IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Vogliamo fare una Rivista mensile, Virgilia? mi dissero quella sera alcuni amici.
Una Rivista bella, ampia, luminosa.
Che dica un poco della nostra angoscia.
Che sia la risonanza di questa giornata di dolore.
Che sia la eco di tutte le nostre voci.
Tristi voci che si chiamano da sentiero a sentiero, da colle a colle, da monte a monte, prima di disperdersi nelle vallate profonde.
Che sia il volto e l'anima e il saluto di tutti i nostri fratelli smarriti.
Ora che ognuno se ne va da solo attraverso la bufera, gettato nel rischio di quei vortici dallo stesso destino.
Ora che ognuno ha lasciato dietro di sè la sua prima esistenza e l'ha composta, con la gola serrata, dentro una piccola fossa.
Ora che ognuno ascolta, con occhi vitrei, l'altra persona che dentro gli vive e gli soffre.
Ora che ognuno se ne va verso l'ignoto e ha sotto i piedi il vuoto, e attorno il silenzio ed il gelo, e dentro il dubbio ed il forse.
Quella sera i miei compagni erano dolcemente poeti:
Io li guardai l'un dopo l'altro e pensai, per essi, le parole di Victor Hugo: "Poeti, animi dolci e splendidi, fascinati d'ombra e d'azzurro, che le donne, i fanciulli e gli amanti ascoltano trasalendo e che, misteriosi cantori, camminano davanti a tutti, rischiarando la via agli incerti e ai dubbiosi".
E li lasciai proseguire.
Una Rivista agile, fresca, sorridente come il nostro Ideale.
Dove il fanciullo vi trovi un poco della sua primavera... Il cielo è sempre così grigio quassù!...
Dove l'uomo logorato e vinto dalle asperità del cammino vi ritrovi il riposo e l'ombra dei palmizi.
Dove la donna senza una casa e senza un figlio vi trovi un angolo di sogno e di verde pel suo amaro ed inquieto tramonto.
V'era della commozione nella voce dei miei compagni quella sera.
Forse perchè le ultime notizie di laggiù avevano riaperto in essi tutte le sorgenti della malinconia, del dolore, dello sdegno?
Forse perchè il Natale già passava nell'aria recante il ricordo del paese lontano, sepolto fra le nevi, e la rimembranza di quel nostro cuore d'allora, tutto fresco dell'oro mattinale, tutto carico di bocci di rose?
Forse perchè la piccola orchestra andava eseguendo una strana rapsodia ungherese raccolta dal tormento dei nomadi, dal mistero degli zingari?
Forse perchè i frequentatori del piccolo caffè pieno di fumo, profughi venenti dalla Russia, dalla Polonia, dall'Ungheria; uomini senza nome, uomini senza rifugio, uomini senza un sicuro domani; miseri avanzi di terribili naufragi, rifiuti sociali gettati sdegnosamente a riva, avevano gli stessi occhi nostri, lo stesso nostro pallore sul viso emaciato?
Io non so.
Ma certo l'animo dei miei compagni bruciava quella sera.
Ma certo il violino suonava quella sera con la tastiera del nostro cuore.
*
* *
Ed io vi rividi tutti, ad uno ad uno, o miei compagni di questa dolente giornata, così come spesso io vi ho veduto, attraverso le vie delle città rumorose, senza affetti per voi; attraverso lo squallore delle campagne piene di nebbia, senza voci per voi; attraverso il cammino di questa notte che sembra non avere più giorno per voi.
Occhi assenti e lontani, nei quali si è raccolta tutta la vita che muore nell'essere.
Occhi che portano in giro per il mondo la lacerante profondità delle tenebre.
Occhi che non hanno più fondo tanto immensa è diventata l'anima che li esprime.
Occhi che non hanno più misura tanto in alto è salito lo spirito che li accende.
*
* *
Il violino singhiozzava fra quei pallidi visi che vivevano adesso nel grembo delle memorie.
Ecco. La più umana, la più vasta, la più passionale creatura di Mascagni lacera d'un tratto lo spirito di questi uomini forti, che hanno deposto il duro volto di ogni giorno e si son lasciati ravvolgere dalla tenerezza del passato.
Ecco l'invocazione a Turiddu, la suprema invocazione che ha perduto ogni speranza.
No... non è Santuzza che piange, non è Santuzza che piega il suo florido corpo sotto il suo amore a rifascio.
È lo strazio pungente, assillante del fanciullo nostro che è stato gittato, come lurido ingombro, al di là del confine.
È la lacerante sofferenza del giovanetto nostro a cui hanno tolto la madre e la casa e che si è ridestato sul selciato con l'anima spenta e con la carne ammalata, e che ha ripreso mal certo il cammino dopo aver raccolto sulle braccia i suoi poveri venti anni spezzati.
È l'atroce, infinito sconforto della donna nostra a cui l'ambascia della sventura vissuta ha dato un'altra voce, ha dato un altro respiro.
Ha battuto dentro i suoi terribili colpi di martello, ed essa ne è uscita col volto misticamente tramutato.
Non è più lei.
È il compagno pugnalato al suo fianco, che guarda i muti e ostili occhi degli uomini da dentro le pupille di lei.
È il figliuolo crivellato davanti al suo sguardo, che si è disteso, nello spasimo dell'agonia, su tutto il corpo della madre, ed ha lasciato su quella carne dolorante le impronte delle sue larghe ferite.
È l'appello disperato alla vita, alla liberazione di tutto un popolo che soffre l'onta dell'oltraggio, lo staffile delle beffe più atroci, il riso sguaiato delle maschere più oscene, la danza macabra sopra la sua esistenza flagellata, il carnasciale orgiastico e ributtante sopra i resti del suo passato e delle sue memorie.
*
* *
Ed io vi rividi tutti ad uno, ad uno, o miei compagni di questa fosca giornata d'attesa, così come spesso io vi ho veduto attraverso tutte le contrade e le vie, e i sentieri, così muti e così deserti per voi!
Visi scarni, severi e nervosi che dicono, senza parole, la flagellazione sofferta, la morte scampata, il dramma bevuto col pianto, il maglio che ha compresso lo spirito fino all'ultimo gancio, il rantolo dell'agonia, la insonnia dei vivi fra le tombe, la inquietudine delle tombe fra i vivi.
E in voi, che ve ne andate tutti soli per le immensità dei deserti;
E in voi, che avete ridato movimento al ritmo della vita seppellendovi nelle più profonde miniere;
E in voi, che siete rientrati tra i vivi uccidendovi negli affannosi cantieri;
E in voi, che avete ridato acqua e sole alle disseccate vostre radici bruciandovi all'afa dei porti;
E in voi, che siete rimasti inchiodati alla colonna dove foste colpiti;
E in voi, che più non cercate e più non sentite altro motivo di richiamo e d'amore;
A me parve di vedere, quella sera, dei Veglianti fedeli e sublimi in attesa del giorno.
Attorno ad un braciere ardente fra le braccia immense della notte più buia.
Per essere desti alla prima alba domani.
Per essere in piedi al primo rintocco domani.
Per rispondere ad alta voce al primo cenno domani.
*
* *
E quegli che oggi è il più infelice ed ignoto sarà di certo il più invincibile nella lotta.
E quegli che ha dentro la ferita più profonda sarà di sicuro il più fiammante fra gli insorti.
E quegli che ha bevuto l'assenzio più amaro sarà senza dubbio il gran mito dell'ora.
*
* *
Qualcuno piange attorno a questo improvviso e veemente rovescio di ricordi.
Bene... così.
Perchè il pianto non è ristagno o palude; ma è vena limpida e tersa d'acqua sorgiva, che risana e riprofuma i margini lacerati dell'essere.
Qualcuno si attarda a guardare, con occhi fissi e larghi, questo campo di ruine.
Bene... così.
È la speranza che rifiorisce.
Perchè le ruine non sono l'espressione del nulla; ma sono le miracolose e divine animatrici della vita.
*
* *
Il violino aveva dolcemente rallentato i lacci del suo spasimo per prepararsi a morire.
Io sollevai lo sguardo e vidi passare negli occhi dei miei compagni il paese montano tutto suonante d'acque e di canti, tutto ravvolto di boschi.
Il figliuolo fresco e ridente, cespite meraviglioso di sogni.
Il volto della madre fatto di rughe e di pianto.
La dolce fanciulla seduta sulla sponda della fontana, nell'ora del vespro, per domandare alle selve il ritorno di lui.
Quietudine e pace...
L'orchestra era discesa, lieve come un'ombra, tra i veli del silenzio e dell'oblio.
Aveva fatto sentire tutta la vibrazione impetuosa ed umana dell'amore.
Aveva raccolto in una travolgente tempesta di desiderio tutti gli accenti più febbrili e spasimanti del sangue. Poi da quel groviglio di passionale sensualità era scaturito d'improvviso un magnifico volo di purezza nel leggiadro: "Fior di Giaggiolo".
Tutto, tutto il nostro grande, immenso dolore si è distaccato da noi, si è liberato dalla materia; si è rifugiato sui vertici, si è fuso con l'azzurro. È diventato il canto supremo. È diventato l'abisso profondo. È diventato la montagna di luce che ha rovesciato le tenebre.