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Senigallia! Azzurro, quiete e sereno; riposanti vie solitarie; case isolate e raccolte; qualche balcone occhieggiante qua e là coi suoi gerani trepidi e odorosi. E su tutto quel sereno un pulviscolo impalpabile d'oro; e attorno a quel silenzio le braccia del gran mare limpido e trasparente, e le ali fantastiche delle barche pescherecce, paranzelle rosse, turchine e arancioni, disperse, veli di sogno, fra le profonde e luminose immensità del cielo e del mare.
La conferenza avrebbe avuto luogo l'indomani: io avrei potuto perciò bighellonare un poco: deliziosamente flaner fra quella quietudine dolce: ricercare piccoli rifugi di ombre e di frescure: respirare quella brezza dal sapore e dal profumo di salmastro: dimenticare le nebbie e il grigiore ed il frastuono dell'assordante e soffocante città lombarda: chiudere indisturbata gli occhi: rifarmi un volto, rifarmi un'anima: rimettere speranza e sole nello sguardo e nella parola: rimettere azzurro e sereno nel pensiero e nello spirito, là dove le nebbie del cielo e della vita avevano sbiadite le tinte, raffreddati gli slanci, attenuati gli entusiasmi e le bellezze.
Come felice, come felice di potermi attardare da sola, da tutta sola a rievocare il passato attorno al busto di Pio nono, e vedere delinearsi sul biancore del marmo due teste insanguinate: Monti e Tognetti.
Deh prete, non sia ver che dal tuo nero
Antro niun salvo a l'aure pure uscì;
Polifemo cristian, deh non sia vero
Che tu nudri la morte in trenta dì!
Più tardi, durante gli anni della sventura, dell'isolamento e dell'esilio, in un abbaino della vecchia Parigi, disperso fra comignoli neri, così lontano dal mondo, così vicino alle stelle, alcuni dei miei più cari amici ed io avremmo ripetuto in un'altra, – oh quanto torturante giornata! – in nome di due nostri indimenticabili eroi, le stesse accorate parole, e nell'attesa ansiosa e febbrile delle ultime notizie venenti dal di là del mare, avremmo ricercato un poco di quiete, un poco di conforto al nostro dolore, nella lettura di quell'ardente lirica appassionata:
... Due tu spegnesti; e a la chiamata pronti
Son mille, ancor più mille.
I nostri padiglion splendon su i monti,
*
* *
Appena Ottorino Manni m'intravide fra il gruppo dei compagni, ebbe un sorriso di gioia improvvisa, e mi chiamò con una inflessione così affettuosa di voce con cui mai nessuna, credo, mi ha chiamata delle persone che mi hanno voluto pur tanto bene.
"E vedi", subito soggiunse, "avevo tanto, tanto desiderio di conoscerti; ma non posso, purtroppo, stringerti le mani: tu mi devi scusare".
Io mi sentii assai male a quelle parole, ed avrei voluto baciare pietosamente, affettuosamente quel troncone deforme di mano – la sola che gli restasse – avrei voluto dire a quel caro infelice, a quel dolce mutilato, una buona, una tenera parola; ma le mie labbra rimasero sigillate sulla commozione che mi aveva fatto tremare, e non seppi che guardarlo e rispondergli con un solo e fraterno sorriso.
Egli era là, ravvolto in una coperta grigia che nascondeva le terribili amputazioni sofferte; era là, inchiodato nella dura sedia, pazientemente adattata alle deformità del suo corpo: era là, davanti ad un modesto tavolo ingombro di carte, di note e di libri. Di quei suoi libri preferiti che non lo avevano abbandonato un momento solo; che gli avevano dovuto dire cose profonde, sublimi e divinatrici; ai quali egli non aveva di certo potuto nascondere le sue lacrime desolate, ai quali egli aveva dovuto confidare le più strazianti intimità del suo essere; quelle di cui non trovo traccia alcuna nel suo libro: "La mia vita"; quelle che non avrà potuto purtroppo neppure confidare al vigile e fedele cuore materno.
Era là, e di lui non vi colpiva che il sorriso tenero e affettuoso, e di lui non si rimarcava che la bella testa di pensatore e di asceta. Il dolore aveva affinato i tratti del suo volto, aveva messo un pallido riflesso di luna nel suo buon sorriso fatto di comprensione, di coraggio e di dolcezza; aveva reso il suo sguardo rassegnato, aperto e profondo.
Non un accenno alle sue infermità; non un ricordo su tutto ciò che aveva sofferto; non una parola mi disse su quanto di certo avrebbe ancora penato; ma solo volle dirmi, ed a più riprese, la grande gioia d'essere accanto ai suoi compagni, l'infinita sodisfazione di poter essere anche lui alla conferenza l'indomani. "Mi porterete, non è vero?" aveva domandato sottovoce ad alcuni suoi intimi amici. "Sono diciotto anni che non esco più di casa; ma domani non vorrei mancare, e voi che siete sempre stati così buoni verso di me, voi mi porterete... sulle vostre braccia... non è vero?"
Io guardavo meravigliata quella mesta tranquillità: quel miracolo di coraggio e di resistenza; e cercavo di cogliere; ma invano, nel mistero di quello sguardo, un'espressione di segreta amarezza, di occulta disperazione, che tradisse l'angoscia di tante ferite nascoste; cercavo di penetrare il fondo di quell'animo per strappargli il segreto di quella saggezza, di quell'aspetto così rassegnato: raggio di sole che illuminava tante rovine e tanta desolazione.
Pace e calma in lui e attorno a lui: pace e calma nei cari volti famigliari chini premurosi e vigili su di lui.
Dove era il ricordo, dove erano le tracce di tante notti di febbre e di delirio, di tanti spasimi ed incubi sofferti?
Dove era quella sensazione di peso e di sventura, di lutto e di oppressione; quel tanfo di droghe e di chiuso che si avverte d'un subito allorchè si entra nella stanza desolata d'un infermo?
Calma e pace attorno a lui. Sole, aria e silenzio attorno alla tortura della sua anima che si era rifugiata, per dimenticare le sofferenze della materia, fra il chiarore limpido delle vette, e che si era dissetata, per poter resistere e vivere, della loro purezza immota ed intatta.
Pace, calma e serenità attorno a lui. Egli si era chiuso sull'altezza incontaminata d'un sublime pensiero. Aveva sorbito da due occhi immensi e magnetici, quelli dell'ideale anarchico, le miracolose risorse della sua vita interiore.
*
* *
Quando nel gran teatro così pieno di gente, di bandiere e di fiori, – quali altri giorni, quali altri tempi allora! – egli apparve disteso nella carrozzina che i compagni avevano pian piano sospinta sul proscenio, tutti gli astanti scattarono improvvisamente in piedi, e gli tributarono il più ardente, il più spontaneo, il più entusiastico omaggio di affetto, di simpatia e di stima. Senigallia generosa e gentile, che ben sapeva la tragedia e il supplizio di quel tronco d'uomo disfatto e martoriato, volle dirgli tutta la sua ammirazione per quello strazio stoicamente vissuto, e volle sentire una parola, almeno una parola sola, da quelle labbra che avevano fino allora parlato unicamente alle oscurità delle notti, alle altezze del cielo, alle profondità sconfinate del dolore.
"O giovani", egli disse, "che godete buona salute", – come da lontano veniva quel sottilissimo filo di voce – "o voi tutti, che vi trovate in condizioni fisiche normali, sappiate apprezzare il bene inestimabile della vita, e non sprecatela nell'ozio, e non l'avvilite nel vizio; ma migliorandovi con l'educazione e l'istruzione, cercate di renderla sempre più degna di voi e soprattutto servitevene per ispargere all'intorno il bene e la luce".
E non gli fu possibile proseguire, tanto la sua voce era rotta dall'emozione, e la sua bocca scolorata, ed il suo sguardo divorato dall'ansia.
Io ripensai le parole di Victor Hugo: "I commossi sono i buoni, i commossi sono i grandi. Ogni martire è stato commosso: l'emozione lo ha reso impassibile. Le grandi fermezze derivano dal pianto".
Ma poi nel riguardare quel suo volto emaciato, tutto bagnato di lacrime, io ricordo che ne tremai, perchè temetti che egli fosse venuto a morire là, fra le braccia dei suoi compagni, accanto alla bandiera nera che sventolava al nostro fianco, fra lo scintillio dei candelabri ed il saluto entusiastico di Senigallia operosa e gentile.
Ma più tardi ho avuto occasione di pensare e di riflettere che sarebbe stato meglio così per lui.
Chiudere gli occhi in quel giorno "il più bel giorno della mia vita" egli mi aveva confidato; chiudere gli occhi per sempre... prima di rincontrarsi con la più desolante delle sventure; prima che la morte gli portasse via la sua mamma buona e adorata; prima di ritrovarsi più solo di Cristo nell'orto degli olivi.