Virgilia D'Andrea
Torce nella notte
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GLORIA ANARCHICA (Gino Lucetti)

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GLORIA ANARCHICA

(Gino Lucetti)

 

 

 

 

Egli si è avviato solo verso la sua fine, attraverso le ombre, il silenzio e la tristizia della notte.

Solo: tutto chiuso nel suo ostinato pensiero.

Solo: tutto muto nella sua profonda passione.

Quando il profumo dei magnifici boschi d'Italia ha ravvolto, d'un tratto, la sua giovinezza a lui è sembrato che voci martoriate, disperse e commosse gli dicessero una parola unica, una parola grande, una parola di sogno.

Poi il fascino della magnifica notte lunare gli ha detto, con la sua voce di sorgente: "Dimentica e vivi".

E le illusioni e le carezze delle morte cose, fasciate di luna, gli hanno detto, con le parole più belle: "Dimentica e vivi".

E una folata di fresche e giovanili memorie lo ha guardato con le sue pupille di mare: "Dimentica e vivi".

E una dolcissima figura di donna lo ha ravvolto nel suo sguardo profondo: "Dimentica e vivi".

E il seducente sorriso di Francia dove guizza l'amore e dove vaga il piacere gli ha gettato le sue reti di stelle: "Dimentica e vivi".

 

Ma egli, fasciato di gelo per tutte le fatue chimere e le vacue illusioni che non danno la verità e l'eternità della vita, ha proseguito il cammino, gran luce nella notte.

Ripetendo a stesso l'ostinato pensiero, che da tempo doveva mordergli la carne e lo spirito:

Essere il mattino carico di risveglio.

L'estate meravigliosa che allarga i suoi fulgidi occhi di cielo.

O l'annunciatore invincibile d'una tempesta rinnovatrice.

Chè vivere significa saper morire.

E morire vuol dire innestare la vita dove non v'è semenza di morte.

 

*

*   *

 

Egli porta scolpito sul petto, dove più forte aveva pianto il dolore: "Viva la morte".

E queste semplici parole hanno fatto inorridire di ribrezzo e di spavento tutti i vili e purulenti gazzettieri senza coscienza e senza fede.

Tutti gli avvilenti e ripugnanti ciarlatani da fiera.

Tutti gli adunchi sciacalli circospetti e volpini che, guazzanti in una umiliante e spregevole ondata di servilismo e di idiotismo, si sono accovacciati ai piedi del delinquente vero, ed hanno colpito l'audace giustiziere uscito come blocco di luce dall'angoscia, dall'assillo, dal martirio, dalla tortura di quell'Italia che non si può vedere e che non può parlare.

E coloro che da anni fanno crescere la gioventù nostra fra i canti selvaggi delle stragi più infami;

 

E coloro che hanno annodato sulla blusa di ogni adolescente l'emblema della morte;

 

E coloro che hanno messo un'arma nelle mani di ogni fanciullo;

 

E coloro che hanno esibito il loro figlio all'obbiettivo fotografico, ponendogli un pugnale fra i denti;

 

E coloro che a nuovo simbolo della vita e del pensiero italiano hanno elevato il fosco teschio spaventoso;

 

E coloro che hanno plaudito alle belle signore ingemmate, recanti la toga di seta e le rose di ammirazione al truce difensore del più abietto dei sicariAmerigo Duminigiuocano, oggi, la turpe commedia del disgusto e del ribrezzo davanti a quel sintomatico tatuaggio, che Gino Lucetti ha dovuto, di certo, scolpire sul suo petto in una di quelle tempestose notti d'insonnia.

Allorchè più lungo ed estenuante era stato sulla sua bocca il bacio dei morti.

Allorchè soffocante era stata la stretta di tutte le terribili cose vedute e vissute all'alba della sua giovinezza.

"Viva la morte!" egli, il nostro compagno, aveva inciso sulla sua carne, di certo pensando:

La morte che dona la vita.

Non quella che la sopprime.

La morte che risveglia i popoli.

Non quella che li distende inermi ed inetti dentro una tomba senza gloria.

La morte che spezza il tiranno.

Non quella che la tirannia riassoda ed eterna.

 

*

*   *

 

Dormono, adesso, sereni e tranquilli i suoi radiosi venti anni, distesi come fiorita spezzata di rose fra le braccia della solitudine divina.

La quale dona a chi le si sa donare i misteriosi segreti della tenacia, della resistenza, della grandezza; il bacio che non ha l'uguale; l'altezza che resta irraggiungibile.

Ed è proprio il sonno del giusto questo, o ibridi giuocolieri della penna, che canagliescamente scrivete:

 

Sembra quasi che la vita del carcerato si adatti in un certo modo alle sue aspirazioni. La notte dorme profondamente, sicchè vi è da pensare che il detto più errato sia proprio quello del sonno del giusto. Nessun tormentoso sogno lo agita di notte; come nessuna invocazione, nessun rimpianto e nessun desiderio gli fanno aprire bocca, durante tutta la giornata. La cella in cui trovasi a Regina Coeli è posta nel terzo braccio ed ha ai fianchi altre due celle che sono state fatte sgombrare per circondarlo del più assoluto e perfetto isolamento.

 

Ed è proprio il caratteristico riposo del giusto questo, o sconci funamboli della politica e della morale, che pretestando meraviglia e sgomento guardate, con occhi dilatati, questo puro e tranquillo dormiente.

Bel giovane dolce e sereno che ha piegato le braccia, e si è disteso sopra i flutti del suo destino.

Pari ad un principe dai capelli d'oro delle belle e suggestive leggende d'altri tempi luminosi.

Perchè Gino Lucetti non è il vile e tremante sicario che inorridisce tra i ferri.

Non è il mandatario pagato che vede corda, fantasmi e sapone nelle spaventose notti carcerarie.

Non è il violento che ha prescelto la violenza a sistema di ricatto e di vita, e che teme la forza degli altri quando la sua è nei ceppi.

Ma è il giovane muto e solitario che si è distaccato dalla materia che tutti ne circonda e che solo, contro il mondo, assiso sulla pura e salda roccia dello spirito suo ha gridato un richiamo angoscioso: "Ritrovate la via".

E l'arco della vendetta e della giustizia è sfuggito, alfine, dal crogiuolo del suo inquieto e incontenuto dolore.

 

*

*   *

 

Adesso egli resta silenzioso e tranquillo perchè qualcosa, che da anni dentro lo laceravaaffetti dispersi, famiglie divise, esistenze ferite, pupille senza luce, anime senza resurrezione, uomini senza speranze, donne senza più sogni – ha trovato, alfine, un poco di pace nell'animo suo.

Come se due immensi occhi di morto, sbarrati nella fissità del nulla, avessero, finalmente, abbassato le palpebre e trovato riposo.

Oh, non così, non così infatti, o signori, furono le notti carcerarie degli infamissimi sicari che spensero Giacomo Matteotti!

Allorchè essi, delinquenti iniqui, e assassini selvaggi, si sentirono traditi e abbandonati dal loro primo e diabolico mandante;

Allorchè si videro rinchiusi in una cella nuda, faccia a faccia con lo sguardo vitreo del povero morto deturpato;

Allorchè sentirono l'alto sdegno del mondo battere, ondata fragorosa, contro la loro prigione, si avventarono, senza ritegno alcuno, l'un contro l'altro, si palleggiarono in una indecente e stomachevole gazzarra da trivio tutte le responsabilità, e fecero tremare e allibire di viltà e di livore il rinchiuso di palazzo Chigi minacciando le più spaventevoli rivelazioni se non li avesse messi in libertà e in sicurezza.

Non così, non così di certo sono i riposi del fosco, e bieco tiranno di Roma perchè il rintocco di ogni ora notturna gli ripete e gli ricorda il nome di un trucidato.

Perchè nella visione di ogni ombra notturna si delinea, davanti a lui, implacato e implacabile il viso d'un rivoltellato.

Perchè in ogni voce ed in ogni sospiro della notte egli sente l'affannoso respiro e la sorda minaccia dei vivi e dei morti che non possono dimenticare.

 

*

*   *

 

Adesso Gino Lucetti è dunque solo come mai nessun altro uomo è stato così solo nel mondo.

Vivente sublime e radioso, rinchiuso e sepolto dentro una tomba insidiosa e insidiata.

Che importa a lui se nessun uomo della legge vorrà domani assumere la difesa della sua giovinezza generosa?

Egli, pensando a questa razza di filistei, si andrà ripetendo, tra un sorriso di sdegno e una amara ironia, l'ammonimento di Pietro Colletta:

"Sono i curiali timidi nei pericoli, vili nelle sventure, plaudenti ad ogni potere, fiduciosi delle astuzie del proprio ingegno, usati a difendere le opinioni più assurde, fortunati nelle discordie, emuli tra loro per mestiere, spesso contrari, sempre amici".

Che importa a lui se gli hanno distrutta la casa, la dolce casa quieta e operosa, attorno alla quale le memorie della sua fanciullezza giuocavano a rimpiattino col bel sole e col bel cielo d'Avenza?

Che importa a lui se gli hanno perfino sequestrata la madre, la madre vigile e buona, bella di stanchezza e curva di pensieri?

Egli sa che la madre, la donna che si ama sempre, è , tutta ravvolta nella sua devozione, tutta rapita nella sua adorazione, e vi segue sempre e vi segue dovunque, camminando a piedi nudi sotto tutte le tempeste pur di non perdere le tracce del figlio.

Che importa a lui se nessuna voce cara, e se nessun alito di affetto e se nessun palpito di persona amica arrivano nell'agghiacciante silenzio della sua cella senza cielo?

Egli sa che vicini o lontani, uniti o dispersi, i suoi compagni di idea hanno allargato le braccia e lo hanno stretto sul cuore.

Non è Tommaso, lui; Tommaso il diffidente e lo scettico, che vuol toccare le piaghe di Cristo prima di credere nella prodigiosa resurrezione.

Ma è il blocco di luce. Ma è il giovane fatto di azzurro. Ma è il fanciullo meravigliosamente estatico che sente, che avverte, che divina l'amore, senza aver bisogno, per credergli, di accostare la bocca alle sue labbra e raccoglierne le parole ed i baci.

Ed invero, noi abbiamo sentito la gioia di rivivere.

Ed invero, noi abbiamo risentito l'orgoglio di essere anarchici.

E la nostra bandiera si è distesa in tutta la sua larghezza, sotto questa gloria nuova di sole.

Uscendo dal grembo delle tempeste con un volto miracolosamente primaverile.

Di tratto in tratto, l'un dopo l'altra, una giovinezza nostra risponde al suo grande richiamo.

E , dove l'una cade, un'altra si leva più forte, più perfetta, più pura.

Quasi che il sublime agonizzante, prima di scendere nell'ombra, avesse cercato gli occhi del più fedele, per riempirli dello splendore che dona una morte d'amore.

Quasi che il moribondo divino, prima di ravvolgersi nella notte senza mattino, avesse cercato la mano più cara, per affidarle l'aspirazione suprema dello spirito suo:

"Più luce!"

"Ancora più luce!"


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