IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Dante vid'io levar la giovine fronte a guardarci,
e, come su noi passano le nuvole,
vidi su lui passar fantasmi e fantasmi ed intorno
premergli tutti i secoli d'Italia.
Sotto vidimi il papa venir con l'imperatore
l'un a l'altro impalmati; ed oh, me misera,
in suo giudicio Dio non volle che io ruinassi
su Carlo quinto e su Clemente settimo!
(Carducci)
Immensa e misteriosa nebulosa; groviglio impenetrabile di ombre e di luci; mare mutevole, vasto e incostante coi suoi capricci, con le sue calme, con le sue bellezze, con le sue ore terribili di ribollimenti e di tempeste, è il brillante e scettico e profondo e sarcastico e spensierato cinquecento in Italia.
Vi si proietta ancora qualcosa dell'ombra lunga e scarna del Medio Evo, e vi si avverte un sordo serpeggiare di fiamma, che avvamperà d'ardimento e di passione negli occhi neri di Bruno e sul viso mobile di Campanella.
È una età di trapasso che ha la forza e la debolezza; le disperazioni e le speranze; le audacie e le paure; l'umano e il divino delle cose, degli uomini e degli avvenimenti che stanno per morire.
È l'età in cui l'immenso ed il nulla; il vacuo ed il grandioso; l'eroico ed il vile; l'immortale e lo spregevole, conflagrano insieme nel mistero, e restano così, attraverso il tempo, volto chiuso e solenne di sfinge maliarda.
Michelangelo ne ricorda la potenza e la fierezza con la sua maniera terribile e forte, che sfida attraverso i secoli il genio del Partenone, il creatore invincibile del Giove Olimpico.
Andrea del Sarto ne rappresenta le tremende mischie di uomini foderati di acciaro, con quella sua vita avventurosa e tragica, che tesa verso un sogno di riposo, si trasfonde sulle tele squisite ed originali in una armonia fresca, aerea e vaporosa di eleganza e di colore.
Raffaello Sanzio, il divino, con la sua breve vita di luce, e con le sue madonne dolci e gentili, dalle mani pure e trasparenti, pare immortali la soavità accorata, la grazia e la finezza di quelle donne d'amore, che ogni sera, al lume della luna, attendono nella casa ansiosa e palpitante, il ritorno del guerriero.
E Leonardo da Vinci, con la potenza dei sapienti chiaroscuri, col sorriso vago, insinuante e dolcemente beffardo della Gioconda, col suo genio multiforme e sconfinato, bene incarna e riflette lo spirito universalista di quei tempi: l'uomo cittadino del mondo: l'uomo che trova la patria dovunque egli voglia distendere la sua tenda, dovunque egli voglia aprire, agli affetti, al lavoro e all'avvenire, il suo cuore.
Il passato, dunque, coi suoi tentacoli e coi suoi richiami: l'avvenire con le sue promesse e le sue rivolte; la materia insana e irrequieta col grido e con l'orgia della carne, e le aspirazioni severe e composte dello spirito, uscito dalle scudisciate amare e roventi del Savonarola. Il tripudio della licenza e della dissolutezza, e il mistico desiderio "d'un cappello rosso, d'un cappello di sangue" il desiderio ardente del martirio e della libertà che si soddisfa e si appaga nell'abbraccio distruttore del rogo.
Perciò mentre Ariosto volge le spalle a quella assordante fucina, e stringe con scetticismo le labbra davanti alla tirannia "di re gallo o re latino, tutti barbari e tutti tristi" e si libera dai legami di Orazio, per cercare uno stile tutto suo; e si chiude nel silenzio, per adorare una sola cosa, l'arte sublime, nella torre incantata dell'Orlando Furioso;
Perciò mentre Machiavelli, dalla carne gaudente, amante e sensuale; ma dallo spirito severo e speculativo, sogna in una Italia fatta nazione, l'annullamento di ogni individualità nell'ingranaggio d'uno Stato onnipotente, e pare irrida, chi lo contrasta, col guizzo del suo duplice sguardo e con la bocca dalla linea voltairiana;
Istrioni, buffoni e speculatori si stringono attorno a Pietro Aretino, che dissoluto, cinico e sfacciato, si impone con la sua ingordigia, col suo ventre, coi suoi ricatti, con le sue ribalderie, con il suo sfarzo e con la sua spaventevole e impudente incoscienza.
E su questi contrasti, su queste antitesi di uomini, di cose e di avvenimenti, d'improvviso, nel cuore d'Italia, una gran luce: una fiamma di superbo, immortale eroismo, che scuote il sarcasmo, l'indifferenza e lo scetticismo, e acquieta quel baccanale buffone, spensierato e licenzioso.
Firenze... Firenze avvampante di bellezza, di sacrificio e d'angoscia, che in piedi fra gli archibugi, le picche, i gonfaloni, i moschetti, le alabarde e gli scudi, resiste all'assedio feroce e accanito delle truppe imperiali e papali, e getta al tempo ed ai fati, due sole parole: Libertà o morte!
E allorchè a Gavinana, Francesco Ferrucci raccoglie questo voto sacrato, e si getta nel folto della mischia perchè vuole morire sul cuore della libertà che agonizza, una gloria di sole illumina quel suo volto sdegnoso, e su quella disfatta più bella e più immortale di una vittoria, cadono – stille roventi di fuoco – gli accenti della sua fiera rampogna al soldataccio del papa: Vile, tu uccidi un uomo morto!
Giosuè Carducci, pensoso e corrusco, doveva più tardi, sotto i fantasmi e le ombre della torre Garisenda, rievocare, tra i lampi e lo scroscio delle sue implacabili folgori, questa magnifica pagina di ardimento e di eroismo.
Sotto vidimi il papa venir con l'imperatore
l'un a l'altro impalmati; ed oh, me misera,
in suo giudicio Dio non volle che io ruinassi
su Carlo quinto e su Clemente settimo!
Oggi, a quattro secoli di distanza, gli espugnatori valorosi e invincibili di città e di paesi, che inconsapevoli dell'attacco, sono ravvolti nel quieto, placido sonno della notte; gli alfieri ed i campioni di tutte le più eroiche gesta contro donne fanciulli e fuggiaschi; i superstiti invitti delle brillanti e audaci pugne dei cento armati, contro l'uno ferito ed inerme, hanno osato risventolare al sole ed ai venti il nome e il ricordo di Francesco Ferrucci.
E uniformi e pennacchi e cordoni e cappe e piviali e parrucche e aspersori, si sono avvicendati, per mesi e mesi, da Volterra a Firenze, in una gazzarra volgare di voci, di sghignazzi, di sproloqui, di canti, di lance e di stendardi.
E sopra uno sfondo coreografico da pellirosse in delirio; tra file di pugnali luccicanti, e sconce e stomachevoli cariatidi, e ignote illustrazioni d'atenèo intarlate d'ozio e di boria, e sventolìo di gonfaloni, e una mandraccia di schiene vili e prone, e lo squillo alto e sonoro di trombe apocalittiche, colui che non conosce ombra di decenza, di dignità e di pudore; colui che corroso da lebbra morale ha raccolto attorno a sè tutte le turpitudini del più abbietto e crudele sanfedismo, ha dettato l'epigrafe per l'eroe di Gavinana.
E lo stuolo sconcio e spregevole dei gazzettieri – oh nobile e giusto sdegno di Rapisardi! –
Un'ibrida, deforme, anfibia razza
Quivi superba in sua tristizia alligna,
Ed or tra il fango placida gavazza
Or fra gli sterpi armeggia acre ed arcigna
si è unito a questo insulto, a questa profanazione, a questo mercato, a questo orribile frantoio d'ogni verità, ed ha conclamato che: "La figura del commissario generale di Firenze può essere additata come modello di quell'italiano nuovo, che il Duce sta forgiando per le maggiori fortune della patria nostra". Ed ha soggiunto ancora, questa turba ignobile di trafficanti del biasimo e della lode che: "L'esaltazione degli eroi d'una stirpe appare infatti necessaria quando le nuove generazioni custodiscono e alimentano in sè, come pura fiamma, le virtù che agli eroi diedero l'immortalità". E poi... giù... per ingannare e stordire e abbagliare il pubblico grosso e facilone, giù... colpi sonori sulle grancasse ben falsate da un'alta lega di metalli preziosi.
Sferza, sferza ancora, pur nell'immobilità del sepolcro, o Esperio, sdegnoso e adirato!
Mirali, e se la nausea ed il ribrezzo
Al veder non ti fa troppo ritegno,
Osserva come tutti in varie forme
Hanno per capo una vescica enorme.
*
* *
Se la visione che della libertà ebbe quel forte e strenuo difensore della repubblica fiorentina, non può appagare noi, avanguardie del nostro tempo, noi mai sazi di critica storica e sociale, pur dobbiamo riconoscere che Francesco Ferrucci è una scintilla di quella fiamma di rivolta che tra ostacoli, oscurità, prigioni, martirio, forca e rogo, si è andata snodando e sviluppando attraverso i secoli ed il pensiero. Pur dobbiamo riconoscere che l'olocausto di Francesco Ferrucci è una gemma di quella gloria universale, che sfolgora nelle lotte accanite contro i due terribili poteri che schiacciarono il mondo – torchi giganteschi arrossati di sangue e invischiati di carne umana – papato ed impero.
Ed oggi, dello spirito immenso di questo generoso; di questo eroe che visse in modestia, in umiltà, in silenzio operoso tutta una vita; e che all'appello della libertà crocifissa, marcia sicuro verso il sacrificio supremo, tra bagliori di fiamme e fantasmi di morte; dello spirito di questo grande, essi, i vandali briachi del Lungotevere e della Quartarella; essi, gli eroissimi dei massacri di Torino e di Firenze, osano proclamarsi i custodi ed i continuatori fedeli?
Della fulgida figura di quell'ardito cavaliere, fermo ed intrepido fra le archibugiate, sui bastioni di Empoli, sul forte di Volterra, sulle vie di Gavinana; di quel coraggio e di quell'ardimento, essi, oggi, gli impresari di tutte le viltà, di tutte le paure, di tutte le ignominie; essi, gli immortali Leonida delle Termopoli di Sarzana, osano affermarsi gli ammiratori e gli interpreti grandi e intemerati?
Dell'ardimentoso e vasto sogno di Francesco Ferrucci, che precorrendo Giuseppe Garibaldi, pensa nel furore e nello scompiglio della mischia, di condurre la battaglia a Roma e accerchiare e far prigioniero il papa; di quel sogno audace e grandioso, essi, oggi, osano vantarsi i realizzatori; essi, che hanno ridato una corona al papa, e riportato il messale nelle scuole, e rimesso il piviale sulle spalle d'Italia, e rigettata l'ombra della mitra del confessionale e della sacrestia negli affetti, nell'amore, nel pensiero, nell'arte e nella scienza?
Di certo, noi ben sappiamo che hanno bisogno, costoro, per quietare le sorde tempeste che a tratti mugghiano all'intorno, e ritardare il naufragio che si annuncia nelle collere dell'orizzonte, di mostrarsi, alle genti, tali come non sono. Hanno bisogno, per la vita di questo infame castello dei loro misfatti e del loro potere, di avvicendare volta a volta sul fradicio grugno, tra il rosseggiare d'un delitto e l'altro, le maschere della giustizia, dell'ideale, della patria e della libertà.
Perciò furono sulle sponde tranquille e incantevoli del lago di Como, a coprire le nere camicie con la soavità, con le dolcezze e con gli affetti manzoniani.
Perciò si recarono fra la mestizia ed il fàscino di Caprera, ed io non so come l'ira di quel grande non li arrovesciò, fulminandoli, sul sepolcro profanato.
Perciò si aggirarono fra i sentieri calmi e serafici di Assisi, dove par che vaghi ancora, nelle notti di pace, l'innamorato di "frate sole" e di "sorella luna".
Per questo osarono turbare il sonno di Giovanni Pascoli, riassorbito, dopo tanto amaro dolore, nel palpito e nel respiro dell'universo.
Per questo hanno scavalcato i secoli, e risventolato al sole ed al cielo il nome ed il ricordo di Francesco Ferrucci.
Ma sono rimasti, questa volta, nella tagliola della più feroce e stridente ironia; ma sono caduti, alfine, nel trabocchetto della più atroce e mordace delle beffe.
Perchè al ricordo del vinto di Gavinana, due ombre si levano fatalmente dal sepolcro, e prendono posto accanto a lui.
Malatesta Baglione, dal sangue e dal viso marci e dallo spirito di rettile, che al papa vendette la libertà di Firenze. Fabrizio Maramaldo – spada vile e mercenaria – rimasto attraverso il tempo e la storia, il simbolo della ferocia e della vigliaccheria!...
E di questi due nomi, di questi due mostri, che sghignazzando reclamano dalla tomba i loro diritti, voi, o belve in agguato fra le ombre di Conversano – giù le maschere, giù le coccarde, i fiocchi, le medaglie ed i paludamenti – voi siete gli emuli, gli interpreti, i continuatori ed i custodi; proprio voi, o insuperabili eroi del falso, dell'agguato, del grimaldello e del pugnale!