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XVII CANTANO LE QUERCIE DI FRANCIA
IN quale luogo avvenne lo scontro mortale fra Ariovisto e Cesare? Gli studiosi, anche in Francia, ne hanno disputato perché quella non fu mica una battaglia da poco. Si può dire che quella battaglia fece risonare per la prima volta il nome di Roma per tutte le selve della Germania; e il nome di Cesare corse, ombra vittoriosa, tutta la Francia.
E a Roma che ne pensò il senato?
È una battaglia a cui non possiamo dare un nome come Arbella! Zama! Termopili! C’è un riflettore perpetuo di gloria sopra quei luoghi.
– E Legnano? e Vittorio Veneto? e Garibaldi? – interruppe Ambrogino.
– Hai ragione tu – rispose il professore. Questa volta la giovinezza corregge le omissioni della vecchiezza; e non capisco davvero perché, invece di formare una onesta cooperativa anche fra giovani e vecchi, si deva ancora continuare a fare quei duelli che sono proibiti dalle leggi. Ma non è dimenticanza: è che dalle battaglie recenti i morti non hanno avuto tempo di trasformarsi in fantasmi; e i nobili poeti hanno poi imaginato la battaglia che si rinnova quando si alza la luna, e si «vedea per l’ampia oscurità scintille balenar d’elmi e di cozzanti brandi». Il che non è vero; ma è dono dell’alta poesia far credere i nobili fantasmi più veri del vero.
Qui noi non sappiamo il luogo della battaglia: gli scavatori, chiamati anche archeologi, avranno anche scavato. Essi fiutano la terra con sottile senso, e qualche volta trovano, e qualche volta non trovano perché la terra mangia: mangia i morti, mangia le spade, mangia gli elmi dei guerrieri, come mangia il letame; e qualunque contadino te lo può insegnare.
Vive solo il canto delle Parche!
Per quello che io ti posso dire, la battaglia fra Cesare e Ariovisto deve essere avvenuta a un centinaio di chilometri da Besançon.
Cesare, come ti ricorderai, quando mosse da Besançon con quella sua sortita ingegnosa era camminato per sette giorni; ma non in linea diretta, bensì con tortuoso giro per sfuggire i luoghi insidiosi, così che è lecito supporre che il luogo della battaglia non deve essere stato lontano dalla città di Mulhouse, se ti piace chiamarla alla francese; e i tedeschi la chiamano Mülhausen.
Questa è oggi città non grande, ma di molte industrie. Essa si trova nel paese dell’alta Alsazia. Questo paese per qualche secolo passò dall’impero dei germani alla corona dei re di Francia, e poi passò ancora ai germani. In Alsazia i tetti sono a punta aguzza per lasciar scorrere le nevi invernali, le case sono pittoresche e rivestite di bel legno, e sono tiepide di alte stufe di maiolica bianca.
Le fanciulle vi sono graziose con due fossette alle gote perché ridono volentieri, e un bel nastro a due fiocchi ondeggia dietro la nuca. Questo nastro era una volta di vivaci colori; ma dopo il 1870 diventò nero in memoria della patria perduta, così che ogni giovane amatore, quando andava a spasso con la fanciulla, si doveva ricordare la patria. Le estati sono lunghe e asciutte, e sui tetti arrivano le cicogne e portano i puttini alle fanciulle. Paese che onora il lavoro, tanto dei campi quanto delle officine; paese che ama la gioia della vita; e questa è una cosa che viene da sé perché vi si onora la sacra vite; e a Colmar berrai vini eccellenti. Giovanna, la fanciulla che gli inglesi bruciaron a Roanno, era della Lorena che è un paese un poco più in su. «Ma dove è la pulcella, e la sua spada? dove è Berta dal gran piè? dove è dunque il prode Carlomagno? ma dove son le nevi dell’altr’anno?» Così già si domandava un poeta francese di cinque secoli fa.
Tutto si è divorato il tempo e la terra.
L’Alsazia e la Lorena nell’ultima guerra sono ritornate ancora dalla Germania alla corona di Francia; e i germani dicono di aver messo l’Alsazia e la Lorena in conto di perdita e non se ne parli più. Sarebbe scortesia non credere alla sincerità di questa dichiarazione: ma è che il popolo dei germani ha ostinata memoria; e ai ricordi si accende a loro la fiamma negli occhi. E poi c’è il genio della guerra. Esso è come un malfattore, che si compiace rivedere ogni tanto i luoghi dove è stato, e perciò vi ritorna, e le cicogne devono volare via, perché romba il cannone. E, se per una ragione o per un’altra, le cicogne non portano più puttini, intristiscono le famiglie, intristisce il paese.
Il genio della guerra viaggia il mondo più dell’ebreo errante: passa i mari, passai monti: gli oceani anche. Si mette a cavalcioni lì in mezzo: sventola un vello di seta, un bioccolo di cotone, un balocco automatico; e lì fa mercato: «A buon prezzo! – grida –, a meno prezzo! Sotto prezzo!»
Poi fa sonare anche din din nella borsa; e i popoli si precipitano alla guerra come stormi di storni per richiami. Precipitano coi loro soldati, con le loro barchette, coi loro aquiloni, chiamati reoplani, fanno i fuochi coi loro srapani.
Ma sopra tutto non devi dimenticare Og e Magog. Ne parlano i veggenti della Bibbia. Non ti fidare se oggi Og e Magog vestono alla europea!
Come fosse a quei tempi la città di Mulhouse, non te lo so dire: forse non c’era; e se non ci decidiamo a prendere le fotografie prima che entri in azione il piccone, i nostri nepoti nemmeno sapranno come erano fatte le città dei padri.
Allora, dai monti dei Vosgi al Reno, era tutta una selva, e la Francia, come già ti ho detto, era bella di selve e riviere.
Le nobili quercie per secoli vissero sovrane, stormendo ai venti le canzoni della loro terra.
Fra quelle selve sorgevano i due accampamenti di Ariovisto.
Quanti erano gli svevi che erano arrivati alle rive del Reno? Si può supporre che la luna nuova delle indovine germane volesse significare per Ariovisto il giorno in cui tutti gli svevi avessero passato il Reno, e così prendere Cesare dentro la tenaglia di tanta moltitudine.
E improvvisamente, il dado è gettato, alea jacta est. Dal campo di Cesare partì la freccia di punta diretta.
Da allora, le quercie stormirono la canzone della nuova Francia romana.