Gandolin
Ciarle e macchiette
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Terzetto.

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Terzetto.

 

Pioveva. E quando dico pioveva, intendo significare che pioveva da sette giorni e sette notti. Nel circondario di M.... non piove mai meno di venti giorni. È una delle consuetudini più inveterate della città di M...., città che fu fondata forse dagli etruschi.

Pioveva. Un tempaccio cane, che avrebbe messo l'uggia in corpo a un pagliericcio elastico. I nervi dei cittadini di M.... erano tesi a un modo, che Paganini avrebbe potuto eseguire una variazione sugli stinchi dell'ultimo tra i conservatori d'ipoteche.

Non erano che le sei di sera, ma per le vie non c'era anima viva, tranne i bruciatai, che, immobili e fuligginosi, sotto sdruscite tettoie di tela quasi incerata, abbellivano le cantonate delle piazze e delle vie. La città di M.... ha dei bruciatai come le prime capitali d'Europa.

Tre persone stavano raccolte nello studio del pittore Raffaello Marchetti.

Lui, Marchetti, quasi giovane e quasi biondo; pieno d'ingegno, di speranze, di zii facoltosi: romantico a tavola; seguace del realismo davanti al cavalletto; fortunato con tutte le donne più geroglifiche del mandamento; senza condanne criminali sulla coscienza; senza debiti cancrenosi, e sopratutto nemico irreconciliabile dei solini finti. Quando vi dico.... un pittore fenomenale!

Il secondo, era l'avvocato Ludovico Bianchini: nome conosciutissimo nel foro; nome che ha sempre fatto una magnifica figura in tutti i processi celebri e in tutte le cambiali protestate. Trent'anni d'età, trenta denti in bocca, trenta capelli sul cranio. Non uno di più. Le sue difese, a effetto negativo, avevano il nobile scopo di liberare la società dai malviventi. Le sue tasche erano piene di paradossi, con i quali dava, di quando in quando, qualche acconto filosofico ai creditori impazienti. Professava per l'amicizia e per i sigari degli amici un culto speciale.

Vi presento il mio terzo, come nelle sciarade: il signor Aristide Moreni, uomo spregiudicato, possessore di calli e di latifondi, elettore, libertino, giurato, tormentatore di pianoforti, freddurista, libero pensatore. Un uomo insopportabile, dilettante di fotografia. Ogni negativa di più rappresentava un amico di meno; tra lui e i suoi conoscenti c'era un abisso di nitrato, un torrente d'odio e di collodio.

Perchè mai la divina provvidenza aveva riunito, nello studio Marchetti, quei tre esseri di un temperamento e, sto per dire, d'un sesso così diverso? Mistero.

Questo è positivo: che pioveva, che avevano pranzato assai bene tutti e tre e che ora fumavano un sigaro, sorbendo, negli intermezzi, il migliore tra i succedanei della cicoria: il caffè.

Un'allegra fiammata crepitava nel caminetto.

Raffaello, sdraiato sopra un mobile ermafrodita, tra l'ottomana e il sofà, incrociò una gamba sull'altra, sospirò, col mignolo scosse la cenere del sigaro, socchiuse gli occhi, fece fremere, sotto un soffio sarcastico, la membrana pituitaria, e cincischiò tra i denti:

- C'è una cosa stupida molto: la pioggia. C'è qualche cosa di più stupido ancora: l'inventore della pioggia. Non potete figurarvi, neanche per sogno, che cosa mi faccia perdere questa giornataccia d'inferno!

- La pioggia e le pandette sono pur troppo necessarie all'umanità! - esclamò Bianchini, con accento cretino e sentenzioso.

- Io non capisco le pandette; - arrischiò Moreni; - preferirei le pan....scritte, sopratutto. il pan....forte, magari il pan-slavismo. L'umidità è un controsenso; essa è seccante!

Marchetti tollerò il bisticcio, con la rassegnazione d'un martire cristiano. Raccolto in stesso, aspirò parecchie boccate di fumo, indi riprese:

- Ragazzi miei, se sapeste!

- L'uomo che non sa, è felice.

- Oh, tu.... sei felicissimo!

- T'inganni: pur troppo ho studiato: ho studiato al punto che arrivo a distinguere uno stivalino di donna da un principio di diritto costituzionale.

- Uno stivalino!

- Andiamo, Raffaello; - saltò su a dire il Moreni; - cava fuori il tuo mistero e vediamo, se ci riesce, di cacciar la noia.

- La noia è un elemento sociale.... Vuoi forse ch'io ti fumi un sigaro?

- Fai pure. Davvero, c'è qualche cosa di misterioso in ciò che mi succede. Ve lo racconto, a patto che non mi prendiate in giro.

- Ti pare!

- E che non lo ridiciate a nessuno.

- Neanche in tutta confidenza?

- Meno che mai. Ascoltate. Due mesi addietro....

- Una storia troppo vecchia.

- Non tanto come i tuoi epigrammi. Dicevo dunque che due mesi fa, una bella sera, mi trovavo al teatro.

- Ho già capito. C'era lei, nel suo palco; tu l'hai magnetizzata col binocolo; ella t'ha sorriso; vi siete visti fuori....

- Hai capito un corno, abbi pazienza.

- Lascialo dire.

- Ero dunque al teatro. Si rappresentava non importa che; non l'ho mai saputo. Ero distrattissimo. Due giorni prima l'avevo rotta con Delia e capirete bene!... avevo ben altro per la testa che lo spettacolo. M'annoiavo, da uomo educato, pisolando a occhi aperti. Fantasticavo. M'ero sdraiato per bene nello scanno. Avevo meco il mio fido bastone che, in mancanza di figli, sarà il sostegno della mia vecchiaia. Reggevo il capo colla destra, mentre il bastone mi faceva da gruccia sotto l'ascella. A un tratto, sento che un corpo duro, ma delicato come un tentacolo, aveva urtato l'estremità inferiore del bastone della mia vecchiaia. Era la punta d'uno stivalino. Su questo, non c'era dubbio di sorta. Do una sbirciata con la coda dell'occhio, e di stivalini ne scorgo due. Uno maschio, l'altro femmina. L'amor proprio m'induce ad attribuire allo stivalino femmina quell'atto confidenziale. Facendo finta di nulla, proseguo a sbirciare lo stivalino sospetto. A un tratto, lo vedo fremere, arcuarsi, agitare impercettibilmente la punta e vibrare un secondo colpetto nervoso contro il sostegno dei miei giorni cadenti. "Sarà un caso!" suggerì la mia innata modestia. "È un caso pensato", bisbigliò il mio amor proprio. Attesi un altro minuto. Nuovi fremiti, nuova agitazione, nuovo colpetto. Non c'era più dubbio; quelle gentili pedate per di dietro erano al mio indirizzo. Mi venivano rispettosamente comunicate, in via gerarchica, pel tramite del bastone della mia vecchiaia. Esaminai con maggiore diligenza lo stivalino. Era uno stivalino aristocratico dal tacco alto, provocante. Un tacco che meritava un blasone. Lo stivaletto disegnava, come un guanto, un piedino irrequieto, capriccioso. Non era cinese, che Dio ce ne guardi. Io esecro i piedi cinesi. Era un piedino italiano, elegante, nervoso, pieno di reticenze, di sottintesi. Mentre lo stavo esaminando, quel piccolo e interessante personaggio si avvicinò, facendo sembiante di nulla, al mio bastone, e vi s'appoggiò, con delicata pressione, colla squisita disinvoltura d'una marchesa che metta il braccio sotto quello del cavaliere in una festa da ballo. Era un piedino sapiente; ve lo dico io.

- Ti consiglio di scorciare con garbo questo tuo lirismo pedestre.

- Sta zitto! In quel piede c'era tutto un poema. Una corrente di fluido magnetico percorse il bastone e mi serpeggiò per le vene, sottile, sottile....

- Come un bicchierino di cognac.

- Che bestia! Scusa, sai! Quel piede mi faceva provare sensazioni strane, voluttuose. Gli accordi dei violini mi giungevano agli orecchi come un debole, indistinto ronzìo. Il mio spirito vagava Dio sa dove. In quel momento dovevo avere (metterei la mano sul fuoco!) una faccia da idiota. La punta del piedino continuava a vellicare, a stuzzicare il bastone, conduttore del fluido. Quella era la musica!... A un tratto l'altra, la musica apocrifa, assurda, si arrestò bruscamente. Mi scossi di soprassalto. L'atto dell'opera era finito. Il piedino aveva operato una ritirata precipitosa. L'incantesimo era rotto, il fluido non correva più.

- Fatalità!

- Allora soltanto mi balenò l'idea di guardare in faccia la proprietaria legittima di quella pila voltaica, di quella bottiglia di Leyda.

- M'aspetto la catastrofe. Era una vecchia?

- Ma che! era una giovane.

- Brutta?

- Bellissima!

- Un angelo?

- Forse.

- Colle ali.... ai piedi! - e Moreni rise da solo come tre stupidi insieme.

- Era una donnina sui trent'anni, dalla carnagione perlata, dagli occhi profondi, fantasiosi, dai capelli neri che ombreggiavano la fronte con una cascatella di riccioli....

- Fa il piacere, di' ch'era una bella donna e che la sia finita.

- Bella donna, non basta. Voglio farvi capire ch'ella era affascinante a dirittura. Un bocchino, disegnato da Greuze, abbozzava sorrisetti indefinibili pieni di malizia e d'ingenuità. Una vita da vespa, da stringerla così: in una mano. E guanti a dieci bottoni, notate bene, guanti a dieci bottoni!

- I bottoni, - borbottò Aristide, - sono una prova apodittica dell'esistenza dell'anima.

- I nostri sguardi s'incrociarono.... Vi risparmio il resto. Finito lo spettacolo, m'avviai per uscire. Ella mi stava dietro.... sentivo il suo alito profumato.... sentivo il suo sguardo; proprio così. Ritengo che il miglior modo di seguire una persona sia quello di precederla. Non si nell'occhio. Giunto nell'atrio, diedi una sbirciata indietro. Ella era scomparsa; era sgusciata non so dove. Figuratevi la mia disperazione!

- Ce la figuriamo; tira via.

- Passarono tre giorni.

- Tre anni?

- Tre secoli! Finalmente, un giorno, mentre passeggiavo per i giardini pubblici, m'imbattei nella bella sconosciuta. Era lontana venti passi da me. Ne avevo subito riconosciuto il piedino, quel piedino che m'era rimasto fotografato sul cuore.

- Oh, decadenza della fotografia!

- Anche lei m'aveva ravvisato, e mi guardava di traverso; mi faceva l'occhio di triglia, sorridendomi, al di sopra della spalla. E sempre con quel sorriso....

- Già ce l'hai dipinto; vai pure avanti.

- Tanto per darmi un po' di contegno, cavai di tasca un giornale. C'era un discorso di Gambetta; sei colonne di stampa minuta, minuta, me ne ricorderò finch'io viva. Ella si mosse lentamente e io dietro, fingendo di leggicchiare il discorso di Gambetta. Me lo perdoni l'illustre e compianto capo della maggioranza francese! Passo passo giungemmo in una viottola solitaria. Subivo una bizzarra allucinazione. I miei occhi s'erano smarriti tra le colonne del giornale.... tra una frase e l'altra del tribuno scorgevo un bastone e un piedino, un piedino e un bastone, un esercito di bastoni, un esercito di piedini.... Assorto in quella visione, non m'ero avvisto che la bella incognita s'era fermata e mi guardava sorridendo. Fui a un pelo di calpestarle lo strascico. Mi feci rosso come un gambero e borbottai non so che. Anch'ella arrossì.

- Perdinci!

- Sì, amici miei, ella arrossì e abbassò le ciglia....

- Lunghe e vellutate?

- Si sottintende. Il suo contegno era graziosamente impacciato; il mio, ridicolo a dirittura. Indovinate un po' come feci a cavarmela!

- Con un madrigale?

- Che! tutt'altro. Con un disgraziato e prosaico: Come sta? a cui rispose uno scroscio di risa.

- Sfido!

- Le son cose che non sì dicono neanche a una suocera.

- Eppure è così. A ogni modo, mi feci un coraggio da Quinto Curzio e presi una risoluzione: risi anch'io.

- E in tanto riso?

- La signora non desiderava di meglio che darmi piena e intera assoluzione.

- Coll'indulgenza?

- Con molta indulgenza. Ci separammo, con una stretta di mano, che valeva tutte le sei colonne del discorso di Gambetta.

- Che scena commovente!

- Un vero idillio.

- Raffaello, ti regalerò una zampogna.

- Aspettate. Non siamo che al principio....

- Della fine?

- Precisamente. L'indomani ero qui, nello studio, sdraiato come adesso, affumicando il tempo, a furia di sigari, per affrettare l'ora della passeggiata. Tutto in un momento odo un fruscìo di seta, su per le scale, e due colpetti all'uscio....

- Era lei?

- Era lei. Potete figurarvi....

- Ci figuriamo, ci figuriamo! - borbottò Aristide, strozzando in fasce uno sbadiglio.

- Ella entra, tutta tremante, come una cervetta spaurita; chiudo l'uscio e casca nelle mie braccia.

- L'uscio?

- Lei. Questa volta non le domando come sta, ma le appiccico un bel bacio sui ricci d'ebano e rincaro la dose, fino.... a guarigione completa. Trascorso un minuto, ella, con le sue manine affusolate, si stropiccia gli occhi ed esclama: Sogno, o son desta?

L'avvocato Ludovico Bianchini si scosse di soprassalto.

- È una realtà, bella come un sogno! - io le dissi, con accento patetico. Successe una pausa. Indi la bella incognita si ristropicciò gli occhi, e ripetè, con un'intonazione differente:

- Ma, sogno, o son desta?

L'avvocato Ludovico Bianchini si agitò sulla sedia, coi segni dello stupore più manifesto.

- Con tutti quei sogni, - proseguì Raffaello, - ero per cavarci i numeri del lotto. Ma, dopo tutto, le passai un braccio intorno alla vita e la feci sedere accanto a me.

- Furfante! - gridò Aristide, con una smorfia di vecchio satiro.

- Ella riaperse le sue labbra divine, e sospirò: Sogno, o son desta? Questa frase era evidentemente un vizio organico di quella leggiadra, ma imperfetta creatura.

- Ma sì, ma sì, proprio un vizio organico! - gridò l'avvocato Bianchini, levandosi in piedi; - è una cosa che fa orrore!

- Ha però il suo lato poetico.

- Ripeto; è una cosa che fa orrore. Ti posso ridire anche tutti gli altri intercalari di quella signora.

- Come! la conosceresti?

- Se la conosco.... Dio dei cieli! È da due mesi che io la sento dire: Sogno, o son desta? È da oltre due mesi che io la sento ripetere: È un oblìo di me stessa! Oppure: Io vivo d'illusioni!

- È vero, perdinci! e anche di frequente: Una donna che ha avuto tanti dispiaceri....

- Sì!... ha diritto di cercare qualche conforto! Le so tutte a memoria, come un buon dervis conosce tutti i versetti del Corano. Ho imparato la prima edizione, io.

- Ed io la seconda. Ah, quest'è curiosa!

- È magnifica!

- È stupenda, è sbalorditoia: non ho mai sentito nulla di simile in vita mia! - urlò Aristide.

- Insomma - soggiunse Marchetti - da due mesi e mezzo sto studiando quella donna per farle un ritratto....

- Insomma - conchiuse Ludovico - da due mesi e mezzo sto studiando il tuo modello, allo scopo di capire qualche cosa in una lite di successione, che mi ha voluto affidare per forza. Figurati che gusto!

- Successione di chi?

- Del fu suo marito.

- È dunque vedova?

- All'incirca; credo bene sia così.

- Ma via, - gridò Aristide col suo vocione, - poichè s'è scoperto, dirò così, questo binario, fuori il nome!

- Io so appena che si chiama Natalina, - disse Raffaello, accendendo un fiammifero.

Aristide trasalì.

- Natalina Galimberti, - aggiunse l'avvocato.

Aristide stralunò gli occhi, aperse la bocca, allargò le braccia, come un uomo assalito da reminiscenze apopletiche. Un grido rauco gli uscì, sibilando dalla strozza:

- È la mia futura sposa!

Fece alcuni passi barcollando e infilò l'uscio dello studio.

Lodovico e Raffaello si guardarono in faccia, per due o tre minuti, senza trovar parola. Finalmente, l'avvocato si strinse nelle spalle e ruppe in uno scroscio di risa sardonico, esclamando:

- Peggio per lui!

Il giorno appresso, Aristide Morelli, con aspetto ilare e bonaccione, rientrava nello studio Marchetti.

- So tutto, so tutto! - esclamava il proprietario di calli e di latifondi, stringendo all'inglese la mano di Raffaello. - Natalina mi ha svelato ogni cosa. Che burloni!... Ah, l'avete concertata graziosa, ah! ah! potete vantarvene.... ah! ah!... Cara, quella storia del piedino: ben ideata!... e quel birbaccione d'avvocato! che muso duro, quello !... Natalina, poi, è nata apposta per immaginare farsette di questo genere!... E io, imbecille, che ci son cascato!...

- Sicuro; tu, imbecille, che.... ah! ah!

Raffaello non sapeva che diavolo rispondere e rideva anche lui d'un riso da scimunito.

Calmata la rumorosa ilarità, Aristide ripigliò:

- Ma ora parliamo sul serio. Tra poco, si conchiuderà il matrimonio e io voglio che tu, per quell'epoca, mi consegni il ritratto di Natalina. Sai? voleva farmene una sorpresa!... Ma ora è inutile, già.

- Lascia fare a me, - balbettò Raffaello.

- Ora, poi, corro subito da Bianchini, affinchè solleciti la lite della successione. Non voglio impicci, io. Addio; stammi allegro! Ricordati che hai da essere uno de' miei testimoni. E anche Lodovico, quel caro matto!... A rivederci.

Un mese dopo, il sindaco di M.... univa in matrimonio Aristide Moreni e Natalina Galimberti, alla presenza di Raffaello Marchetti, pittore, e Lodovico Bianchini, avvocato, nati e domiciliati in quella città.

La sposa, entrando nella camera nuziale, si abbandonò tra le braccia del marito, si stropicciò gli occhi e mormorò languidamente:

- Sogno, o son desta?

 

 

 

 


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