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Il deputato in vacanza

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Il deputato in vacanza

(sfogo intimo epistolare).

 

 

Urbicaro, 26 marzo 19....

 

Felicetta mia cara!

 

Ieri, due lettere. Questa mattina tre dispacci per domandarmi una risposta. Grazie di tanta premura; grazie di tanto affetto. Ma io ti consiglio, come marito, e come padre (forse) di famiglia, di restringere la tua espansività nei limiti dei francobolli postali. Quando l'affezione di una moglie degenera in dispaccio, la moglie stessa diventa molto cara, e ogni semplice espressione acquista un valore effettivo e decimale, che potrebbe turbare l'economia domestica. Rifletti, mia cara, che una frase abituale come questa: io ti voglio tanto e tanto bene, costa non meno di una lira. Un amore ardente come il tuo, lasciamelo dire, consumerebbe tesori. Noi non siamo abbastanza milionari.

Vedi: nel caso che tu mi voglia assolutamente telegrafare che mi vuoi bene, potresti - usare il nome d'un illustre capitano di guerra: Bentivoglio. Questo nome storico non costa che un soldo e pure, in grazia sua, mi comunicheresti tanto amore per novanta e più centesimi.

I tuoi rimproveri per il mio silenzio, - cara Felicetta, - sono lusinghieri per me, non dico di no, ma sento di non meritarli.

Non ho scritto perchè non ho avuto, credi, un minuto di tempo. Davvero, sai!

Per darti un'idea della vita che fo, ecco in qual modo ho impiegato la mia giornata:

Ore 4 antimeridiane. - Vengo svegliato dalla serva delle Tre corone, la quale mi dice che sono atteso nel cortile dal sindaco di Gallossio. Bestemmio Gallossio e le sue tremilaquattrocento anime (sono tutti animali a Gallossio), mi vesto in fretta e scendo stropicciandomi gli occhi. Fo un sacco di gentilezze al signor sindaco, omaccione il quale puzza di stalla che appesta. Egli mi dice essere necessario che vada a far colazione dall'arciprete di Gallossio, che dispone di 300 voti.

Partenza per Gallossio. C'è un'ora di salita in montagna; strada comunale obbligatoria e infame, che percorriamo dentro un omnibus tutto sgangherato, che con le sue scosse mi fa galleggiare lo stomaco. Il sindaco di Gallossio - mi parla di focatico, di sovrimposta e mi sputa in faccia. A momenti lo strozzo. Siamo alle prime case del comune, e una salva di quaranta mortaretti spaventa i cavalli. Non è per paura, ma preferisco andare a piedi. L'arciprete ci aspetta sulla piazza, in mezzo a uno sciame di monelli cenciosi e di consiglieri comunali, che paiono assassini di strada. Distribuisco un centinaio di strette di mano con sorrisi analoghi. L'arciprete mi fa visitare la parrocchia e pretende che sia una costruzione del 1200. Finalmente si va in tavola. Mi fanno mangiare sei piatti, uno più osceno dell'altro. L'arciprete mi costringe a bere otto qualità di vino fabbricato da lui, credo, nel mortaio. Dico, per pura cortesia, che il vino è squisito, e lo scellerato s'affretta a propinarmene una seconda dose.

Poi faccio un brindisi-discorso-politico-religioso e comunale, nel quale cito persino la fede tradizionale degli avi nostri. L'arciprete che ha strabevuto, vuole baciarmi a ogni costo. Lo dispenserei tanto volentieri perchè c'è non poco tabacco nella sua tenerezza.

Mi portano a vedere le scuole comunali, dove fo un discorso sopra questo tema: La battaglia di Waterloo fu vinta sulle panche delle scuole. Prometto una croce di cavaliere al segretario comunale, perchè tutti i miei competitori hanno fatto altrettanto. L'omnibus, guidato dal vetturino briaco, mi porta a Urbicaro.

Ore 10 antimeridiane. - Mentre mi cambio la camicia, ricevo una deputazione di becchini municipali. Essi deplorano la povertà della mercede, e la scarsità di lavoro. Prometto di far aumentare e l'una e l'altro.

Arriva il direttore della Pulce, brutto stortaccio maligno, che viene a collocare due azioni del suo giornale che non esce mai.

Sono atteso al Comitato di sorveglianza elettorale dove si pretende ch'io deva esporre le mie idee.

Perdo mezz'ora per aspettare il barbiere. Il quale, finalmente, arriva senza ch'io gli possa fare il più piccolo rimprovero. Egli è vice-presidente della Società di mutuo soccorso e membro del Sottocomitato per l'educazione del popolo. Si vede che ce l'ha data tutta al popolo perchè lui non ce ne ha più.

Ore 11 antimeridiane. - Eccomi davanti al Comitato di sorveglianza elettorale, in mezzo a quattro idioti che compongono il banco della presidenza. Fumano e ciarlano tutti con un baccano da stordire. Il segretario, con vocina da contralto, legge il verbale della seduta precedente. Indi il presidente dice: Ho l'onore di presentare a quest'assemblea il commendator Gian Maria Cortopassi, nostro deputato, la quale sta per dirci come intende propugnare i vostri principî che vi raccomando il silenzio, per cui signor commendatore tocca a lei.

Per la decimaquinta volta espongo le mie idee, che, non fo per dire, sono sempre le stesse, meno qualcuna che, a furia d'esporre, non ricordo più.

Una bestia d'elettore m'interrompe sul meglio, per domandarmi quali sono le mie idee intorno ai centesimi addizionali. Io, che non ho mai avuto la più piccola idea in proposito, rispondo con la massima sfrontatezza: Le mie idee? le mie idee.... sono le vostre. L'assemblea, per la prima volta da che parlo, applaude freneticamente.

Profitto di questo effimero entusiasmo per così conchiudere il mio discorso: Salute a te, o generosa e vetusta città di Urbicaro; culla di tanti splendidi ingegni! S'io non ebbi la fortuna d'aprire gli occhi alla luce nelle tue storiche mura, almeno mi sia concesso l'onore di respirare fra i tuoi gloriosi ricordi, e di chiamare i patriottici urbicarini col dolce nome di fratelli. L'uditorio si mette a ridere. Che il mio grande elettore mi abbia ingannato? Che questi cretini abbiano dello spirito? Mi sento depresso.

Ora 1 pomeridiana. - Sono costretto a fare una seconda colazione, in casa del dottor cavaliere Mignattelli, che mi legge un suo trattato botanico sulle Orchidee.

Sono obbligato a fare la corte alla moglie, che è brutta e civetta e, nel tempo stesso, a nascondere le mie finte premure perchè lui è più geloso d'un turco. Non ho mai sofferto tanto, nemmeno al fianco dell'arciprete di Gallossio. La moglie del dottore non parla che delle pietanze, dicendo che è stata lei, personalmente, davanti i fornelli tutta la mattina. Il marito resta ferocemente in mezzo alle Orchidee.

Un nipote del dottore, alle frutta, legge alcuni distici latini dedicati a me. Sono condannato a lasciar credere che io conosco il latino. Il dottore è incantato di questa mia erudizione e non mi parla più che in latino, per cui sono ridotto a rispondere con monosillabi gutturali che non hanno niente di umano.

Ore 2 pomeridiane. - Il dottore mi parla in greco antico e in greco moderno. Che i miei nemici politici lo abbiano pagato per farmi impazzire?

Ore 3 pomeridiane. - Nella sala dei Reduci dalle patrie battaglie. Un guercio, ma glorioso avanzo di Bezzecca, mi domanda: E quante campagne ha lei? Arrossisco alquanto e rispondo: Due. Dovrei soggiungere che sono coperto d'ipoteche. Ancora un discorso su questo tema: Le tradizioni della rivoluzione italiana. In qual pelago mi sono mai cacciato!

Ore 4 pomeridiane. - Sono ancora al 1848.

Ore 5 pomeridiane. - Parlo della convenzione di settembre.

Ore 6 pomeridiane. - Entro per Porta Pia e riesco a consolidare l'edificio nazionale.

Ore 7 pomeridiane. - Banchetto amichevole in casa del presidente della Società filarmonica. Ha invitato lui, ma pago io. La roba esce dalle cucine delle Tre corone. Ogni piatto è più cattivo dell'altro. I convitati bisbigliano. Il presidente della Filarmonica si mangia i baffi e mi occhiate di traverso. Ogni tanto mi dice con accento canzonatorio: Perdoni, sa; capisco che, in casa sua, si mangerà molto meglio; ma io tratto gli amici alla buona. Il vino è acido, il manzo è scotto. Il pranzo è una birbonata. Il cuoco delle Tre corone mi fa perdere, almeno, cento voti.

Arrischio un discorso su questa massima politica: I popoli hanno il governo che si meritano. Riflessioni d'un elettore, a chiara e intelligibile voce: Questo pranzo, perdio, non ce l'avevamo meritato.

Ore 9 pomeridiane. - Concerto vocale e istrumentale presso la direttrice degli Asili Infantili. Tre Caste dive; un Eri tu che macchiavi; due Vieni meco; quattro Vorrei morir.... Eh, se non dipendesse che da me! Dio del cielo, ancora una Casta diva. Eppure non siamo mica nelle scuole.... normali!

Ore 11 pomeridiane. - Ritorno all'Albergo, tra due fiaccole e quaranta birbaccioni che non conosco. Fo dar da bere a tutti. Arriva un concertino di quattro strumenti a fiato e suona: Sento una forza indomita. Ricevo una deputazione di falegnami, ai quali prometto un cantiere. Essi continuano a esporre i loro lamenti. Ne prometto due. Ancora! Se mi lasciassero andare a letto, ne prometterei tre.

Mezzanotte. - Eccomi solo. La natura ha orrore del vôto. Provo, credimi, lo stesso orrore per i votanti.

Vorrei essere elettore a mia volta per vendicarmi su qualche candidato. Domani mattina, alle 6 e un quarto, devo partire per la frazione di Cinquecelle. Due ore sopra il somaro! e tu mi fai, per lettera e per dispaccio, delle scene di gelosia.... Ma dove, dove ho io, dunque, il tempo necessario per tradirti? Ho giurato d'esserti fedele fino alla morte e manterrò la fede giurata. Non dubitare: conosco bene la differenza che passa tra la fede matrimoniale e la fede politica.

Del resto, tu sai bene che sono costante anche in politica. Quando m'hai accordato la tua destra, io sono passato a sinistra, e sono oramai cinque mesi e mezzo che professo le medesime opinioni. E credi, è la professione più faticosa di tutte.

 

Il tuo

Gian Maria.

 

 

 

 


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