Francisco de Quevedo
Vita del pitocco
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DELLA VITA DEL PITOCCO LIBRO SECONDO.

CAPITOLO III. In cui continua il medesimo argomento,finché tutti finiscono in carcere.

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CAPITOLO III. In cui continua il medesimo argomento,finché tutti finiscono in carcere.

Entrò Merlo Díaz con la cintola che era una filza di buccheri e di bicchieri i quali, col chieder da bere alle ruote delle monache, aveva agguantato con poco timor di Dio; ma chi gli ebbe, in questo, a dar dei punti fu don Lorenzo del Pedroso che se ne venne con un mantello proprio buono, che nel giocare al trucco aveva scambiato col suo, che chi se l’ebbe non ebbe che farne per essere tutto spelato. Era solito costui levarsi il mantello come se volesse giocare e di metterlo insieme agli altri; subito dopo poi, facendo vedere che non aveva fortuna, andava per il mantello, prendeva quello che gli pareva migliore e se n’andava. Usava far questo, dove si giocava all’anello e alle boccie. Ma tutto questo fu nulla quando si vide entrare don Cosimo attorniato da una turba di ragazzi pieni di gavine, di tumori, di rogna, feriti, monchi. Egli col far certi segni e dir certe orazioni insegnategli da una vecchia, s’era dato agli incantesimi e guadagnava per tutti, perché se chi veniva a curarsi non portava sotto il mantello qualche involto, o non tintinnavano quattrini nella tasca o non piavano dei capponi, non c’era verso. Aveva saccheggiato mezza Spagna! Dava ad intendere quel che voleva, giacché non nacque mai al mondo un artista come lui in dir bugie, tanto che nemmeno per errore diceva la verità. Aveva sempre in bocca il Bambin Gesú, entrava nelle case con dei Deo gratias e col saluto «Lo Spirito Santo sia con voi». Aveva con sé tutti i suoi arredi da bacchettone: un rosario con certi chiccoli enormi: come per dimenticanza faceva in modo che sotto al mantello gli si vedesse un pezzo di disciplina spruzzata di sangue dal naso; dimenandosi nelle spalle per il pizzicore dei pidocchi, faceva credere che fossero cilizi e che la fame canina che aveva fosse digiuno volontario. Raccontava di tentazioni, e nominando il demonio soggiungeva: «che Dio ce ne scampi e liberi!»; baciava in terra entrando in chiesa, diceva di essere indegno, non alzava gli occhi alle donne, ma le gonnelle sì. Con questi mezzi si attirava la gente in maniera che si raccomandavano a lui; ed era proprio come un raccomandarsi al diavolo, perché piú che esser giocatore era compare (si chiama cosí quegli che è detto, con brutto nome, baro). Nominava il nome di Dio alcune volte invano e tutte l’altre a vuoto. Quanto a donne poi, aveva dei figliuoli e aveva ingravidato due pinzocchere. Insomma, dei comandamenti di Dio quelli che non infrangeva, l’incicciava.

Venne Polanco facendo gran frastuono e chiese un tonacone scuro, una grossa croce, una barba posticcia e una campanella: camuffato cosí andava in giro la sera tardi a dire: – «Ricordatevi della morte, fate del bene alle anime ecc...». Cosí raccoglieva abbondante elemosina, entrava nelle case che vedeva aperte e se non c’era nessuno presenteostacoli, rubava quanto gli capitava; se ce lo trovavano, suonava la campanella e diceva, con una voce che egli fingeva di gran penitenza: «Ricordatevi fratelli, ecc...».

Per lo spazio di un mese ebbi campo di conoscere in costoro tutte queste trovate e mezzi non ordinari di rubare. Torniamo ora a me. Io mostrai loro il rosario, raccontai il fatto, ed essi encomiarono grandemente l’astuzia. Lo prese, incaricandosene di venderlo, la vecchia, la quale andava per le case a dire che si trattava di una povera fanciulla che se ne disfaceva per poter mangiare; giacché per ogni cosa aveva la falsità ed il raggiro adatto. Questa vecchia frignava sempre; con le dita delle mani incrocicchiate sospirava dalla passione, tutti chiamava figli suoi e portava (mentre aveva sotto una camicia molto fina, e giubbone e gonnelle e zimarra e sottana) un certo sacco di bigello, tutto rosso, di un amico eremita che ella aveva sulle balze di Alcalá. Lei dirigeva la conventicola, la consigliava e faceva da copertina. Intanto il diavolo volle – perché non è mai in ozio nelle faccende che riguardano i suoi servi – che, andando ella a vendere non so che abito e altre cosucce in una casa, uno, il quale riconobbe per sua non so che cosa, condusse un poliziotto, e la vecchia che si chiamava mamma Lebrusca mi fu acciuffata. Confessò subito il fatto e disse come si viveva tutti noi e che eravamo tanti cavalieri d’industria. Serratala in carcere, il poliziotto venne alla nostra casa e ci trovò tutti i miei compagni, me compreso. Aveva con sé una mezza dozzina di sbirrimanigoldi di bassa forza – e io finii con tutta la società dell’accattolica in prigione, dove gran signori si videro alle brutte.


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