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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Io mi soffermo spesso su le vie del Rubicone, un fiume irrisorio, insignificante. Ma che dico fiume? un rigagnolo tortuoso, che l’estate arriva appena a portare un filo d’acqua al mare ché se la beve l’arena. Ma ti dico io che, nella gerarchia dei fiumi, il Rubicone ha più importanza del Mississipí.
Il Rubicone è come l’Acheronte, il fiume «doloroso», passato il quale non si torna più indietro. E ora vedi questo?
E il professore spalancò davanti a Ambrogino una carta dove era disegnato: Britannia, Gallia, Hispania, Mauretania, Aegyptus, Syria, Pontus, Graecia, Thracia, Dacia, Pannonia, Noricum, Raetia, Belgica.
Questo è l’impero romano. Per la sua salute era necessario passare il Rubicone; e io alle volte dico come Bruto: «Cesare era un ambizioso, era un tiranno»; e poi dico: «Cesare, perdona, tu non eri un tiranno».
Quel passaggio avvenne ma non senza prodigi. Il cavallo di Cesare si impennò e non voleva passare: all’altra riva era apparso un fantasma.
E spronò il cavallo e comandò alla legione di seguirlo. Non era la X legione: era la tredicesima. Dunque alla vigilia del giorno 13, cioè il giorno 12 del gennaio dell’anno 49, e con la legione XIII Cesare passò il Rubicone.
Ma già il 4 gennaio, alle ore 9 del mattino, il sole si eclissò e la terra parve svenire; e il 18 gennaio, alle ore 9 di sera, la luna si oscurò.
Anche il 9 è un numero magico, e così il suo multiplo 18.
Passato che ebbe il Rubicone, guarda ancora l’impero. Cesare lo girò tutto con la sua spada, e vinse sempre: e vinse in Grecia, e vinse in Asia, e vinse in Egitto, e vinse in Spagna. Non ti meravigliare se fra tante guerre Cesare sostò in un’oasi dove trovò Cleopatra, come ti ho detto. Le belle donne profumano il mondo e Cleopatra fu la bellissima fra le donne e, per il suo spirito, degna di Cesare. Alla mia età questo profumo non si sente più. Ma stolto è il vecchio che perché lui più non sente, non vuole che gli altri sentano. E poi, e poi? Perché andò incontro e si lasciò cadere sotto i pugnali dei congiurati?
Cesare, Cesare! Chi lo conosce il tuo mistero?
Ah, battaglie di Francia, di Germania e di Inghilterra! Esse sono quasi allegre. Ora non è Ariovisto, non è Cassiovelauno, non è Vercingetorix: è Pompeo. Il nobile Pompeo fu quello contro cui primo cozzò la spada di Cesare; Pompeo che vinse Sertorio, debellò i pirati, sconfisse Mitridate. Ha cinquantotto anni, ora, ed è legato per sangue con Cesare. Cesare ha cinquantadue anni. Non è più per tutti e due la lieta giovinezza. Guarda ancora il magico impero: vedi quante pupille dal mar Nero al Reno fissano il duello: sono i barbari. Aspettano!
Pompeo si è trincerato nel castello di Durazzo.
Cesare comanda alla decima legione di prendere quel castello.
Sotto il castello di Durazzo molti dei tuoi compagni perdettero la loro giovinezza; e lo dice Cesare che nelle battaglie di Durazzo la decima legione rimase «molto attenuata».
Non sparse lagrime Cesare quando vide da quei macigni, da quelli spalti, rotolar giù quella giovinezza che in Francia, in Britannia, erano attorno a lui, a lui volgevano gli occhi luminosi e dicevano: «Eja, Caesar, alalà»? Passarono con Cesare il Reno, ed ora passano alle rive di Acheronte.
Se Cesare dice che quella sua legione fu «molto attenuata», è per ricordare che della prode legione ancora gliene rimase da lanciare nella battaglia di Fàrsalo.
Questa campale battaglia fu combattuta il giorno 9 d’agosto, proprio l’anniversario dopo dieci anni dalla vittoria sopra Ariovisto; ma io non ho più voglia di raccontare, mi vien malinconia e non ti so dire perché.
Povera decima lègio! Come eri ubbidiente!
Lui, Cesare, era sempre con lei: quacum erat, «con la quale egli era». Forse li conosceva ad uno ad uno, li chiamava per nome, ed essi sorridevano come quel giorno in Alsazia quando li armò tutti cavalieri. Cesare era in Francia, e comandò alle trombe di sonare a raccolta, receptui cani iussit, e quelli subito fecero alt e piantarono le bandiere: continuo signa constiterunt. Cesare era in Britannia e gettò la bandiera d’oro nel mare; ed essi si precipitarono in mare. I francesi attaccano con grande ardimento? Cesare comanda alla decima lègio di fermarli: legio decima insequentes hostes tardavit. Cesare ha bisogno di aiuto? Chiama pro sussidio la decima lègio. Sempre lei in tutte le prove! Ma quel giorno quando nella sterminata battaglia di Alesia oscillò incerta la vittoria? Cesare è apparso a cavallo col manto di porpora. Ha detto: «seguitemi», se sequi iussit. Ecco la decima legio! Fu ben quello il giorno della gloria! Voi formaste piedestallo di anime all’insuperato guerriero.
Ora a Durazzo, a Fàrsalo, Cesare ha detto: «Morite!»; ed essi hanno obbedito; ma pur dicevano: «Come sono, o Cesare, più dolorose queste ferite! Come era più bello morire contro Ariovisto, contro i Britanni, contro Vercingetorix».
Le Valchirie li han pur essi tutti raccolti.
Non pianse Cesare. Egli non ha tempo per piangere. E andò avanti finché arrivò alle idi di marzo; che è il giorno 15: ma due giorni prima, il giorno 13, sentì ripetere l’infausto numero? – si era di nuovo tutta oscurata la luna.
Ti racconterò la storia delle idi di marzo? di «Cesare armato con occhi grifagni?». Cesare non era armato quel giorno che entrò in senato: non aveva occhi grifagni. Se le spade della decima legio si fossero levate per difenderlo, avrebbe detto: «posate le spade».
Non tutto può Cesare: può buttare nel Reno i germani, non può vincere ambubaiarum collegia, pharmacopolae, mendici, mimae, balatrones et bagolones. Andiamo, o Cesare, incontro alle idi di marzo!
– Bagolones? – interruppe Ambrogino – Ma si dice anche da noi.
– Si dice in ogni linguaggio – rispose il professore –. Tali erano in Atene come a Parigi, e perciò ti ripeto: va a predicare ai pesci come ha fatto sant’Antonio.
– Scusi: lei ha detto: san Francesco.
– Sarà, ma avevo bevuto quel giorno. Sant’Antonio da Padova fu del resto uno dei seguaci di san Francesco. Va a predicare ai pesci quando gli uomini che hanno orecchi, non odono.
E continuò:
– Cesare può far nuove leggi, non può impedire di far gioco piccolo e gioco grande sotto le sue leggi.
Andiamo, o Cesare, incontro alle idi di marzo.
E dopo Cesare venne Cristo senza leggi e senza spada; ma vèdilo là che piega la testa sotto la croce, come Cesare sotto la toga.
E dopo che Cesare fu morto, un chiarore apparve nel cielo: era la stella di Cesare: Julium sidus. «Per sette giorni una stella crinita splendette nel cielo». Era l’astro di Cesare: Caesaris astrum, «per il quale la spiga del grano si rallegra, e sui colli solatii l’uva s’indora: e tu innesta i tuoi frutti, e i nipoti ne avranno nutrimento e letizia».
Ma tu mi fai diventare lirico e georgico, come Orazio e Virgilio; e questa cosa molto mi dispiace.
Il nome di Cesare non è una corona; è una consacrazione che valicò il tempo e le terre. Chi portò quel nome, anche se uomo mediocre, sentì la consacrazione di Cesare.