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Saloncino in casa dell'onorevole Erasmo commendatore Scacchetti, deputato di centro sinistro, rappresentante il collegio di Corpuscoli, nell'Emilia, giovanotto di quarantadue anni, confessati nell'espansione della gioia, il giorno in cui la Sinistra è andata al potere. Il quartiere è pulito, in via Frattina, ma è sempre un quartiere affittato con mobili, vale a dire una raccolta informe di stonature acquistate nei pubblici incanti, un'accozzaglia di oggetti provenienti dalle più disparate e strane regioni. Un seggiolone rococò a grandi intagli quasi dorati, con spalliera enorme e velluto cremisi spelato, esce certamente dal vecchio palazzo polveroso di un cardinale. La poltroncina accanto, in stoffa gialla, proviene di certo dalla casa elegante d'una donnina equivoca. Il tappeto, rappezzato in vari punti, non ha niente che fare coi mobili, nè coi cortinaggi, nè con la tappezzeria. I capricci, sopra le tendine, sono di forma indescrivibile, e fanno terribilmente a pugni con tutto il resto.
Un
orologio, con base d'alabastro ingiallito, sopra cui si vede una scena arcadica
veramente stomachevole, segna le undici e un quarto.
Il commendatore Erasmo Scacchetti, già vestito per uscire, dissuggella, con mano nervosa, le tre ultime lettere delle cinquantasei che ha ricevuto in giornata dai suoi elettori, il più modesto dei quali non gli domanda che un'esattoria per sè, tre posti gratuiti in un buon collegio per i figli, collocamento di una donna di servizio, cugina alla larga, partita dal circondario di Corpuscoli per la capitale.
La signora
Diodata Magistri negli Scacchetti, donna di sesto acuto, d'animo retto e
d'intelligenza ottusa,
passeggia lentamente per il salotto, facendo, con moto febbrile, un lavoro
all'uncinetto, assai bello, per coprire tutto un sofà di magnifico broccato
antico, tanto antico che è una vera sudiceria.
L'onorevole Scacchetti straccia le ultime lettere e le butta, come le altre, nel cestino, borbottando tra sé:
- Di questo passo sarò costretto a stipendiare un uomo robustissimo, per dar la saliva ai francobolli.
La signora (con sarcasmo). - Il faut payer sa gloire.
Il commendatore (allargando le braccia). - Fammi il piacere, Diodata mia, non mi seccare anche te. È pronta la colazione?
La signora. - Che pronta d'Egitto! La donna non ha potuto uscire che alle dieci e mezzo: lo sai bene!
Il commendatore (con tremolìo convulso alla gamba destra, e occhi alzati al soffitto). - Sempre così. Non c'è caso che mi si voglia capire. Quando dico le undici, intendo dire le undici: se comando la colazione per le undici, è proprio per le undici che voglio fare colazione. Come parlo? parlo turco? parlo indiano?
La signora. - Dopo tutto, non sono che le undici e venti, sai.
Il commendatore. - Sì, ma la colazione non sarà pronta che a mezzogiorno; un'altra volta che dico alle undici, e non si dà proprio alle undici, vado alla trattoria.
La signora. - Già: il signore fa presto: lui se ne va alla trattoria. La moglie non gli viene neppure in mente. Si capisce!
Il commendatore. - Ti ho mai fatto morir di fame? e dunque? che cosa strilli?
La signora. - E tu, di che strilli?
Il commendatore. - Strillo perchè ci ho ragione di strillare. Alle dodici in punto, devo essere alla Camera, se no Morana si stranisce e mi fa il muso.
La signora. - E che mi preme del tuo Morana?
Il commendatore. - Preme a me, se non a te: oggi appunto devo raccomandare il tetto della casa penale di Corpuscoli, articolo 78 del bilancio. Il tetto sarà rifatto ugualmente, ma importa che gli elettori lo credano rifatto per merito mio.
La signora (smettendo di lavorare). - La vera
casa penale è questa, sì signore: è questa: e io sono la povera e unica
condannata alla casa penale. La mattina (contando sulle dita) ti svegli di
malumore, brontoli e te ne vai via. Dici che vai agli uffizi. Sarà. Il marito
di Lilla non va mai mai agli uffizi, eppure è più deputato e più commendatore
di te. Alle due ci hai la seduta, anzi, adesso c'è quest'altra bella novità
delle commissioni. Fino alle sei, dici tu, stai alla Camera. Io sono stata
cinque o sei volte alla tribuna (con biglietto che mi ha dato Pullè, perchè tu
non ci pensi) e non ti ho visto mai, mai....
Il commendatore (arrossendo). - Ero nel seno....
La signora. - .... d'una commissione, lo so.... m'hai sempre detto così. Vieni a casa alle sei.... altro brontolìo. Il pranzo non ti va. Tutto è cucinato male. Ti domando come si passa la serata, e tu mi dici che hai la riunione della maggioranza alla Minerva, o che so io. Io ti chiedo se si va al teatro, e tu mi dici che c'è la riunione del tuo gruppo. Ti prego d'accompagnarmi in casa Serafini, e tu mi dici che hai da chiedere schiarimenti d'urgenza al ministro d'industria e commercio. Ma è possibile ch'io continui questa vitaccia d'inferno?
Il commendatore (con voce glaciale). - Diodata mia: questo discorso, oramai, lo so a memoria, come quelli dell'amico Guala sulla provincia di Vercelli. Tu hai ragione, ma io non ho torto. La politica mi assorbe. Il bilancio dell'interno.... capisci? porterà con sè una discussione vitale. Si tratta dei più gravi argomenti. Figurati ch'io devo prendere la parola sull'articolo 12: Ricompense per azioni generose, sul quale ho molte idee.... Un vero programma sociale....
La signora. - Dovresti avere piuttosto qualche idea sulle mie azioni generose e ricompensarle. In premio delle mie tribolazioni, t'ho chiesto un mantello di pelliccia e tu niente! Tutte le mie amiche hanno un mantello di pelliccia: io sola....
Il commendatore. - L'inverno e così mite a Roma, che una pelliccia sarebbe un'offesa per il municipio. Te la comprerai un altro anno, purchè faccia freddo, cosa che non è possibile. Guarda, piuttosto, se la colazione sia pronta. Io, intanto, darò un'occhiata alle cartelle del mio discorso sulla sanità interna. Non si spende neppure un milione e mezzo.
La signora. - Io ti ho detto di spendere un centinaio di lire, in due piccole stufe, chè queste camere, con tutto il tuo inverno mite, sono una Siberia. Quando te ne parlo, dici sempre: domani. Non potresti fare un discorso sulla salute interna di casa tua?
Il commendatore. - Tu non hai bisogno di stufa. Ti basta il calore della discussione.
La signora. - E con chi devo discutere? col gatto? In casa, tu non ci sei mai! Certe volte, mi tocca aspettarti fino alle due dopo mezzanotte. Vergogna! E mi muoio dal freddo.
Il commendatore. - Ma scusa, non potresti invece ardere d'impazienza? Senti, come scotto. Io ardo, adesso, per la colazione. Sono già le undici e cinquanta. E io, sciagurato, alle dodici e mezzo devo fare un discorso negli uffizi sulle spese segrete.
La signora (diventando verde). - Te lo farò io, un discorso sulle spese segrete! ah tu credi proprio ch'io sia una stupida? che non veda niente? Che non m'accorga di niente? Lunedì tu avevi tremila lire, nel tuo portafoglio; ieri, non ci avevi più che mille e settecento lire.
Il commendatore (turbato). - Moglie mia, abbiamo deciso alla Minerva di non far quistioni di portafogli.
La signora. - Che ne hai fatto di 1300 lire in ventiquattr'ore? (con amarezza) Le hai forse versate nel seno della tua famosa commissione? mi hai comprato di nascosto la pelliccia? hai acquistato di nascosto ventisei stufe, per l'appartamento? Rispondi: che cosa ne hai fatto?
Il commendatore (balbettando). - Prima di tutto.... ho prestate quindici lire a un amico.
La signora. - Ah! benissimo. La signora non ha pelliccia, ma il signore, presta quindici lire a un amico. La moglie non ha mai un palco, ma il signore presta quindici lire a un amico. Da due anni mi devo fare un abitino di raso nero, chè quello che ci ho è una cosa impossibile, ma il signore presta quindici lire a un amico. In casa si manca di tutto, non c'è neppure una macchinetta per l'acqua di Seltz, ma il signore presta quindici lire a un amico. Dovevo andare al concerto della Cognetti, e non ci sono andata, ma il signore presta quindici lire a un amico; l'ho pregato di portarmi all'esposizione di Torino, e non mi ci ha portato, ma il signore presta.... Ma poi, quindici lire sono quindici lire. Mancano ancora 1285 lire. Spero bene che non avrete dato tante quindici lire a un centinaio d'amici.
Il commendatore (prendendo il cappello). - Senti: farò colazione questa sera. Morana mi aspetta.
La signora. - Ma le 1285 lire?
Il commendatore (scappando). - Le ho mandate agli Asili d'infanzia.
La signora (cavando con gesto drammatico un biglietto). - E l'autrice di questo biglietto in cui vi scrive che le 1300 lire non bastano.... questa Elvira Codarelli, che manca d'ortografia, è forse un Asilo d'infanzia?