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Celeste Spada in Barbosio.

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Celeste Spada in Barbosio.

 

Glielo dicevano tutti:

- Non la sposare: non ti conviene: non è donna per te; e più giovane assai e poi è troppo bella. Pasquale, non la sposare; se no, sarai....

E Pasquale Barbosio, incaponito:

- Sarò! sarò.... quel che sarò! a ogni modo sarò sempre il marito d'una bella donna. Se ne sposassi una brutta, sarei tradito lo stesso, e mi resterebbe un canchero di moglie insopportabile. E poi, la Celeste è così ingenua!

- Ingenua! aspetta il giorno appresso e vedrai che razza d'ingenuità.

Nulla valse a smuovere quel disgraziato e, un mese dopo, Pasquale Barbosio, quarantenne e possidente, conduceva all'ara nuziale la graziosa Celeste Spada, fragrante come un bottone di rosa, fiera de' suoi occhi neri e dei suoi diciott'anni.

La luna di miele fu breve ma dolcissima per Pasquale Barbosio. Celestina era un angelo, secondo lui, e sopratutto aveva la passione della casa e faceva ogni sforzo per parere un'eccellente massaia: per ciò, Pasquale, gongolava spesso, nel vederla tanto assidua alle faccende domestiche, ma in compenso aveva dei pranzi abominevoli, per la ragione che Celeste, quand'era ragazza, non aveva mai messo piede in cucina e non sapeva cuocere neppure un paio di ova al tegame.

La sua inesperienza aumentava quando Pasquale ronzava per la cucina; ella voleva far credere che s'intendeva di ogni cosa e dava ordini a casaccio, al punto che la serva perdeva a dirittura la testa.

- Maria: - diceva la padrona, con un fare di grande importanza: - avete lavato l'insalata?

- Signora no: non ho avuto tempo.

- Io sola trovo tempo a tutto.

Pasquale:

- Sei un portento.

- Laverò io l'insalata!... datemi qua il sapone.

 

 

Poi, Celeste si stancò di far la massaia: la cucina le sciupava le mani: Pasquale si rannuvolò: allora lei diventò fastidiosa, bisbetica, seccata e seccantissima.

- Non sono mica la vostra serva.

Maria, un'ignorantona di prima qualità, mandava tutto a male, colazione e pranzo: Pasquale si sentiva offeso nel cuore e sopratutto nello stomaco. Ma Celeste non si volle impicciare di nulla e chiamò la madre, donna arcigna e strillona, a dirigere Maria con annessi e connessi. Pasquale ne fu infelicissimo: quella suocera era insopportabile, un vero demonio.

Il povero Barbosio incontra un antico suo collega nella guardia nazionale.

- Sai! ho preso moglie.

- Anch'io; - dice Pasquale.

- Sei felice?

- Lo sarei, se non fosse per la suocera.... Una suocera impossibile.

- Tutti gli amici ammogliati si lagnano della suocera!

- Ciò prova....

- Prova che siete una massa d'imbecilli, che non sapete fare.

- E tu come hai fatto?

- Ah! io non ho voluto nessuna suocera.

- Ma che dici?

- Niente di più semplice: ho sposato un'orfana.

 

 

Dopo cinque mesi di matrimonio, Celeste, arcistufa di Pasquale, cercava distrazioni, frequentando assai la società e ricevendo in casa molti amici d'ambo i sessi. Il più assiduo era un cugino, Rodolfo Maggi, bel pezzo di giovanotto, con due baffi marziali e due occhi birboni. Cominciò a far visite un giorno sì e l'altro no: poi tutti i giorni; poi due volte al giorno.

Pasquale masticava in silenzio la sua gelosia e aumentava di premure intorno a Celeste, che non gli nascondeva una ripugnanza invincibile.

Quando usciva, le diceva:

- Me lo dai un bacio?

- Con quella barbaccia ispida? perchè non porti soltanto i baffi? guarda Rodolfo come sta meglio di te.

Pasquale, per istrada, pensa di fare un'improvvisata alla moglie; entra da un barbiere, e tagliata la barba, si fa appuntare i baffi, come quelli di Rodolfo, tal quale.

Torna a casa e suona.

Sua moglie gli corre incontro, gli butta le braccia al collo e lo copre di baci.

- Ah, dunque, ti piaccio di più, coi baffi.

- Dio mio! - esclama Celeste: - non t'avevo mica riconosciuto!

 

 

A lungo andare, Pasquale si persuase d'essere.... quello che gli amici avevano vaticinato; ma soffriva in silenzio, per non farsi canzonare e per paura di peggio.

Pure, non potè a meno di fare uno sfogo con un amico intimo, dicendogli:

- Ah, caro mio, sono molto malcontento di mia moglie!

- T'avrebbe fatto dei nuovi torti?

- Oh, no! non lo soffrirei: ma.... sono sempre gli stessi che si rinnovano.

 

 

Stanco delle amarezze continue, Pasquale stava lontano il più possibile dal domicilio coniugale e, per distrarsi, si era dato alla vita del circolo e del caffè, cercando le compagnie più scapigliate; ma invece di spassarsi, non faceva che litigi continui, poichè gli amici lo burlavano spietatamente sulle sue sventure coniugali; lui s'inquietava, voleva fare il rogantino, ingiuriava i canzonatori, e finiva sempre per pigliarsi qualche calcio e qualche schiaffo.

Celeste lo seppe e cominciò a fargli delle scene, rimproverandolo di buttar via quattrini e fare delle figuraccie.

Una sera, mogio mogio, Pasquale entra in casa.

- Dove sei stato tutto il santo giorno?

- Alla.... biblioteca.

La moglie, sospettosa, gira intorno a Pasquale e vede.... la forma d'una suola di stivale sulle falde del soprabito.

- Bugiardo! sei stato di nuovo a divertirti coi tuoi amici!

 

 

Dio fu misericordioso.

Visto Pasquale tra una suocera e una moglie di quel genere, gli mandò una buona flussione di petto che, in capo a pochi giorni, lo sbrigò.

Fece testamento e lasciò erede universale sua moglie, sotto condizione di rimaritarsi al più presto.

- Non voglio, - disse, - che continui a far chiasso col nome mio.

Eppure, la signora Celeste continuò e continua a chiamarsi Barbosio, poichè, passati appena quattro mesi, sposò il fratello di Pasquale, uomo fresco, robusto e piacevole.

Al banchetto di nozze, uno del testimoni vide appeso al muro un ritratto di Pasquale, buon'anima, ch'egli non aveva conosciuto e chiese alla sposa:

- È di qualche suo parente, quel ritratto?

- Sì - rispose Celeste, sospirando - è quello del.... mio povero cognato.

 

 

 

 


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