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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Pochi
artisti comici hanno avuto più miseria del povero Martino Cianchetti che, dopo
avere tante volte indossato un'assisa di maresciallo, un manto reale, oggi è
ridotto a fare il conduttore sopra una linea di tranvai.
L'ho conosciuto nei suoi momenti di gloria, quando possedeva perfino un paio di stivaloni alla scudiera, quando fumava cinque virginia al giorno, quando non pagava ma prendeva, ogni sera, un punch nel primo caffè del circondario.
La disdetta lo aveva perseguitato fin dalla serata in cui, trepidante di emozione, aveva esordito sulle scene d'una arena plebea di Rifredi, nella parte d'un paggio che doveva pronunciare nient'altro che questi due monosillabi:
- Il re.
Aveva provato tutta una settimana; inoltre, passeggiava spesso per vie solitarie, dicendo a voce alta, per trovare l'intonazione giusta:
Una sera, così gridando, dalla via deserta, sbucò, senza pensarci, sulla piazza del mercato, e quel suo grido bastò per metterlo alla testa d'una pubblica dimostrazione, che fu sciolta da un delegato di pubblica sicurezza davanti al portone del sottoprefetto.
Viene la serata fatale del debutto.
Martino, nel suo abito di paggio, si fa pallido e rosso, di cinque in cinque minuti; il cuore gli batte; il momento s'avvicina....
Il direttore della compagnia gli dà uno spintone; lui esce dalle quinte traballando, corre fino alla ribalta e grida con voce acutissima:
- Il re!
- E io tre assi!
La seconda parte affidata a Martino fu di una importanza che quasi lo sgomentò, poichè si trattava di dodici parole di seguito.
Studiò come un martire, ma la lingua doveva infamemente tradirlo.
Alla metà del terz'atto, egli entra in scena e il primo attore, come vuole la parte, gli domanda:
- Sì: appunto in questo momento: stava seduto sulla pipa, fumando la porta.
Poi, ebbe a sostenere una particina di secondo amoroso, un tipo cordialmente antipatico, che doveva assediare la prima donna con galanterie stupide e importune.
A un certo punto, Martino, sotto le spoglie del suo personaggio, dice con passione:
- Dite una parola, una sola parola, o io morrò di dolore!
- Signore! - risponde la prima donna, - io sono stanca del vostro contegno.
- Anch'io! anch'io! - gridano gli spettatori dalla platea e Martino è costretto a ritirarsi, senza poter esaurire le sue battute.
Si diede alle parti di generico; ma sempre particine di poca importanza e di pochissime parole: eppure, quelle poche parole erano sufficienti a fargli dire cinque o sei bestialità. Una sera, faceva una parte di giudice istruttore, in un dramma giudiziario a forti tinte e nel momento più spettacoloso dell'azione, si rivolge all'eroina, per chiederle quanti anni aveva quando rimase orfana, e invece domanda:
- Dite, Silvia: che età avevate, quando vostra madre si maritò?
Martino s'accorge della papera, e cerca di correggere.
- Scusate, - dice, - non mi sono espresso bene. Vorrei sapere quant'anni avevate, alla nascita di vostra madre.
Silvia, più trasognata che mai, balbetta:
- Eccellenza! ero tanto piccina che non me ne ricordo più.
Nello scambio delle parole, poveraccio, era terribile. Non c'era spettacolo in cui non facesse due o tre sbagli di questo genere:
- Sciagurato! il beleno vevesti?
- Signor conte: il tranzo è in pavola.
- Allora, io lo afferro per un braccio e gli dico: traditore? se ti sfugge un morto, sei motto!
Ma il più famoso e stato questo:
In un dramma a base di suicidio, Martino faceva la parte di un "servo devoto".
Al quart'atto, il primo attore giovane usciva dalla scena, annunciando che andava a suicidarsi nella camera vicina. Il servo fedele gli correva appresso, per deviare il colpo e poi tornava in scena a rassicurare la madre con queste parole:
- Calmatevi: è salvo!
Così, infatti, procede l'azione.
Il primo attor giovine rientra fra le quinte, con gesti disperati.
La madre e la fidanzata restano sulla scena, in preda a contorcimenti strazianti.
- Ah! - grida la madre - Arturo s'è ucciso!
Martino si presenta sulla porta e grida con gioia:
Costretto a lasciare le scene, prima di darsi alla professione di conduttore sul tranvai, Martino tentò di diventare autore comico e compose una farsetta, che volle, a tutti i costi, leggere al brillante d'una compagnia primaria.
Il brillante fece di tutto per evitare questa rottura di scatole: ma un giorno in cui, per la centesima volta, Martino gli rimetteva il suo manoscritto alla gola, decise di farla finita e gli disse:
- Sia pure: leggetela. Ma v'avverto che, secondo me, la lettura d'una farsa non deve durare più di quel che duri un sigaro. Perciò, accendo questo sigaro e, se avrete finito di leggere quando lo butto via, accetto la farsa, se no....
Il brillante fuma e Martino legge rapidamente; ma tale è la rapidità della lettura e tanta la confusione, che tartaglia sempre in modo incredibile. A misura che il sigaro si consuma, egli aumenta la velocità e tartaglia più che mai.
Il brillante aspira l'ultima boccata di fumo e Martino finisce l'ultima scena. Poi con un certo fare di aspettazione e di trionfo, domanda:
- Ebbene: che ne dice?
- Sì! - risponde il brillante; - c'è una buona trovata: quel padre, quella madre, quella figlia, quell'amoroso, quella cameriera che tartagliano tutti è un'idea abbastanza originale e mi piace.
- Ma scusi, non son mica i personaggi che tartagliano.... sono io.
- Ma allora, caro mio, non vale più niente!