci e che saremmo stati uniti anche nella morte.

«Al forte d'Issy trovai anche Luisa (la Michel) che era partita col 61° di Montmartre; restai al forte quindici giorni come infermiera dei ragazzi perduti.

«In quel tempo si doveva riorganizzare il Comitato, di vigilanza delle donne a Montmartre: ma Luisa, che l'aveva cominciato al tempo, dell'assedio con le cittadine Podrier, Blin, d'Auguet, me ed altre, non voleva lasciare le compagnie di marcia, per cui ritornai io a Parigi, per il Comitato di vigilanza, dove ci occupammo delle ambulanze, sforzandoci di organizzare i soccorsi per i feriti, l'invio di infermiere, ecc.

«Andai in tutti i Club a far firmare la petizione con la quale la Comune reclamava Blanqui in cambio dell'Arcivescovo.

«Alla nostra ambulanza di Montmartre il Comitato delle donne mandava delegazioni ai funerali, si occupava delle vedove, delle mamme e dei bimbi di quelli che cadevano per la libertà, restò sulla breccia sino alla fine.

«La vigilia della presa di Montmartre, il Comitato era riunito in casa mia: ci affrettammo a distruggere tutto ciò che poteva compromettere chicchessia.

«Dopo essere stata proposta per me la fucilazione per ben tre volte, fui inviata a Satory, dove arrivai una delle prime, e per quattro giorni dormii nel cortile sui sassi.

«Passai davanti alla commissione mista, con mia madre, arrestata per me.

«Ci fecero salire in una specie di granaio, vicino ad un magazzino di foraggi: era notte e diluviava.

«Qui giunse anche Luisa, con le vesti grondanti come un'ombrella: glie le torcemmo addosso; e siccome io avevo un paio di calze in saccoccia, gliele passai perchè si cambiasse, mentre essa ci informava che doveva essere fucilata l'indomani mattina.

«Si parlava di ciò, come si sarebbe parlato di qualsiasi altra cosa: si era felici di rivederci.

«Era stato dato ordine di non perquisire Luisa, chè tanto doveva essere fucilata: per la stessa ragione, forse, non lo ero stata neppur io. Avevo con me parecchie carte; essa pure ne aveva alcune; fra le altre un ordine di far portare uno dei piccoli organi della chiesa di Notre-Dame alla scuola per le lezioni di canto.

«Eravamo in sette. Una donna venne a chiedermi, per ordine del comandante, le mie carte: risposi che non ne avevo, ed in silenzio intanto, fra noi sette, cominciammo a masticarle, il che non era facile impresa.

«Quando giunse un luogotenente a reclamare da parte sua le mie carte, erano irriconoscibili. Gli diedi allora due o tre foglietti rimasti nel mio portafoglio, che egli mi rese, dicendomi a voce bassa: – Voi siete una brava donna, e se tutte fossero come voi non ci sarebbero molte vittime!

«C'erano anche fra i gendarmi alcuni meno duri degli altri; ricordavano forse le loro donne e i loro bambini mantenuti dalla Comune.

«Quando passai alla Commissione mista, quel tenente mi salvò la vita: non vedendo infatti che mio marito ed i miei bambini, dai quali ero separata (il mio vecchio babbo era ammalato, e poteva salvare forse la libertà della mamma), io presi su di me tutte le accuse possibili, anche di ciò che non avevo mai fatto... Ma egli mi fece condur via e mettermi da parte, dicendomi: – Disgraziata, volete farvi fucilare?

«Quante cose, dopo! Siamo state sbalestrate un po' dappertutto. Ho perduto mio padre, mia madre, i più grandicelli de' miei figliuoli, mio marito, la cui morte tanto vuoto ha lasciato nella mia esistenza! Non per questo ricordo meno i drammi orribili di Satory.

«La vigilia della nostra partenza per i Cantieri di Versailles, alle 11 di sera, avevano fucilato una disgraziata guardia nazionale, impazzita, che credeva di fuggire attraversando uno stagno. Il suo ultimo grido fu: – I miei bambini! mia moglie!...

«La separazione e la perdita di coloro che ci sono cari, non è forse il più straziante dei dolori?

«Quante di quelle che avevano dei fratelli, dei padri, o dei mariti, credevano nella follia di sentir la voce di coloro che amavano.

«Sette delle donne ch'erano con noi impazzirono in una sola notte: altre partorirono anzi tempo; i dolori patiti dalle loro mamme avevano uccisi quegl'innocenti: solo le più forti poterono resistere


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