Gandolin
Ciarle e macchiette
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L'avaro fastoso.

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L'avaro fastoso.

 

Pochi hanno conosciuto il marchese Attilio Pancaro, pochissimi sanno come egli fosse d'una fenomenale avarizia; e questo peccato capitale, forse a lui trasmesso per atavismo, poichè suo nonno era un arpagone di prima forza, era continuamente in conflitto con la sua educazione di gentiluomo, col suo spirito di persona colta, coi suoi medesimi istinti un tantino epicurei.

L'avarizia era per lui come un vizio segreto, e metteva ogni cura possibile nel nasconderlo agli occhi della gente; solo i suoi intimi ne sapevano qualcosa, o piuttosto indovinavano per via di certi incidenti ch'erano come improvvisi sprazzi di luce sul carattere singolare del marchese Attilio Pancaro.

Egli aveva trentamila lire di rendita e il suo patrimonio, quando morì, era considerevolmente aumentato, poichè egli aveva trovato il modo di vivere signorilmente, senza spendere neppure un quinto.... che dico!... neppure un ottavo delle sue rendite. La spesa maggiore era quella del sarto, poichè amava di vestire con una certa eleganza, ma pure in fatto di vestiario aveva pensato a risorse incredibili. Per esempio, non si faceva mai fare un paio di scarpe, ma voleva invece tre scarpe uguali, tutte a un piede e numerate coi numeri 1, 2 e 3 per poi calzarle alternativamente in quest'ordine fisso:

lunedì: - n. 1 al piede destro - n. 2 al sinistro.

martedì: - n. 2 al piede sinistro - n. 3 al destro.

mercoledì: - n. 3 al piede destro - n. 1 al sinistro....

e via di questo passo, in modo che, per confessione sua, le tre scarpe gli duravano, per lo meno, come due paia.

Portava sempre abiti di mezza stagione, uno tutto grigio e l'altro tutto caffè scuro, che combinava in modo sapiente, come le scarpe, allo scopo di far credere avesse un corredo di vestiario fornito quanto quello d'un principe. Anche per le vesti aveva una specie di programma di questo genere:

lunedì: - calzoni grigi - gilè e soprabito caffè.

martedì: - gilè e calzoni grigi - soprabito caffè.

mercoledì:. - calzoni caffè - gilè e soprabito grigi.

giovedì: - gilè e calzoni caffè - soprabito grigio.... ecc.

Era amico intimo di sei nobili famiglie, presso ciascuna delle quali, commensale amabile e ricercato, godeva di un pranzo ebdomadario, così che era provvisto per sei giorni; il settimo, che spesso era domenica, pranzava in un'osteriaccia suburbana, ma prendeva il caffè nel primo restaurant della città.

Abitava in un quartiere elegante, che costava tremila lire d'affitto, ma ne subaffittava due terzi per duemila seicento lire. Il figlio del portiere, per dieci lire il mese, fingeva d'essere il suo domestico, ma non poteva indossare la livrea che in caso di qualche visita, caso del resto rarissimo, perchè il marchese passava fuori tutta la giornata. Viveva da scapolo, ma era vedovo; la marchesa, una brava figliuola, era morta dopo un anno di matrimonio e lui, bisogna dire la verità, l'aveva pianta assai; ma, quando gli portarono la nota delle spese per i funerali, che ascendevano a più di quattromila lire, esclamò:

- Quattromila! quattromila!... perdinci: avrei preferito che non fosse morta! -

 

 

Non c'era caso che gli venisse l'idea di dare un soldo a un povero; pure, qualche volta, trovandosi insieme con persone di riguardo, se un mendicante si accostava, era capace perfino di lasciar cadere nel cappellaccio una moneta da due soldi. Ma con che strazio!

Un giorno, passeggiava con un amico intimo, quando al cantone d'una via, una voce querula disse:

- Fate la carità al povero orbo. -

L'amico diede al cieco cinque o sei soldi; il marchese fece finta di non darsene per inteso, tanto più che l'amico era una persona così di confidenza, che non gli dava soggezione di sorta.

- Ma perchè, - . gli osservò l'amico, - non dài un soldino a quel povero diavolo? un signore come te?

- Che vuoi, - rispose; - io seguo i precetti del Vangelo.

- Come?

- Già, non fare agli altri quel che non vorresti.... eccetera. Ora siccome io non vorrei che nessuno mi facesse la limosina.... -

 

 

Pure, come ho detto, davanti al pubblico amava passare per un uomo piuttosto filantropico. Ricordo che, quando si fece la gran fiera degli inondati del Veneto, il marchese passeggiava cautamente tra i banchi, carico di oggettini, di ninnoli, che aveva portato da casa, ma per fingere d'avere fatto di grandi acquisti: e con tutti quei curiosi impiccetti tra le mani, si pavoneggiava, tra il professore Massei e l'avvocato Bonfigli, il quale era appunto uno dei pochi che sapessero dell'avarizia del marchese.

S'accosta la bella contessina Manayra, con un bussolotto e grida, agitandolo:

- Per i poveri inondati! -

L'avvocato e il professore si mettono la mano in tasca e danno cinque lire.

Il marchese, con meraviglia grande dell'avvocato Bonfigli, cava solennemente il portafogli e getta nel bussolotto un biglietto da dieci lire.

La contessina ringrazia e va via.

Fatti pochi passi, ecco la contessa madre, anche lei armata di bussolotto....

- Per i poveri inondati.

- Ho già dato; - le risponde cortesemente il marchese.

- Non ho visto; - dice la contessa inchinandosi; - ma lo credo.

- E io - borbotta l'avvocato - ho visto.... ma non lo credo. -

La sera, facendo il resoconto cumulativo, si trovò un biglietto di dieci lire falso.

 

 

Un anno prima della sua morte, toccò al marchese la disgrazia più grossa che mai gli potesse capitare: l'arrivo, cioè, d'un suo lontano parente, al quale naturalmente era costretto, diciam così, a far gli onori di casa e il cicerone per la città. Non rimase con lui che tre giorni, ma, come potete figurarvi, quello fu un triduo di torture segrete e inenarrabili.

Col pretesto di "godere un po' di fresco e di verde" - era la metà del maggio - il marchese portò il parente a desinare in una osteria suburbana, ove, a parte i ragni, le mosche e le formiche che infestavano pane e vino, si mangiava proprio in una maniera detestabile.

Si mettono a tavola e viene servita una zuppa che non solo non ha il sapore del brodo, ma neppure il colore a dirittura.

Il convitato ne ingoia due o tre cucchiaiate facendo le boccaccie, ma i\ marchese si ostina a dirgli:

- Come ti pare questo brodo?

- Oh, eccellente!

- Non è vero che è buono assai? sentirai, adesso, il lesso!

Viene il lesso, non più grosso di un tappo di sughero, ma molto più duro del medesimo.

- Adesso, faremo fare due buone costolette! Tosto l'untuoso cameriere, in capo a cinque o sei minuti, serve in tavola due pezzetti nauseabondi di cuoio carbonizzato.

Il povero convitato, internamente, moriva di fame e di rabbia.

- Caro mio! - gli dice, in ultimo, il marchese; - ti piace una bella bistecca ai ferri, con patate; ma proprio una bistecca di filetto?

- Perdinci! - esclama il convitato, che sente rinascere la speranza; - è la mia passione.

- Benissimo; - soggiunse freddamente il marchese; - tornando in città, ti farò vedere un macellaio che vende il primo filetto dell'universo. Non c'è che quello!

 

 

 

 


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