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Alla ricerca dell'infelicità.
- È inutile! più
mi ci provo, a farmi un po' di coraggio, e più sento d'avere una paura
maledetta di questa
epidemia.
- Carissimo Macario! - soggiunse il dottore, alzando le spalle, - io non so davvero che razza di consiglio darvi: siete troppo affezionato alla vita, voi!... se non foste così fortunato, così felice, la morte, vicina o lontana, non vi farebbe tanto spavento: credete a me.
- Dunque: contro la paura non c'è rimedio?
- Oh sì: ce ne sarebbe uno: ma non so se il rimedio sia preferibile alla malattia.
- Dite pure: io non tremo, davanti alle medicine: la paura.... mi darà un coraggio di leone. Che devo fare?
- Una cosa dolorosa, ma facilissima.
- Sentiamo.
- Procurarvi.... molta infelicità....
Macario Tuccimei fece un par d'occhi bovini e guardò fisso la faccia pallida e canzonatrice del dottor Giulio Sottani, come per chiedere:
Il dottore
sorrise e continuò, con la sua voce flemmatica: - Siate molto
infelice, Macario mio, se volete essere meno infelice di quel che siete adesso.
Quando vi sarete convinto che la vita è un soffrire continuo, poco più vi
premerà morire di colera o di tubercolosi....
- E dite queste cose voi? un medico!
- Appunto. Più vado innanzi e più mi persuado che anche la vita è una malattia. Forse è la sola da cui si possa guarire.... col tempo.
L'onesto Macario Tuccimei escì, pensoso, dalla casa del dottore.
- E se, poi, avesse ragione lui? pure è curiosa che un uomo, per essere tranquillo, si deva procurare una certa dose d'infelicità!... e se mi ci provassi?
L'eccellente Macario Tuccimei passò, mentalmente, in rassegna le fonti principali della propria felicità: una salute di ferro, un solido patrimonio, una moglie virtuosa e adorabile.
Mentre andava ruminando, fu fermato da suo cugino Augusto Marinelli, libero ma ozioso cittadino, scioperato, pieno di debiti e di vizi.
-
Senti, Macario mio: mi dovresti fare un gran favore: ho giocato e ho perso
sulla parola....
- Non mi parlare di queste faccende!
- Se non m'aiuti, parola, mi brucio le cervella.
- E se, per cominciare, buttassi via dei quattrini?
Poi, come uno che prenda una risoluzione, chiese al cugino:
- Meno ciarle: quanto t'abbisogna?
- Corbezzoli!
- Ma ti giuro che, dentro il mese, te le renderò.
Macario Tuccimei andò, col cugino, dal suo banchiere e gli fece consegnare dieci biglietti da mille: poi, quando rimase solo, esclamò:
- È come se m'avesse strappato un pezzo di cuore. Quanto mi fa piacere d'essere così scontento di quello che ho fatto!
Così, mentre adagino adagino tornava a casa, Macario s'abbandonava alle più dolci riflessioni.
- Adesso dirò a Celestina che ho prestato diecimila lire ad Augusto, e son sicuro che mi farà una scena terribile! - e si stropicciava le mani: - sarà la prima volta, ma son certo che, appena lei lo sa, mi carica di improperi. Ci tiene tanto al denaro!
Appena deposto il cappello e consegnato alla moglie il bastone di bambù, Macario prese un aspetto contrito e cominciò:
- Sai, moglie mia: mezz'ora fa ho commesso una corbelleria tale....
E le raccontò il caso; poi, conchiuse:
- Sì: a quello scioperato d'Augusto, che non potrà restituirmele mai più.
E abbassò il capo, aspettando la tempesta.
Celestina, invece, gli si buttò al collo, tutta intenerita:
- Che cuore che hai! dopo tutto, bisogna aiutarli, i propri parenti!...
Il giorno appresso, Augusto Marinelli, con un dispaccio in mano, entrò come una bomba in casa Tuccimei e gridò a Macario:
- È morto di colèra alla Spezia lo zio Luciano e m'ha lasciato ventimila lire di rendita. Che fortuna! che fortuna!
Poi, correggendo:
- E che tremenda, irreparabile disgrazia!
Tre giorni dopo, Augusto restituiva le diecimila lire al cugino, più - a titolo di regalo - due magnifici anelli di brillanti, che facevano parte dell'asse ereditario.
- Scommetto, - pensava il povero Macario, - che, se butto in mare centomila lire, il giorno dopo il cuoco me le riporta a casa dentro un pesce. E sia! non ci pensiamo più....
Poi, guardando Celestina, che ricamava un orrendo paio di pantofole:
- E se mi procurassi delle infelicità coniugali? che idea!... Ma intendiamoci! non già che lei.... io piuttosto potrei.... sicuro! perchè no?...
Andò nello studio e, alterando un poco la calligrafia, fece una mezza dozzina di lettere amorose dirette a sè medesimo, le firmò Clorinda e le pose nella tasca interna del soprabito, che poi appese all'attaccapanni.
Sulla fine del pranzo, disse a Celestina:
- Vedi un po' nella tasca interna del mio soprabito: ci devo avere dei sigari.
- Dove sta?
Celestina, premurosa, andò e tornò subito.
- Nella tasca interna, hai detto?
- Sì.
- Non c'è niente.
- Come: non c'è niente!
- Non ci hai che una quantità di carte.... mi son parse lettere....
- Spero che non le avrai lette? - gridò Macario, fingendo quasi terrore.
-
Ma ti pare!
La sera, Macario provò a lasciare quelle lettere sparse sul comò; ma la mattina, Celestina stessa le radunò, guardandosi bene dall'aprirle, ne fece un bel pacchetto, che legò con un nastrino, e lo presentò la2 marito, dicendo:
- Hai scordato queste carte sul comò: ti servono o le devo riporre?
- Buttale magari via! - rispose Macario, profondamente deluso. - Arriverò fino all'eroismo! - pensò il desolato Tuccimei - esporrò Celestina alle seduzioni della colpa.... L'esperimento è doloroso, ma necessario!
Eh, a dirlo ci vuol poco! ma come si fa? non è mica facile fermare un amico o il primo venuto per dirgli: mi farebbe il piacere di?...
Tra l'altro il salotto di casa Tuccimei era frequentato da pochissime persone e tutta gente matura che aveva altro per la testa.
Mediante
un processo d'eliminazione, Macario arrivò a conchiudere che, tra tutti gli
amici di casa, non ce n'era che uno solo capace di rendergli quel servizio:
vale a dire Cesare Marchini, non tanto bello, poco spiritoso, ma non
antipatico: oltre a ciò robusto e giovane ancora, poichè non aveva, a sentir
lui, che trentasei anni. Tuccimei lo aveva conosciuto assai prima del
matrimonio e tra di loro c'era intimità. Quando Celestina entrò in casa
Tuccimei, l'amico Cesare Marchini fu, per così dire, il convitato abituale,
ch'era a pranzo o a cena un giorno sì e l'altro no, giocando poi a tarocchi con
Macario e tre volte la settimana facendo - gratuitamente, si capisce - lezione
di pianoforte a Celestina, che aveva pur troppo delle tendenze organiche alle
romanze per camera.
- Sicuro! - pensò il buon Tuccimei, a guisa di corollario: - se Cesare si prestasse!... ma come faccio io a introdurli in.... questa corrente d'idee? sono due anime così pure, così ingenue!
A ogni modo, volle tentare e fece del suo meglio. Certe volte, tra la moglie e l'amico, faceva certi discorsi che pareva.... cerco un paragone possibile!... pareva (l'ho trovato) un suocero intento a gonfiare ben bene il suo futuro genero: quando, poi, si trovava solo con Cesare, si lasciava andare a certe descrizioni curiose così da rammentare quel re di Lidia che, a furia di vantare all'amico Gige le belle qualità della consorte, si fece togliere la moglie, il trono e la vita.
Ma Celestina era sempre la stessa donna insignificante e Cesare non capiva niente.
A pranzo, faceva bere molto vino spumante a lei e a lui, poi li lasciava soli, con un pretesto qualunque, dicendo magari che doveva partire per un giorno o due: tornava invece d'improvviso dopo un par d'orette, e li trovava seri, composti, accigliati, come sempre, seduti davanti al pianoforte, con l'eterna romanza Vorrei morir sopra il leggìo.
- Dopo tutto - pensava - non sarò infelice, poichè Dio non vuole; ma è una cosa che tocca proprio il core. Oh, la felicità, l'amicizia non sono vane parole!
E abbracciava Celestina con tenerezza e stringeva caldamente la mano a Cesare.
Una sera, nell'alzare la tenda per entrare nel salotto, Macario si fermò.
Celestina stava sopra un sofà e Cesare ai suoi piedi....
Ridevano tutti e due, ridevano forte.
- Che fanno? - e Macario stette nella penombra ad osservare, poi rise anche lui silenziosamente dentro di sè.
Cesare non faceva che allacciarle innocentemente il cappio delle scarpine, che s'era snodato.
- Son due fanciulloni! - pensò Macario, dolcemente commosso: - ma, adesso, voglio fare una bella burletta.
E inoltrandosi con passo tragico nel salotto, incrociò formidabilmente le braccia sul petto e tuonò con voce stentorea:
- Ah! vi ho sorpreso, finalmente!
Cesare si alzò pallido, esterrefatto, e mormorò:
- Potresti uccidermi, lo so: ma non fare scandali.... sono ai tuoi ordini!
- Come!?..
Macario sentì un tuffo al cervello, gli si annebbiarono gli occhi, gli si piegarono le gambe e cadde sopra una sedia.
- E pensare che sono stato io! io!
Poi, a Celestina, che si nascondeva la faccia:
- No: la colpa è mia! non ho diritto di vendicarmi: non temere.... ma voglio una confessione schietta, schietta. Da quanto è che?..
- Da cinque anni.
- Da cinque anni??..
Il dottor Giulio Sottani incontrò Macario Tuccimei con la valigia, alla stazione.
- Come va la vita, carissimo Macario?
- La vita?.. la vita è una malattia da cui si guarisce col tempo.
- Oh, diamine! e siete di partenza?
Macario, con voce sepolcrale, al bigliettaro:
- Un biglietto di prima classe.
Il bigliettaro, brusco brusco:
- Vado all'inferno. Che ha da sapere, lei?