Gandolin
Ciarle e macchiette
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La Marchesina Soprani.

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La Marchesina Soprani.

(ricordi d'un artista.)

 

.... Dunque, come dicevo, in quell'epoca ero già un imbecille, eppure non avevo che soli diciannove anni.

La mia faccia era una faccia come tante ce n'è: una faccia quasi senza connotati. Segni indelebili, nessuno; tranne il vaccino, la cresima e la patente d'asinità, debitamente autenticata, ogni tanto, dal mio principale.

Il quale poi, per la clemenza di Dio, fingeva di essere un buon pittore di soffitti, e non arrossiva di commettere certi affreschi che, in tempi di minor tirannide, gli avrebbero anche fruttato la galera.

Aveva assoldato due o tre imbrattamuri della mia forza e ci faceva sgobbare come tanti negri, vituperando la nobiltà del nostro ingegno con la miseria di tre lire al giorno.

Si dipingeva, allora, la palazzina del marchese Soprani. Voi la conoscete, nevvero?... Una palazzina di alabastro, in fondo a un prato, che mette voglia di ruzzolare sull'erba, fiancheggiata da boschetti di cedri, d'araucarie, di palmizi, d'acacie, di magnolie e di alberi del pepe, che, solo a guardarli, fanno sternutare ogni fedel cristiano.

Il principale m'aveva affidato un fregio, che ricorreva torno torno ai lacunari del saloncino. Dipingevo una collezione di puttini, così paffuti e rosei, che facevano rabbia.

Era la mia specialità, quella dei puttini, e il principale lo sapeva. Un amorino, condotto di mia mano, con rara diligenza, gli costava in media non più di settantacinque centesimi. Ci era anche uno sparagno, sulla dozzina. Eh, no!... non si potevano dir cari.

Il marchese Soprani veniva, di quando in quando, a dare un'occhiata ai lavori. Era un bel pezzo d'uomo alto e tarchiato, con due baffi grigi e monumentali, appuntati alla soldatesca, e che disgraziatamente avevano preceduto l'istituzione della guardia nazionale. Un vero peccato!

Del resto, il marchese era tagliato alla buona. Aveva modi affabili, non disgiunti dall'alterezza del gentiluomo e divideva onestamente il suo tabacco tra il naso e lo sparato della camicia. Non di rado, chiacchierava con noi altri, come un semplice mortale. Ma quel suo fare di uomo alla mano, m'ingrulliva del tutto, mi scompigliava idee, colori e pignattini.

Anche la signora marchesa faceva, bontà sua, qualche rara apparizione. Immaginatevi una signora più lunga del vero, gialla, stecchita, sotto un abito di raso nero, pieno di anfrattuosità e di singolari dimenticanze.

A mo' di compenso, erano frequenti le visite della marchesina. La marchesina! La marchesina!... un fiore di fanciulla, una figurina svelta e leggiadra, un profilo ideale, due occhi birboni. Due occhi grandi così.

Si chiamava.... oh, non lo crederete!... si chiamava Veronica.

La mamma, con pietosa finzione poetica, la chiamava abitualmente col vezzeggiativo di Nanola.

La marchesina aveva un difetto: non era bionda. Difetto complicato dalla circostanza aggravante che non era neanche bruna. In fatto di capelli, non per colpa sua, era così così. Ma quanto al resto!... fate un po' il piacere; vi dico che di quelle ragazze , con tutte le vostre esposizioni di Parigi, non se ne fanno più.

Come mai, da una ceppata così arrangolata come la marchesa, fosse sbucciato un pollone tanto gentile come Nanola, che non somigliava al babbo alla mamma, è uno di quei problemi di logismografia, che la religione ammira, ma non analizza. Io non son qui per calunniare!

La marchesina era un occhio di sole e questo è positivo.

Entrava nel saloncino, con tutta disinvoltura, andava alla finestra, guardava nel giardino, cinguettava qualche cosa, e poi si metteva a sedere, con seducente languore, sopra una poltroncina, fingendo dedicarsi a un lavoro all'uncinetto.

I miei puttini, frattanto, crescevano su proprio per amor di Dio, come vitelli allevati a minuzzoli di pane. Le mie facoltà intellettuali erano tutte assorte nella contemplazione della marchesina. Tanto è vero che il principale in breve si accorse che gli amorini venivano a costare due lire l'uno e perfino due lire e venticinque. Cosa naturalissima: l'amore in rialzo.

Il principale mi voleva un gran bene, ma ci teneva assai a non aumentare i prezzi di fabbrica. Messo in sull'avviso, mi sottopose a una muta sorveglianza, che in quei tempi non offendeva ancora la dignità di un libero cittadino. Ma l'occhio del padrone non ingrassò i miei puttini.

L'effetto del sotto in su è noto da secoli parecchi; ma non potete ideare l'effetto strano che produce una bella creatura, vista dal sopra in giù. La teoria degli scorci ha, sotto questo punto di vista, una grave lacuna.

E lei, la marchesina, s'era accorta della mia sordomuta ammirazione?

Bontà divina! chi è quella figlia d'Eva che non se ne avveda subito?

Le nostre occhiate s'incrociavano spesso, si chiappavano a volo, come i lepidotteri, e allora, mentre la marchesina abbassava le ciglia sul filondente, io, tutto rimminchionito, succhiavo il pennello, come si succhierebbe un bastoncino di cioccolatte.

E gli amorini salivano a lire 2,65 l'uno, come in tempi di assoluta carestia.

La sera d'un sabato, il principale, afflitto da un catarro che non mi prometteva niente di buono, mi diede la paga. Porgendomi le diciotto lire, che compendiavano i bisogni della vita, il brav'uomo mi disse con aria paterna:

- Caro mio, ce la dobbiamo discorrere un pochino.

Le mie gambe provarono un rilassamento molecolare, mentre il cuore si faceva piccino piccino.

- Che stupido! - fece il principale, con accento bonario, nello scorgere il mio imbarazzo. - Ma va via: non farmi quella faccia . O che c'è forse qualche cosa di male? sei o non sei un artista? che cosa diavolo sei? ma che ti pare che ci sia da vergognarsi? che razza di uomo! Ebbene, signor sì, tu ami la marchesina.

- Io?

- Sì, tu; o chi dunque? Io forse? Capisci bene che le son cose da non potersi nascondere. Gli è come una flussione di denti. Ho visto tutto, ho visto.

- Ma vi giuro.... parola d'onore....

- Ma che parola d'Egitto! Quando ti dico che ho visto! O vieni un po' qui e ragiona: che male c'è? L'artista, mio caro, può pretendere alla mano d'una regina. Michelangelo non ha forse sposato la principessa Buonarroti?

- Questo è vero! - risposi con maravigliosa sfrontatezza.

- O dunque?

- Ma io....

- Ma tu non sei che un ragazzo. Lascia fare a me. La marchesina è pazza per te!

- Oh questo poi!

- È pazza, ti dico. Capisco io il valore di certe occhiate. Lascia fare a me, ti ripeto. Sono intimo del marchese e se a te manca il coraggio, domanderò io la mano della marchesina.

- Ah questo no, principale, per amor di Dio!

- Va ! retta a me; tu non t'impicciare di nulla. Parlerò io al marchese. Anzi, vedi, voglio andar subito da lui. Chi s'addormenta su certe cose, resta con un pugno di mosche. Il marchese lo conosco come il palmo della mano; oggi appunto è d'un umore eccellente.

- Sentite, principale! - gridai con voce straziante, afferrandolo per una manica; - oggi poi no!... davvero....

- Lasciami fare, lasciami fare. Sento che ho vocazione per queste cose. Tutto sta nel saper cogliere il momento, e il momento è questo. Tu resta qui, e a momenti sarai l'uomo più felice della terra! - e, così dicendo, liberatosi con una strappata, si slanciò nell'appartamento del marchese Soprani.

Dipingervi l'orgasmo dell'animo mio sarebbe cosa impossibile. Rimasi , come Tenete, senza conoscenza del mondo e delle sue pompe. Le visioni più bizzarre mi s'affollarono al cervello. Vedevo un centinaio di Veroniche, un centinaio di marchese, un centinaio di marchesi che ballavano la sarabanda, un'insalata di Nanole, una frittata di principali, e poi una folla di fantasmi neri che sembravano uscieri o mignatte, e pignattini colmi di marenghi, e sfingi alate che andavano a passeggio coll'ombrello sotto il braccio, e gentiluomini tutti coperti d'oro, e scope, e amorini, e pantofole ricamate, e lumini da notte, e chitarre che piangevano, e perfino una resta di cipolle che, senza dir nulla si trasformava in tanti abatini bigi, colla testa di malachite e le fibbie d'argento. Ero scemo.

L'aria si abbrunava, e a poco a poco mi trovai nella più fitta oscurità. Mi sembrò, in allora, d'essere morto di meningite e di sorridere al maestro Rossini, che mi chiedeva gentilmente il permesso di scrivermi una messa di requiem. A un tratto parve per la stanza un brulicame di domestici in livrea che portavano in giro, su vassoi d'argento, i miei amorini paffuti, con tanto d'etichetta sulla pancia, che diceva: Lire 50 l'uno.

Ripiombavo di poi nelle tenebre, e agli sprazzi d'un lucignolo fumoso, il fantasma di mia nonna (non mi vergogno a dirlo) mi correggeva dolcemente, come a quei tempi felici in cui la sede dell'intelligenza nei ragazzi era a un livello alquanto più basso del midollo spinale.

Come Dio volle, un uscio si schiuse e un fiotto di luce balenò nella stanza. Era lui; era il principale.

- Vieni! vieni! - mi bisbigliò con voce soffocata dall'emozione; - il marchese acconsente.... anzi, n'è felicissimo. Ma vieni, dunque! e mi prese per mano.

Cari miei! se non mi venne un accidente, in quel punto, tutto il merito è del mio angelo custode.

Barcollando mi lasciai trascinare alla presenza del marchese Soprani, che stava seduto nel gabinetto da lavoro, sopra un seggiolone patriarcale, fasciato di cuoio giallo.

I suoi baffi grigi mi parevano cresciuti d'una spanna; ma la sua faccia era gioviale come quella del buon padre Abramo. Mi sembrava persino che i suoi occhi fossero umidi di qualche cosa.

Figuratevi un uomo tratto al supplizio, mentre, per suo gusto, preferirebbe una gita sul tramvai; tale ero io, in quel momento supremo della vita.

Al mio apparire, il marchese si alzò e mi corse incontro, stendendomi affettuosamente le mani. Non osavo credere ai miei occhi. Il sangue m'affluiva alla testa, le tempie scottavano, uno sbarbaglio di fuochi artificiali m'offendeva la vista. Il principale sorrideva con tenerezza paterna e materna.

Ma, insomma - disse il marchese, scuotendomi la destra - ma, insomma, non c'è niente da vergognarsi!... Chè, anzi, io v'ammiro e vi stimo, come si deve stimare l'ingegno e l'onestà. Il principale m'ha detto tutto.

- Creda, illustrissimo signor marchese....

- Oh, sì! capisco benissimo la vostra confusione. Ma non c'era da far misteri. Si tratta di faccende intime, e quindi si spiega la generosa riluttanza d'un animo d'artista. Ma, del resto, potevate anche rivolgervi a me direttamente, chè, figuratevi!... Io amo tanto i giovani d'ingegno!... E voi, tra gli altri, siete simpatico a tutti noi.

- Oh, signor marchese....

- Ma sì, ma sì!... ve lo dico schiettamente; il vostro torto è quello di non esservi confidato prima d'ora, al vostro principale. La vostra condizione finanziaria non è a livello della mia, si sa, ma credete forse che il genio sia impotente a colmare molte lacune?

- Io sono veramente confuso.... Non mi aspettavo.... E poi, capisce bene....

- Sì, sì; capisco perfettamente!... Sempre un po' orgogliosetti, questi artisti, e sta bene. Che bravo figliuolo! Permettete.... - e così dicendo, scosse il campanello.

Un servitore accorse alla chiamata e sparì quasi subito, dopo che il marchese gli ebbe bisbigliato non so che cosa nell'orecchio.

In quel mentre, la marchesina Nanola fece una gaia irruzione nel gabinetto, correndo a dare un bacio a papà. Capii subito che quell'uscita era fatta con malizia e divorai, con uno sguardo di profonda riconoscenza, quella fanciulla che stava per diventare la mia fidanzata. Il principale ammiccò degli occhi, con un sorriso paterno, materno e celestiale.

Il marchese strinse la figlia tra le braccia, le appiccicò un bel bacione sulle guance, e le disse, con finta severità, piena di sottintesi:

- Signorina bella! noi, si parla d'affari e la mamma vi aspetta!

La marchesina diventò rossa rossa, come una fragola, susurrò qualche parola, fece un inchino spigliato, e con passo di lodola sparì dal gabinetto. Ma nel passarmi rasente, mi gettò una guardatina di sbieco, che m'andò dritta al core, come una stoccata.

Non m'ero per anco riavuto dallo stordimento di quell'occhiata, allorchè rientrò il servitore, portando un involto voluminoso, che consegnò al padrone.

Il marchese, sempre affabile e sorridente, sotto i baffoni grigi, mi venne incontro, mi pose l'involto tra le mani e mi disse:

- Per ora non c'è che questo, giovanotto. Tra poco, ce ne avrò anche delle migliori. Addio, ragazzo bello! Venite - soggiunse, rivolgendosi al principale; - andiamo a fare i conti.

E uscirono dal gabinetto.

Io spiegazzai, con atto convulso, i giornali che costituivano l'involucro, e con un batticuore inesplicabile, apersi il pacco misterioso.

C'erano tre paia di scarpe usate!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il principale aveva pregato il marchese di regalarmi le sue scarpe smesse, dicendogli che io non riuscivo a introdurre la spesa della calzatura nel mio budget particolare.

Da quel giorno in poi, il listino della Borsa segnò gli amorini a settantacinque centesimi cadauno. C'era anche uno sparagno, sulla dozzina. Eh, no!... non si potevano dir cari.

 

 

 


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