Alfredo Panzini
Legione decima
Lettura del testo

V LE GRADAZIONI DELLA FELICITÀ

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

V LE GRADAZIONI DELLA FELICITÀ

UN momento, un momento, ragazzo, – domandò il professore: – prima di cominciare con la decima legione, sarebbe lei per caso un poeta?

Questo professore passava con indifferenza dal tu al lei, e anche al voi, come si va dall’acuto, al grave, al patetico su la spinetta. Ambrogino sentiva questi passaggi, ma non se ne rendeva conto perché non sapeva di grammatica in quanto che nelle scuole che lui aveva frequentato sino alla quinta, anche il libro della grammatica italiana era stato dimesso.

Il milite della decima legione assicurò che era cappellaio soltanto, e non poeta.

– Ti credo, e ti darò il mio feltro da accomodare. Ti domandavo così per la ragione che vi sono tanti che sono cappellai, salumai, e anche poeti.

Dunque tu devi sapere che c’è stato un poeta che ha cantato la cosa più bella del mondo: che è quella cosa di cui tu non ti accorgi se non quando non trovi più gusto per le altre cose, e allora dici: non ho la salute. Naturalmente quel poeta invece di «salute» ha detto «Igea» per l’abitudine che hanno i poeti di parlare in difficile. Dunque lui dice che la salute prima l’hanno i contadini, quelli che coltivano la terra avita coi buoi di loro proprietà: questa «terra avita» non vuol dire «a vita», come «galera in vita», ma vuol dire degli avi, dei nonni: insomma che dentro la terra c’è anche l’anima di tuo padre.

E qui il professore cominciò a cantare su la spinetta:

 

A chi la zolla avita

ara coi propri armenti,

e le viti fiorenti

al fresco olmo marita,

e i casalinghi Dei

bene invocando, al sole

mette galiarda prole

dai vegeti imenei,...

 

Bada che è una bella poesia: anche i canarini stanno a sentire. Dopo i contadini vengono i marinai, se non vanno in fondo al mare. Sarebbero, questi, dei contadini e dei marinai, i due lavori più in libertà: e allora facendo la somma: salute più libertà, tu hai l’allegria. E l’allegria poi serve alla produzione della salute e della figliolanza come dice quella poesia. Il terzo posto, poi, della salute, l’hanno i soldati, i bravi soldati: a patto si intende, di non morire:

 

Se innanzi il nol pone

lancia nemica in terra.

 

Benché, poi, che cosa vuol dire morire? Viaggio in paese ancora inesplorato. Ti dico queste cose perché tu ti consoli pensando che, come milite legionario, tu vieni terzo nella scala della felicità.

Chi inventò per primo le spade? Quis primus horrendos protulit enses? Questa domanda se la fece un poeta che era press’a poco del tempo di Cesare ed era di abitudini pacifiche. E quell’«orrende spade» vuol dire sguainate, con le punte in su. Il Dio Geova quando si trattò di mandar via Lucifero, diede una spada all’arcangelo Gabriele; e suo Figliuolo, quello unigenito che gli uomini hanno messo in croce, e non voleva spade, dovette pensare un mondo diverso da questo.

Ambrogino osservò che le spade si portano oggi più per bellezza che per altro, e hanno molta più importanza le mitragliatrici.

Figliuolo mio, io non le conosco le mitragliatrici e te lo credo benissimo. In antico più in di spade e lance e qualche macchina elementare non si andava: ciò doveva permettere una notevole economia nel bilancio della guerra; ma io penso che se manca la buona direzione, puoi perdere una battaglia: «nel resto della vita è possibile riparare ai propri errori: alla condotta sbagliata di una battaglia non c’è rimedio; e la pena tien dietro immediatamente all’errore».

– E stato in guerra lei? – domandò Ambrogino.

– No, ma queste cose me le ha dette Marcello, che fu un grande guerriero romano. Giovane, poco più di te; e un grande psicologo, pur senza aver studiato psicologia. Ti prego di non dire lo psicologo, ma il psicologo.

Ambrogino guardò il vecchietto perché gli parve che non avesse sempre il cervello ordinato come hanno le altre persone.

Marcello, – senti che bel nome? – rimase poi sempre nella memoria dei romani, tanto che per augurare gloria e fortuna ad un giovane, dissero: «tu sarai Marcello!». Marcello è un diminutivo di Marco, che era un santo col leone, e splendeva d’oro su le bandiere delle navi di Venezia.

Ci poteva essere qualche differenza tra spade lunghe e spade corte. I galli, o francesi, che tu vuoi dire, usavano spade lunghe, più appariscenti, mentre i romani usavano spade corte.

I galli erano una gran bella razza, di fiera statura, rossicci, mobili, vanitosi, con tante collane e braccialetti come le nostre signore. Facevano cavalcate su cavalli feroci che bisognava domarli con freni terribili. Portavano lunghi baffi, spioventi.

All’aprirsi della primavera, venivano giù queste cavalcate di francesi e si spargevano per l’Italia, e arrivarono sino a Roma che allora era piccolina e la bruciarono.

E i romani rifecero Roma, e i galli giurarono di prenderla un’altra volta, ma quando arrivarono ad Orbetello furono tagliati a pezzi.

Giulio Cesare con la decima legione, – disse Ambrogino.

Giulio Cesare stava nascendo, – disse il professore. – Fu Marcello! Egli li inseguì, li sbaragliò e vinse Virdumaro, e con la spada segnò il confine di Roma dal Tirreno all’Adriatico, e diceva: «noi abbiamo occupata l’Istria, la Dalmazia, abbiamo ridotta tutta l’Insubria al nostro volere».

Ambrogino domandò che cos’era l’Insubria.

– Hai ragione: noi altri professori siamo così istruiti che ci dimentichiamo spesso che voialtri siete ignoranti. L’Insubria è Milano, o giù di , ed è da allora che voialtri da galli siete diventati romani. Voialtri della decima legione, dovevate essere rossicci, più alti di statura dei bruni fanti italici. Io penso che Marcello non si sarebbe fermato a Vittorio Veneto.

Marcello –, insisté il vecchio –. Senti che nome! È uno squillo di tromba. Marcello appartiene alla categoria degli eroi giovani. In questo campo non vi sono che giovani come Annibale, Alessandro, Napoleone, Marceau: ragazzi pieni di slancio e di genio che cavalcano ai tamburi della morte con indifferenza superba.

– E Cesare?

Cesare te l’ho detto, è un’altra cosa. un anziano rispetto a costoro. Invece i sapienti hanno gran barba, come Moise, Pitagora, Solone, San Gerolamo che aveva una barba spropositata. Stanno seduti in meditazione e quando passa quella cavalcata, dicono: «ragazzi, ragazzi, dove correte voi?» Tu sei anche sportivo, Ambrogino? I romani non erano; e quando cominciarono a diventare tifosi già l’ombra dell’impero si faceva lunga in sul tramonto. I romani andavano alla libera accademia del Campo di Marte, seguivano i generali nelle spedizioni, e così si formava una aristocrazia guerriera per via naturale, come, nelle età passate, i nostri grandi artisti, scultori, pittori, uscivano dalle botteghe dei loro maestri.

Ambrogino osservò rispettosamente che, con tutte queste chiacchiere, non si arrivava mai alla decima legione.

– Ci arriveremo –, rispose il professore –; ma se hai fretta, va adagio, come dicevano i padri gesuiti che sapevano più cose che non dicessero. Gli istrumenti di velocità del nostro tempo non si possono indifferentemente applicare alla macchina dell’intelligenza.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License