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Ci sono degli uomini che hanno il torto o la disgrazia di venire al mondo troppo tardi o troppo presto. In questo secondo caso corrono il rischio di essere lapidati o crocifissi. Inutile dire che non è questo il caso dell'amico Bovio il quale, ch'io sappia, non è stato lapidato. Testè si son sentite per l'aria certe sue grida di dolore e di dispetto: ma erano semplicemente dolori elettorali, avendogli l'urna fedele fatto il tiro di tenersi in corpo il suo nome. «Interrogato il morto, non rispose». Dico si son sentite per l'aria, ma avrei dovuto dire di sottoterra. Il Bovio o che parli, o che rida, o che si lamenti, o che solo si muova, è cavernoso. Lo si direbbe una sibilla nell'antro o uno di quei barbuti profeti dell'antichità che si divertivano a preconizzare ogni sorta di disgrazia e di finimondo sul capo sciagurato del prossimo loro. Per questo ho detto che è nato troppo tardi. Porta il soprabito, ma è un anacronismo. Un pizzo lungo, folto, nero, ch'egli accarezza volentieri, pare che lo tiri in giù a pescare i suoi pensieri profondi nel centro della terra. Questa ricerca lo comprende tutto e lo fa accigliare, e lo fa camminar piano, impacciato, come se avesse paura di schiacciare il centro suddetto. Di là piglia i pensieri e la voce. Abituati, per disgraziata necessità di natura, a vivere sulla superficie, non tutti lo capiscono e fra i moltissimi che lo ammirano molti vi sono la cui ammirazione è appunto determinata da cotesta difficoltà di comprensione.
In quel tempo lì tutti avrebbero creduto all'oracolo e gli sarebbero caduti davanti ginocchioni, protesi nella polvere. Ma a chi oggi si ha più fede o a che cosa? Figurarsi un po' se se ne può avere nel Bovio e nelle sue cavernosità!
Eppure è notevole il contrario. Oggi che si abbatte ogni sorta di sistema religioso e filosofico, oggi che Dio è una formula, l'uomo una macchina, la donna una cosa e la scimmia un animale ragionevole; oggi che un asino ne sa più di Kant e l'io ne sa più di un asino; oggi che la sola cosa provata e assodata fuor d'ogni dubbio è precisamente il dubbio, e che quasi quasi si incomincia a mettere in forse che il sole sorge in oriente e si sospetta che l'uovo col quale si fa la frittata possa contenere un essere pensante ed immortale; oggi si trova pure una larga schiera di giovani che giurano nel Bovio e nel suo nome. Ci è una religione di Bovio che confina col feticismo. Niente tradizioni, niente scuola, niente regole, niente scolari, tutti maestri, – ma Bovio. Non toccate Bovio. Raccogliamone il verbo, portiamolo attorno, facciamone il nostro credo, imponiamolo alle genti, adoremus!
La mattina di buon'ora, trovandomi nell'ufficio del Corriere occupato a scrivere o a correggere bozze di stampa, mi accade spesso di vedere arrivare tutto affaccendato ed ansante qualche giovinotto. Porta una notizia, un articolo, una lettera, un'imbasciata del Bovio. «Mi manda il professore!» e parla con tuono contegnoso e cupo e gli pare di aver detto tutto. Ci sono altri professori al mondo? No, c'è Bovio. Ei ne ha sempre sotto la mano di questi giovani adoratori, felici che il maestro li mandi attorno a rappresentarlo. Ha anche, quando per avventura non trovi lì per lì il suo giovane, un servitore barbuto, lugubre, accigliato, che non parla e non si cava mai il cappello. Si direbbe l'ombra del padrone, una specie di servitore filosofo, molto interessante a vedere. Forse in compagnia del padrone sarà disceso qualche volta nel centro della terra. Il fatto è che, senza volerlo, egli comunica a quelli che gli stanno intorno certe modalità spiccate della sua persona e del suo carattere. E così, chi ne ha la voce, chi la guardatura, chi la frase sonante, chi la nebulosità, chi il silenzio.
In quanto all'ingegno, si capisce ch'è tutt'altra cosa. Chi ne ha per proprio conto, vuol dire che ne ha, e chi no, no.
La frase – ecco il suo forte, il suo studio, il suo carattere, la molla dei suoi successi. Spesso nella frase affoga l'ingegno come il pensiero; e ci vuole molta buona volontà, molto acume; molta pazienza e nessun'ombra di malevolenza per scoprire che quell'ingegno attraverso l'antitesi lambiccata, e la figura barocca traluce potentissimo. Ingegno filosofico e poetico, accade spesso che le due qualità si confondano, e che da una maggiore e da una minore molto ben saldate insieme scatti fuori un impeto lirico e tribunizio. Alla rappresentazione dell'Alcibiade mi parlava di arte, e ne parlava con calore, con giudizio finissimo, con vero e profondo sentimento estetico; poi ne scrisse prima che io stesso ne scrivessi, e letto che ebbe la mia recensione mi mandò un biglietto dove diceva: «Benchè monarchico, siete onesto e vi stringo la mano».
Non c'entrava niente affatto; a mente riposata, tornava alla sua frase ed al suo atteggiarsi sibillino. E non è forse questo medesimo difetto un desiderio tutto artistico di mettersi bene ed in buona luce, un desiderio di statua greca o piuttosto – la somiglianza è più esatta – di un romano del Camuccini?
Questa confusione frequente dei due elementi, mentre gli dà un carattere spiccato di oratore e di scrittore, serve più di una volta a fargli aver torto nella disputa. Non se ne sta nella regione serena dell'equanimità filosofica. A momenti, vi parrebbe di sentire il Bruno od il Campanella e forse forse a lui preme di parere un po' l'uno e l'altro: peccato che i roghi siano passati di moda per colpa del secolo miscredente: che spettacolo, che bella figura sarebbe la sua fra le fiamme guizzanti! C'è da scommettere ch'egli se ne dolga di questa impossibilità del martirio, mettendosi da un punto di vista assolutamente artistico. A momenti, trascinato dalla frase ingannevole o rotolando con fracasso per le curve del periodo, s'infanga in una pozza, dalla quale non trova più il verso di uscire. Libero pensatore, tiene forte, come tutt'i pensatori liberi, alla sua infallibilità. Allora è che il Salandra lo attacca e lo ferisce mortalmente; il gladiatore cade, combatte, lancia addosso al suo giovane ed ardito avversario la sua Risposta ai critici, si sdegna, fa la voce grossa, ha più torto di prima. Quanta più ragione avrebbe avuto e quanto sarebbe stato profondamente filosofo se avesse risposto con due sole parole: «Ho torto». Del torto, dell'ostinazione, levarono i detrattori suoi grande scalpore; era una questione di fatti e i principii non ci aveano che vedere; lo scalpore cadde, il Bovio rimase in piedi. La sola maraviglia fu che non s'avesse mangiato Salandra. Il tuono cupo della sua voce faceva temer anche questo.
L'ostinazione è indizio d'indipendenza; e questa indipendenza egli ha e la foggia superbamente. Montando in cattedra tuona: «Sfamati escono, affamati entrano». Parlava dei suoi amici di sinistra. La voce potente, la sicurezza, la teatralità dell'insulto, e quell'isolarsi sdegnoso, piacciono, trascinano, entusiasmano. Piovono gli applausi fitti come la grandine. I giovani lo riportano a casa in trionfo.
A parte lo sfoggio, questa indipendenza è in lui forte come l'ingegno. Leggete, se vi piace, Uomini e Tempi, dove più che in altro suo scritto si rileva la penetrazione di lui, il colore dell'artista. Aurelio Saffi gli scrive: «Voi giudicate resistenze ed impazienze, falli e virtù, difetti e pregi, con mente civile come uomo
del mondo esperto
e degli umani vizii e del valore.
«E questo esempio d'imparziale urbanità nel pronunziare sentenza intorno a uomini e cose, ad amici e ad avversari, parmi non ultimo merito, del vostro scritto, fra le volgari intemperanze della stampa contemporanea». E sono parole giuste e ben dette.
Questo filosofo, questo artista, questo idolo dei suoi scolari insegna Filosofia del Diritto nell'Università di Napoli, è nato a Trani, ha pubblicato un Corso di scienza del diritto, Il sistema della filosofia, un Saggio critico del diritto penale e del fondamento etico, e uno Schema del naturalismo matematico e altri scritti minori. Pubblicherà fra poco un Corso frenopatico ed I fondatori di civiltà. Si direbbe che per tutto questo gli ci abbia voluto gran tempo e lungo studio. E nondimeno egli è giovane di anni e non è molto che ha sacrificato anch'egli sull'ara d'Imene. Forse ha quarant'anni, forse trentotto o quarantuno: l'età di certi uomini – uomini politici, professori, attori, avvocati e via discorrendo – è come l'età delle donne. Sono uomini che debbono piacere e tengono all'effetto. Bisogna indovinarla, non domandarla.