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PETRUCCELLI DELLA GATTINA
La conclusione del discorso è poi questa, che Giuda era un galantuomo, Cristo uno sciocco, san Giovanni un epicureo parassita pronto sempre a menar le forbici della lingua contro chi non l'invitasse a mensa. Della faccenda di Lazzaro non si parla neppure; si sa che fu grossolana giunteria di un magnetismo ancora bambino. Il Calvario fu una commedia, la deposizione una fuga. Tutto ciò si prova coi testi alla mano. Non ci avreste pensato mai; non ci avrebbe pensato nessuno, e per questo appunto ci ha pensato Petruccelli della Gattina.
Petruccelli ha questo di singolare, che pensa sempre a quello cui gli altri non pensano: ha un po' del Vittorio Imbriani, così per la qualità dell'ingegno bisbetico e per l'erudizione affastellata, come per l'agonia della notorietà e la boria sfolgorata. Vuol parere uomo politico, ed è soprattutto letterato: cerca di essere grave e ponderato e vola come Pindaro. Dà sentenze, le cassa, è naturalista in religione, repubblicano in politica, qualche volta consorte, – è Petruccelli.
Odia i consorti, ma, l'odio è assai più forte nelle parole che nell'animo, e i consorti stampano a gara nei loro giornali gli articoli che egli scrive contro i progressisti. Bontà di cuore; prontezza d'ingegno, asprezza di anima, fantasia di poeta più che criterio da statista, conoscenza più che scienza, pensieri sperticati, utopie, insofferenza di giogo, rettitudine di carattere, questi è Petruccelli. Ogni sua idea è una fissazione, ogni sua virtù una ostinazione. Non crede, naturalmente, a nessuna sorta di infallibilità, crede alla propria. Si ribella ai dommi, e i dommi li vuoi fare lui: liberissimo pensatore, si sdegna e si maraviglia che non la pensino tutti come lui.
Una manifestazione delle sue idee religiose è appunto in queste Memorie di Giuda: cioè idee religiose e filosofiche e politiche e ogni cosa: una manifestazione di tutto lui. Parrebbe alla prima che il libro fosse una filiazione diretta di quello del Renan, e può anche darsi che ne sia stato inspirato: ma poi, letto più attentamente, vi si scorge l'impronta di originalità dello scrittore. È un romanzo e un trattato di teologia, l'uno e l'altro governati da uno spirito irrequieto di demolizione: è uno studio storico e una aberrazione della fantasia: c'è dentro tutta la dottrina di dieci addottrinati crogiolata nel cervello dottissimo di un sofista. Un gran sentimento drammatico, una forza mirabile di colore, una incertezza di scopo, un'affettata miscredenza, un'affermazione superba della propria personalità. Si legge con infinito diletto, si getta via con disgusto, si aspetta ora con ansia che venga fuori la seconda parte dell'opera che porterà per titolo Messaline, St. Paul et Claude.
Ferdinando Petruccelli è nato in Lagonegro di Basilicata nel 1816.
Fu educato nel seminario di Pozzuoli, poi dai gesuiti, poi – per dire la verità – da sè stesso.
Non se ne piegava l'animo superbo, non si ammolliva l'ingegno per acconciarsi ad un meschino sistema di credenze e starsene rannicchiato.
Alle magre Institutiones del padre Liberatore facevano guerra Les Lettres philosophiques di Voltaire e l'Allemagne della signora Staël. La mente giovinetta scopriva nuovi orizzonti, volava ad altre regioni, traeva fuori da quelle contraddizioni filosofiche un suo sistema filosofico, e da Pozzuoli abbracciava il mondo.
Incominciò il suo mondo da Napoli. Venne qui giovanissimo, stampò un racconto, Malina, che non fece nè caldo nè freddo; poi un giornale: attaccò violentemente i più reputati strenniferi del tempo. Dico strenniferi per dir letterati. Allora a Napoli tutta la vita era nella letteratura e tutta la letteratura nelle strenne. Si levò il campo a rumore, si chiese da tutti chi fosse questo Petruccelli che scoppiava improvviso e furioso come una procella di estate nel cielo sereno della nostra Arcadia. Poche sere appresso, in casa di un signor Correale. egli fu presentato ad uno di quegli scrittori da lui più acremente malmenati. Gli fece riverenza ed abbondò in dimostrazioni di affetto; e quando quegli, sorpreso, si tratteneva dal porgergli la mano e chiedeva ragione della strana contraddizione, il giovane rispondeva schietto e sorridente da buon figliuolo: «Voi eravate conosciuti, io no, dovevo farmi conoscere». Così esordì con una specie di scandalo.
Poi, venuto in Napoli l'areonauta Antonio Comaschi, Petruccelli volle volar con lui nel pallone: non volò, ma tutti parlarono del fatto suo, tutti ebbero occasione di ripetere il suo nome. Scrisse e stampò l'Ildebrando: Del Carretto, ministro di polizia, temuto pel rigore delle punizioni, per la fermezza e subitaneità dei propositi, per lo spirito illiberale, se lo fece venire innanzi, gli disse bruscamente: «Vorresti essere arrestato, ma ci sprechi tempo e inchiostro; stampa quel che vuoi, non t'arresto». Lo stesso fatto si cita del Ricciardi, ed è possibile, – e sta bene a tutti e due. Un altro tratto che compendia tutto, che rivela l'uomo. Nel testamento egli lascia scritto che il suo corpo sia cremato e le sue ceneri disperse in Inghilterra. Se poi perisse in un paese dove non esista sistema di cremazione, vuole che il suo corpo sia portato a Londra e seppellito nel cimitero dei poveri. Le ceneri di sua moglie vuole che siano disperse in Francia. Il testamento è segreto, ma la clausola è nota. Un episodio giovanile. Amava una cara fanciulla, che lui brutto, studente poco dirozzato, male in arnese, non poteva soffrire. Le scriveva versi per ammollirne il cuore, le stava sempre dintorno, ne era accolto con disdegni e rabbuffi. Gli toccò una buona eredità che valse nel cuore della bella più che tutte le poesie, facendovi spuntar dentro il più forsennato amore che sia mai germogliato in cuore di fanciulla. Il giovane ne fu commosso, sorpreso, quasi felice, – e si partì da lei crucciato e sdegnoso, nè più mai la volle vedere.
In Inghilterra sarebbe già andato da vivo fin dal 1849. Napoli lo fastidiva. Tornato di fuori, s'era dato a stampare un suo giornaletto Il mondo vecchio e il mondo nuovo che sollevò scandali e seminò discordie. Non gli portavano grande affetto gli uomini che in quel tempo tenevano in mano le redini del movimento: il Poerio, il Bozzelli, il Troya, il Settembrini, l'Imbriani, lo Scialoia, altri ed altri. Dall'Inghilterra avrebbe salpato per l'America inglese. Voleva ancora una volta emigrare, Mazzini ne lo distolse; voleva esercitare laggiù la professione di medico chirurgo, essendosi nell'una e nell'altra scienza addottorato. Ristudiò medicina a Parigi, frequentò i corsi dell'Hotel-de-Dieu, del Collegio di Francia e dell'Università. Poi studiò storia, poi economia politica, assistendo alle letture di Michelet, di Jules Simon, di Chevalier, di Collard.
Da tanti studi, da tanto sapere raggranellato qua e là con irrequietezza febbrile ed ammassato nei magazzini della memoria, ne venne fuori quel che doveva: non già lo scienziato, ma il giornalista. Si volle, come dicono i Francesi, poser; ed al nome di Petruccelli aggiunse quell'appellativo della Gattina, pigliandolo dal nome di un suo poderetto di Bienza.
Laggiù quegli spiriti mordaci ed epigrammatici lo chiamavano traducendone il nome: Mr. Pierre Oiseau de la petite Chatte. Si fece subito notare per la vivezza dello stile, pel coraggio di scrittore che si metteva arditamente in contraddizione con gli scrittori più noti, con le opinioni meglio ricevute.
Di articoli ne ha scritto innumerevoli: in italiano, in inglese, in francese. Si potrebbe dire sottilmente che in italiano non ne abbia scritto alcuno, e che egregiamente egli sappia scrivere in lingua non sua. Gli studi disordinati, la vita erratica, la passione politica, la necessità del lavorare per campare la vita non gli consentivano di curare la forma.
Quello che non ha mai dimenticato, quello che si travede in tutti gli scritti suoi, è l'amore al proprio paese, lo studio assiduo di renderlo migliore; il quale amore, ubbidendo all'indole dell'uomo, si manifesta stranamente con rimproveri acerbi; con dispregio di uomini e di cose, con raffronti impari pigliati di fuori o di lontano, da altre regioni o da altri tempi. Ama il proprio paese astraendo dagli uomini che lo fanno perchè di questi sparla e non gli ha in grandissima stima. Ha, scritto nella Presse, nei Debats, nell'Indépendence Belge, nella Liberté, nel Paris Journal, nella Revue de Paris fondata dal Balzac, nella Libre recherche, nel Courrier Français, nella Cloche, nel Daily Telegraph, nel Morning Star, nel Cornhill Magazine, nel Daily News, nell'Evènement, nella Petite Presse, in moltissimi giornali italiani.
Ha scritto anche romanzi, drammi, storie, opere filosofiche. I moribondi del palazzo Carignano sollevarono una tempesta di ire e di polemiche. Ebbero buon successo Le sorbet de la reine, Les soirées des émigrés à Londres, Les suicides de Paris. Scrisse col Clarétie Les blancs et les bleus, dove la prima volta rilevò il suo ingegno drammatico; gli venne poi meno nel Fleur de Satan, nel quale si abbandonò in braccio alle sue sperticate fantasie morali e sociali e forzò la tavolozza. Ha stampato a Parigi L'histoire diplomatique des conclaves, Le conciles, Les Extraits de l'histoire de la révolution italienne, ed a Londra Les préliminaires de la question romaine. Ora scrive una storia d'Itàlia dal 1848 al '70, in francese; ed in inglese una History of the civilization in Italy, ed in italiano una Storia dell'Inquisizione a Napoli ai tempi di Carlo V. Volta in italiano il Diario dell'assedio di Parigi di sua moglie signora Paley, donna di forte ingegno, di singolare coltura ed anch'ella scrittrice di articoli e di romanzi.
Ma il vero è che egli non è romanziere, nè drammaturgo, nè storico, nè filosofo: è giornalista, giova ripeterlo. Di una fecondità maravigliosa, di una memoria di ferro, di una freschezza tutta giovanile di immaginazione, fruga nel ricco magazzino delle cose lette, e le versa a manate nelle colonne dei giornali, spesso imbrogliando nomi e date, atteggiandosi a profeta, sentenziando da giudice. In fondo ci si vede il pensiero e più del pensiero il sentimento; molto in fondo, attraverso il velo fitto della stravaganza.
Ogni suo articolo è un mosaico; c'è del comico e del tragico. Il poeta c'è sempre, checchè egli faccia; e quando la fa seriamente da fatidico, ed emana responsi dal suo tripode, la gente gli si stringe intorno, pende dal suo labbro, batte le mani, si diverte – mentre egli è sicuro di averla atterrita.
Il Petruccelli ha capelli grigi e rasi, barba breve, occhio mobilissimo. Parla concitato e male; perchè alla folla dei pensieri non ubbidisce pronta e fluida la parola. Pronunzia l'r forte quasi raddoppiandola, come sogliono i siciliani. Ha modi cortesi, schietti, che gli conciliano la simpatia più che non facciano i suoi scritti. Si fa stimare ed ammirare, ma forse vorrebbe che la stima fosse culto e l'ammirazione entusiasmo.