Federigo Verdinois
Profili letterari e ricordi giornalistici
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PROFILI LETTERARI

IL PADRE LUIGI TOSTI

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IL PADRE LUIGI TOSTI

Tornando da Roma, trasportati rapidamente dalla vaporiera, più rapidamente da' mille pensieri, da' vani affetti che la città eterna vi suscita e vi accende nell'anima - quando avete un'anima - guardando intorno senza vedere, seguendo macchinalmente con l'occhio smarrito quella fuga vorticosa di alberi, di case, di staccionate, di monti, di pianure, quel girare strano e continuo dell'orizzonte lontano, ora frastagliato da un gigantesco muro merlato, ora in tutta la stupenda purezza della sua curva, ci venne davanti un gran gigante di pietra, grigio, accigliato, quasi minaccioso. Stava immobile in mezzo a quella ridda convulsa di ogni cosa. Pareva riposar sulla nebbia: a metà della costa si cingeva a traverso di una cintura di nubi; di dalle nubi, in alto, più vicino al cielo che alla terra, si estolleva con un suo nero castello, superbo e fantastico nella sua solitudine.

Pare un castello - ed è una badia. Il duca di Maddaloni, che viaggiava con noi, si destò un momento, guardò dallo sportello, seguendo lo sguardo di tutti noi, stette in ammirazione e poi quando una subita svolta del terreno ci ebbe tolto di vista il gigante, si rincantucciò di nuovo, si tirò il largo cappello sugli occhi, e si riaddormentò borbottando: «Montecassino, Montecassino - la badia di Montecassino - sicuro, Montecassino».

In questa badia o in questo castello vive il padre Luigi Tosti.

Dovevo scrivere di lui, e già da un pezzo gli avevo chiesto notizie della sua vita. Mi aveva risposto: «Che cosa potrei dirle di me? vissuto tra il Breviario ed il calamaio, nulla di sonoro e di grande potrei dirle. Ed ove anche fosse cosa degna a sapere, questa è così chiusa fra le pieghe della mia cocolla, che non arriverei neppure io a trovarla. Del resto farò di non essere scortese verso di lei....».

Poi le notizie non vennero. Che avrebb'egli potuto scrivere a me che già di lui non si sapesse? Gli è caro l'isolamento, sia per naturale alterezza, sia per frequenti sconforti, sia perché trovi più onesta e profittevole della compagnia degli uomini quella della immensa natura. In occasione delle feste pel centenario di S. Benedetto, pochi lo videro, pochissimi lo conobbero. Si confondeva nella folla, la quale forse a parte quella solennità religiosa che dovea far battere il cuore del credente, lo infastidiva non poco. Che premeva a lui darsi in pascolo ad un sentimento, che era forse reverenza ma che anche poteva essere curiosità? Il nome è illustre, l'uomo è conosciuto. Tutta la sua vita, il suo carattere, l'ingegno, gli studi, le passioni, le speranze, le aspirazioni, i dubbi, gli sconforti sono scolpiti nelle sue opere. Non c'è scrittore che più di lui si rilevi. Ora lo vedete superbo, ora umile, ora perduto nella contemplazione d'un altissimo vero, ora sprofondato nelle tenebre e nei bagliori del misticismo, ora incantato con la ingenua e gioconda meraviglia di un fanciullo davanti agli splendori della natura; inneggia al sole e s'innamora del fiorellino che spunta. Da quella grande altezza, di mezzo alle sue nubi in tempesta, scaglia il fulmine della maledizione, e poi scende tutto umile nella valle, spiana la fronte via via che il cielo si colora di azzurro, sorride e carezza. Spesso gli arde dentro lo spirito profetico del Savonarola; ed egli squarcia le tende del futuro, leva alto la voce, ammonisce i popoli, squassa la face della fede, si sente grande. Poi, tutto ad un tratto, come il suo monte si ravvolse di nebbie, così la sua mente: dubita e teme, brancola nelle tenebre, chiede pietà, sostegno, consiglio, amore, si sente piccino.

Mancandogli la fede, si raccomanda alla ragione: ma più che il lume sereno di questa, possono in lui gl'impeti del cuore: impeti giovanili, ardentissimi, che lo trascinano sempre di dal segno, che gli danno tutte le più squisite gioie, tutte le più cupe disperazioni dell'anima.

Sarebbe forse un gran filosofo, se non fosse fanciullo, cioè poeta. È credente, ma a modo suo; perchè sarebbe stato anche un Lutero, se la fede non prendesse in lui un carattere tutto proprio, un calore affettuoso: se non si vestisse dei più brillanti colori di una fantasia di artista, se non fosse elemento vitale, parte integrante dell'anima sua. Egli crede a Dio, alla bellezza, all'amore, al sacrificio, ad ogni sentimento nobile: ne ha la religione. Crede anche alla libertà, o almeno vi ha creduto. Ritiratosi fanciullo su quella vetta, la solitudine, l'aspra natura, gli studi severi, la monotonia della vita claustrale non lo staccarono dalla società degli uomini. Nobile di sangue, fu anche nobile di mente e di affetto. Frate, non volle assorgere con l'anima ad un arido cielo senza affetti e senza poesia: castellano, discese a vivere coi suoi vassalli e li guardò con occhio d'amico e di fratello.

Gli ha forse odiati qualche volta e, com'è suo costume, impetuosamente ha manifestato questo suo odio. Credo anzi che sia giunto ad odiare stesso. Quella splendida visione della libertà che gli fece trovare sulla cetra le inspirate armonie della Lega Lombarda e del Veggente del secolo gli parve cosa troppo divina, perchè potesse vivere fra gli uomini. Frenò i suoi impeti di patriottismo, si ravvolse nella sua cocolla, tacque. Chi lo sa? forse piegando il ginocchio davanti al Pontefice, che rinnegava la fede giurata e malediceva all'Italia ridestata alla libertà, forse il fiero monaco chiudeva nell'animo lo sdegno, forse si sentiva lacerare da un dubbio atroce e piangeva lagrime amare sopra una illusione troppo presto spuntata, troppo presto svanita. Chi può penetrare nei misteri, nelle lotte di quella grande anima? chi potrà scrutare i pensieri di quel solitario, forse i pentimenti e i rimorsi? chi oserà affermare ch'egli ora non esulti nel suo cuore nel vedere «collocato sull'eterno sasso del Campidoglio il seggio della nostra patria?».

A quest'ora vestirebbe la porpora cardinalizia. Se la giocò col suo scritto San Benedetto al primo Parlamento Italiano; dove, levando il cattolicismo a fattore dell'Italia, e dicendo la badia culla e tempio della civiltà italiana, faceva non di meno balenare qualche idea di conciliazione con l'Italia novella. Se ne sdegnò il Santo Padre, lo cancellò dalla lista dei suoi candidati. Ponendo fine ad un animato colloquio avuto col frate, chiamò a il padre Pitrà, anch'esso benedettino e: A' propos, gli disse, je vous fais cardinal, dom Pitrà.

E questi, ringraziando, gli disse: Je demanderai la permission à mon abbé. Votre abbé? esclamò il Santo Padre: ne suis-je pas l'abbé des abbés? Je vous fais cardinal, dom Pitrà.

C'est égal, ribattè il monaco caparbio, je demanderai la permission à dom Guerrand.

E così il padre Tosti non ebbe più il cappello.

Le sue visioni sono calde, colorite, febbrili, piene di un movimento così fuori del rettorico e del convenzionale, che vi rapiscono in un mondo sconosciuto e fantastico, che vi scoprono sconfinati orizzonti. Ci è lo spirito moderno, che si stringe in un caldo amplesso allo spirito biblico: Jehova terribile che sorride amorevolmente fra le sue minaccie. queste visioni lo lasciano mai. Le sue storie, che molte ne ha scritte, sono come le sue visioni, ne hanno lo stile e l'impronta, starei per dire la vaporosità, e nel tempo stesso la sostanza. Vi accennano i fatti, ve li dipingono, e quando tutti insieme ve gli hanno messi davanti, come in un quadro di larga composizione e di potente colorito, avviene ch'essi si perdano in una sfera molto al di sopra della sfera reale. Alla critica è sostituita la fede, alla ricerca dello storico l'affermazione recisa del poeta e del veggente. Ancora, prendono queste pagine un singolare carattere di soggettività, perchè lo scrittore non può tanto tenersi fuori dal suo soggetto che non vi faccia trasparire stesso, che non se lo acconci secondo i convincimenti suoi, secondo le illusioni, i pregiudizi, le speranze, secondo quella forza visiva che, come gli svela i segreti dell'avvenire, così pare che gli mostri chiaro il passato, non quale è in effetto ma quale egli vuole che sia.

Questi contrasti, anzi queste contraddizioni non consentono che di lui si possa ritrarre la vera fisonomia. Non si può adoperare sopra di lui lo scalpello anatomico. Bisogna guardar la figura da lontano, coglierne le linee, studiarsi di riprodurle nella loro mistica incertezza. Strano a dirsi, la vicinanza non ve lo fa parere più piccolo, punto diverso da quel che prima v'era apparso. Lo stesso suo aspetto è pieno di variabilità e di contraddizioni: ora, triste, ora lieto, quasi sempre astratto. Tace a lungo, poi si abbandona a subite eloquenze; ora è placido e carezzevole, ora si muove irrequieto e nervoso. Ha maniere dolcissime, di una dolcezza quasi femminile; e, come le maniere, così ha dolce lo sguardo. Poi, ad un tratto, lo sguardo si accende e manda lampi, le maniere diventano rotte e superbe.

Non è bello grande di persona, ma, veduto una volta, non si dimentica più: tanto può in voi quella luce che gli irraggia dalla fronte alta e maestosa, quella luce abbagliante di un ingegno potentissimo che freme nei suoi ceppi e vorrebbe spezzarli.

Questo ingegno non ha forse avuto tutto il suo sviluppo, non ha avuta intera la sua manifestazione. Ma il fuoco non è spento, la luce oscurata.

Potrebbe divampare l'incendio, potrebbero splendere novelli raggi.


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