IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
L'orologio suonò le ore: mezzanotte.
E in quel silenzio penoso misto di ricordi, di ansie e di attese, parvero quei rintocchi singhiozzi d'un cuore vivo, che nel buio e nel vuoto della solitudine getta all'intorno il peso della sua angoscia e la voce della sua passione tormentosa.
Noi trasalimmo in silenzio con la stessa muta e accorata domanda che ci metteva amarezza negli occhi e lacrime nella gola.
"Che faranno? che diranno?"
Poi si tornava a sfogliare i nostri poeti preferiti, a cercare qua e là, fra quella magnifica sorgente di superba creazione qualcuno dei loro versi più suggestivi, qualcuna di quelle ardimentose invocazioni, che si lanciano verso l'alto, fantastiche fiammate di volti umani, imploranti la libera vastità dell'infinito.
"Che faranno? che diranno?"
La domanda ci tremava dentro, ci torturava le labbra, eppure noi non si ardiva pronunciare i due nomi, tanto essi sembravano in alto, circonfusi di bagliore; tanto essi sembravano al di là dell'umano, in una regione di purezza serena, dove tace tutto ciò che è senso e materia, e dove il pensiero diventato immortale, ti fa piegare le ginocchia, e sentire la stolta fatuità della tua vita e della tua afflizione.
Quella stanzetta del sesto piano, rifugiata fra le nubi, dove da anni vivevo in solitudine rotto il cuore dalle amarezze dell'esilio, dove tanti compagni miei erano passati a dirmi la loro più lacerante delusione, pareva fosse diventata parte del nostro respiro: non più qualcosa di inerte e di inanimato; ma qualcuno; ma un vivente dolce e discreto; ma una piccola anima fedele; che palpitava col nostro affanno segreto, e fasciava di tenerezza la nostra fragilità, sospesa fra due infiniti misteri: la terra con le sue tumultuose passioni e quei due volti trasumanati, a rilievo sulla immensità, dal pallore triste della luna e dalla quieta serenità delle altezze riposanti nel vero.
Io m'ero seduta accanto alla finestra ed avevo incrociato le braccia sul davanzale.
Parigi, la città dolce e maliosa, che aveva ridestato in quei giorni tutte le sue eroiche memorie, che aveva fatto sentire, fra il tumulto del mondo, la voce ardente dei suoi poeti ed artisti;
Parigi, quella regina di sfolgorante bellezza, che aveva d'improvviso ripreso il volto macero della umanità straziata, fiera e irruente sulle rovine della bastiglia, miracolosa e invincibile tra il fumo ed il fuoco delle barricate, sdegnosa e mordace sul palco della ghigliottina;
Parigi, quella sirena inghirlandata di stelle, sparse le chiome odorose ai baci di Montmartre, che aveva d'un tratto riacquistato il tragico e solenne volto di Luisa Michel, vegliava adesso lungo le rive pensose e agitate della Senna; palpitava d'ansia e di desiderio sui boulevards larghi e luminosi; brontolava e ringhiava di sdegno nei vicoli sudici e tetri; implorava col canto dei suoi trovatori, e preparava la difesa fra gli archi ed i rifugi, ed i recinti dei giardini; fra i misteri dei sotterranei muti e paurosi; fra le mura delle gendarmerie risuonanti di armi e di voci.
*
* *
Da lassù, così dimenticata e sperduta fra quella distesa fantastica di comignoli, di tetti, di cupole secolari e solenni, di guglie capricciose ed ardite, e di tremule luci erranti nella notte, io ascoltavo e raccoglievo, senza nulla perdere di esso, quel travaglioso palpito di terrore, che dalle pupille degli uomini era misteriosamente passato nella materia muta delle morte cose.
Silenzio ed attesa fra le amarezze della terra ed i miraggi del cielo...
A me sembrava alle volte irrealtà di leggenda quell'atroce supplizio, che inchiodato al di là del mare, nella cella fredda e cupa della morte, aveva saputo raggiungere uno splendore così terso da mandare luce su tutta la terra.
A me sembrava alle volte d'essere stata trasportata fra limpide fantasie di cristallo, tanto era al di sopra della possibilità umana quello sguardo impassibile ed immobile davanti alla bocca mostruosa della morte, che si era proiettata da anni sul volto dei reclusi invincibili.
Chè basta il sordo respiro d'un segreto dolore per curvare un uomo valido e sano, e plasmargli, in qualche tempo, un viso di rughe e di angoscia.
Chè basta la morte d'un figlio adorato per ottenebrare la mente della madre, inchiodata come fantasma senza tregua, fra le memorie dello scomparso.
Chè basta una grave delusione d'amore per spezzare l'esistenza d'una donna, e mettere il colore della stanchezza e del tramonto su quelle pupille che già avevano brillato di sole, e mettere lo smarrimento e il desiderio della tomba su quelle labbra belle, che avevano preso e dato il sapore voluttuoso della vita.
Chè basta alle volte un amaro ricordo, una profonda emozione, un palpito affrettato, un momento di dubbio, la visione d'una notte fosca, la incertezza d'un ignoto domani, l'indagine stessa di questo mistero da cui scaturiamo per turbare, e spesse volte senza più rimedio, l'armonia fisica e spirituale di questo essere nostro così fragile e così indifeso fra le burrasche e le tempeste della vita.
Ma essi; ma essi... questi due anarchici invitti e tenaci, che hanno saputo scuotere le fibre inerti d'una generazione vivente del più codardo e volgare e ignobile materialismo, con che cosa, dunque, erano stati plasmati, con lo scalpello di quale possente scultore erano stati scolpiti, col respiro di quale mare divino erano stati animati, se dopo sette anni di veglie accanto al fiato grosso della morte; se dopo sette, interminabili anni di estenuanti alternative fra la vita e la tomba, di scadenze crudeli e di diaboliche sospensioni, di sataniche torture fra illusioni date e speranze ritolte, erano riusciti ad arrivare in tutto l'equilibrio perfetto del cuore e della mente all'ultima tragica sosta? E vi erano giunti senza che mai le loro labbra avessero pronunciato la tanto attesa parola di viltà o di rinuncia, che avrebbe potuto salvarli; senza che mai le loro ginocchia, questo punto debole della umanità che cede in virtù dell'amore o in virtù del dolore, avessero vacillato, o li avessero traditi, sia pure per un istante solo?
*
* *
La notte si era fatta più cupa e raccolta, e se ne andava fra le ali del silenzio, con piedi leggeri, a salutare il mattino.
Tristezze e agonia... dolore e speranze fra le passioni degli uomini e la quieta serenità degli astri lontani, che mani invisibili andavano pian piano ravvolgendo fra le pieghe del cielo...
E sul mondo che ammirato era caduto in ginocchio, pareva sventolare a tratti, a risposta dei miei segreti pensieri, muta e solenne, l'ombra della nostra bandiera.
*
* *
La vita, questo sogno malioso che ci dà il più amaro dei risvegli;
La vita, questa canzone suadente che ci lascia nel buio più profondo;
La vita, questa mano infedele che ci abbandona soli, a brancolare da ciechi fra le onde minacciose;
La vita, questa impenetrabile sfinge che muta in un attimo il suo volto, e resta chiusa e impassibile a guardare trasognata l'angoscia insanabile del nostro tormento;
La vita, questa fatua e vaporosa chimera che ci ferisce col suo atroce sarcasmo quando le nostre spalle si piegano e la nostra testa si imbianca;
Essi, i due purissimi eroi avevano saputo vincere e umiliare, preferendole, senza ombra di sgomento e di terrore, il martirio fecondo, il martirio luminoso che rischiara le tenebre e dona l'eternità del mattino.
Quel "buona sera, signori", che diranno le labbra di Sacco prima di chiudersi per sempre, non sarà solo l'espressione dello spirito che diventato perfezione si è diffuso in trasparente pallore sui fremiti della carne; ma sarà il saluto del fanciulletto leggiadro, che solo, in cerca d'un lavoro e d'un pane, è tutto nascosto nell'angolo più remoto del bastimento, col visetto gonfio di pianto sulla bisaccia sdrucita, ricolma di poveri cenci.
Ma sarà il ricordo del giovanetto serio e taciturno, che curvo ogni giorno sul penoso lavoro, ha negli occhi il sorriso ed il pianto della madre lontana, mentre la città festosa di danze passa, fra nuvole d'oro, al di là delle inferriate del duro opificio.
*
* *
La bella città che si era assopita per qualche ora, riapriva i grandi occhi pieni di visioni, e cominciava a palpitare qua e là nei centri affollati del lavoro.
I miei amici avevano chiuso i libri e si erano accostati alla finestra.
Io non osavo levare gli occhi verso di essi, tanto mi faceva male l'angoscia che riempiva il loro sguardo, ed essi non ardivano parlare, tanto erano spezzati dall'emozione, ora che bisognava prepararsi all'ultima realtà.
Erano liberi, alfine; erano felici fra le braccia degli amici in delirio?
Oppure, cinicamente sorda all'implorazione di tutto il mondo, l'orribile macchina aveva scaricato la mortale corrente?
Qualcuno mi poggiò le mani sulle spalle. "Coraggio" sentii dire a mezza voce.
Poi qualche altro aggiunse non so che cosa; ma io sapevo che bisognava uscire, per andare alla ricerca delle ultime notizie...
Che male, che male, che ferita lacerante quella tremenda parola raccolta dal telefono: Exècutès!
A tastoni, brancolando, avanzando come fanno i ciechi, io rifeci la strada, senza più nulla vedere oltre quella terribile parola scritta col sangue, che diventava più grande, sempre più grande, smisurata, fra la terra ed il cielo.
Oh! amici, miei cari amici, sbiancati da quella notte senza quiete, rotti dall'angoscia, chiusi, muti sopra quello strazio desolato, io non so, io non ricordo come vi dissi l'orribile cosa!...
Allora un brontolio sordo e sinistro che parve pian piano diventare ruggito, passò dall'uno all'altro capo del mondo, e Parigi si avventò per tre giorni contro l'irreparabile misfatto, mise a soqquadro le piazze e le vie e parve che le ombre dei suoi morti gloriosi, dritte sulla cima delle barricate gridassero vendetta!
Ed io, risollevata per un istante da quello sdegno universale, ebbi ancora l'ingannevole illusione di credere che stessero per avverarsi le parole di David:
"Allora la terra fu scossa e tremò. I fondamenti dei suoi monti furono smossi e scrollati. E il cielo diè fuori la sua voce con gragnuoli e con carboni accesi. E avventò le sue saette e disperse i nemici; lanciò folgori in gran numero, e li mise in rotta".