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PARTE II
SCRITTI PER LA RIVISTA «VERTICE»
ʻRivista d’Arte e di Bellezza’ - n. u., Arcola, 21 aprile 1921
Questi scritti sono stati desunti da una copia che esisteva in casa Ferrari, oppure dai manoscritti originali. In ogni caso, la rivista è introvabile, pur se citata da più parti. La raccolta dei testi fu effettuata dal figlio Renzo. Da tale trascrizione si apprende inoltre che ulteriori pseudonimi, furono utilizzati dal padre per firmare pezzi per la rivista e/o altre testate.
Fra le tante definizioni di questa testata, oltre a quella di Leonardo Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, accenno a quanto si trova schedato presso 1’ʻInstituut Voor Sociale Geschiedenis’ di Amsterdam, Fondo U. Fedeli, c. 232, Inventario di testate anarchiche internazionali dall’800 agli anni ’60.
“Rivista anarchica di arte e di pensiero”. Inizia le pubblicazioni nel febbraio 1921 sotto la direzione del pittore Giovanni Governato e quella letteraria di Renzo Novatore Ferrari e di Auro d’Arcola-Tintino Rasi. In tutto escono solo due numeri. Nella nota di presentazione si dice: «Noi ci sentiamo assolutamente al di sopra di tutti gli ismi e di tutte le teorie. Sopprimiamo finalmente tutte le esercitazioni di pazzoidi o di scribacchini che, appoggiandosi alle scuole di avanguardia non sempre ben assimilate, tentano di imporsi in un modo qualunque all’attenzione dei raffinati, rifiutiamo inesorabilmente tutti i prodotti di puro virtualismo tecnico, ove esso non serva ad esprimere qualche spiccata ribellione estetica. Vergini forze oscure, ridenti stupratori dell’impossibile, audaci esploratori del culmine e dell’abisso, tuoniamo il nostro spasmodico urlo di bellezza che il verminoso brulicare dei rammolliti, di fetida moltiglia schiacci».
Cessa le pubblicazioni quando uno dei direttori, Renzo Novatore, viene ucciso in uno scontro a fuoco nelle vicinanze di Arcola (Spezia). Ha 16 pagine, 2 colonne 31 x 22, tip. Sociale, La Spezia.”
In realtà sappiamo che durò un solo numero.
L’amico Governato ha, fra l’altro, disegnato le testate di «Anarchismo» (Pisa, 1922) e de «Il Proletario» (Pontremoli, 1922). Mentre la cura delle testate di «Iconoclasta!» sono di Virgilio Gozzoli e di A. Fasdito (?), le illustrazioni interne del n. 3 dell’anno. I° I (1921) sono di Governato.
Governato rappresenta una figura di riferimento notevole per Novatore e quindi mi permetto di inserire qui alcune note su questo compagno di percorso.
Più giovane di Novatore di nove anni, era nato nel cuneese nel 1889, anarchico e pittore, avrà, oltre che col movimento, rapporti col futurista-anarchico e poi ardito, Ruggero Vasari, nella cui galleria esporrà assieme a Marasco. Il 12 dicembre 1920, Marinetti rende ufficiale la posizione di Governato, attraverso l’articolo Il pittore futurista Governato su «Gli Scamiciati» di Pegli. Espone alle ʻPeintres futuristes italiens’, Galerie Reinhard a Parigi nel 1921 assieme ad opere di Balla, Boccioni, Sironi, Depero, Russolo e altri. Al Congresso Futurista di Milano del 23 novembre del 1924 è presente con Futurismo, Anarchia e massacro dell’Imperatore. Il 1924 è l’anno del processo che subì, dopo due anni di carcere, in dipendenza del conflitto a fuoco nel quale perse la vita l’amico Novatore.
Sopra l’arcobaleno del Sole
il Folle la vita cavalca.
La Gloria con occhio perverso
lo guarda dal Vertice estremo.
A GUISA DI RAPPRESENTAZIONE
Io non annuncio e non prometto nulla.
Troppi sono i bugiardi profeti che annunciano agli uomini la possibilità di una nuova vita e ancor di più sono i volgari plebei dello spirito che promettono al mondo - novelli Gesù - con il loro sangue irredento...
Chi sono? Non lo so! Non posso definirmi...
So di essere un impasto di Modestia e di Orgoglio, di Saggezza e d’Ignoranza, di Vizio e di Virtù, di Viltà e di Eroismo, di Luce e di Tenebra, di Logica e di Assurdità.
Sono un essere sospeso sopra l’abisso di una profondità inesplorata, con l’occhio fisso verso un lontano culmine che forse è una chimera.
So che vi sono in me delle vette assolate e fiorite come fantastici giardini d’estate, e delle tenebrose caverne che mai videro il sole. Ho trovato degli AMICI che mi assomigliano un poco per la ragione ch’io somiglio un poco a loro, e di comune accordo abbiamo deliberato di costruirci assieme una casa di cristallo sulle rocce di un VERTICE.
Non per questo per ciò crediamo Dei.
Ma vi sono delle Aquile e dei Serpenti che, come gli Dei, amano le vergini alture... E noi siamo fra questi!
Animali dunque, ma animali da Vertici! Animali che accovacciati in posture strane fra i cespugli simbolici della veramente libera Arte, coltiveremo i fiori velenosi della Bellezza pura anche se le scimmie, abitanti le basse paludi sociali, lanceranno verso il nostro nido di violenti solitari il loro anatema impotente e le loro rauche ridicole maledizioni.
La mia dichiarazione è finita, ma io non mi sono definito...
So che una dichiarazione di questo genere avrebbe il diritto di farla anche il più umile di tutti i mortali. Ma oltre questo so pure che anche il più fulgido genio - oltre averne il diritto - dovrebbe sentirne il più assoluto DOVERE.
AL DI SOPRA DELLE DUE ANARCHIE
(da «Vertice», La Spezia, n.
u., 21 aprile 1921)
Il pensiero sociale saturo di dinamica rivoluzionaria che irradia il concetto politico-sociale dei comunisti libertari irrompe attraverso l’universale profondità del dolore umano per intrecciarsi in un quasi monistico amplesso con l’altro più alto e vasto concetto psichico-spirituale dell’individualismo anarchico anelante alla definitiva e radicale anarchia.
Ma essendo l’Anarchia un “assoluto finale” in piena armonia con l’infinito ideale ed il comunismo un “relativo” trapasso giuridico sociale sboccante nell’empirismo economico - perciò preludio e promessa ma non musicale armonia di piena e finale epopea - avviene che i rigogliosi figli delle due correnti teoretiche del divenire sociale continuano ad accapigliarsi ancora a vicenda contendendosi - or tempestosi ed or sereni - il patrimonio filosofico - spirituale della pura Anarchia. È l’antico dualismo che, rivestito di logica apparente, si aggira ancora nel cerchio vizioso ove la giostra del dogma e dell’utopia rotea sull’asse infausta del sogno che la verità deforma e trasfigura la vita.
Ed è da questo cerchio vizioso, ove nessuna delle due parti ha ancora osato arditamente di uscire, ch’io voglio definitivamente svincolarmi per poscia immergermi nel bagno di un nuovo sole.
L’anarchico che aspira al comunismo e l’individualista che aspira all’Anarchia non si accorgono di essere ancora stretti, violentemente, fra i ceppi della sociologia castratrice e fra le fauci dell’umanesimo che è un viscido impasto di non-volontà individuale e di morale pseudo-cristiana.
Chi accetta una causa sociale, collettiva ed umana, non è nella pura Anarchia del libero istinto vergine e originale dell’antropocentrico inassimilabile e negatore.
Io - anarchico e individualista - non voglio e non posso sposare la causa del comunismo ateo, perché non credo nella suprema elevazione delle folle e perciò nego la realizzazione dell’Anarchia intesa come forma sociale di umana convivenza.
L’Anarchia è negli spiriti liberi, nell’istinto dei grandi ribelli e nelle anime grandi e superiori.
L’Anarchia è l’intimo mistero animatore delle incomprese unicità, forti perché sole, nobili perché hanno il coraggio della solitudine e dell’amore, aristocratiche perché sprezzanti della volgarità, eroiche perché contro tutti...
Nettare per l’Io psichico è l’Anarchia e non alcool sociologico per collettività.
Anarchico è colui che si nega a tutte le cause per la gioia della propria vita irradiata dall’interiore intensità dello spirito.
***
Nessun avvenire e nessuna umanità, nessun comunismo e nessuna anarchia valgono il sacrificio della mia vita. Dal giorno che mi sono scoperto ho considerato me stesso come META suprema.
Ora avvolto nella parabola ascendente del mio spirito liberato e liberatore, sciolgo le briglie della pura nudità dell’istinto per librarmi al di sopra dell’arco - ispirazione sociologica ideale - che aggiunge e congiunge l’utopismo dogmatico delle due pallide anarchie sognatrici per glorificare - fra il contrasto dei venti e le feste del sole - l’egoarchica e possente signoria di me stesso.
Oltre il tragico ponte del superuomo nietzschiano io scorgo un vertice ancora più libero e fosforescente sul quale nessun dio-uomo mai celebrò i suoi natali né la sua pasqua di resurrezione.
Al disopra dei popoli e dell’umanità vive e palpita l’assurdo e sublime mistero dell’UNICO indefinito.
Io - folle aquila umana - irrompo fra la tenebrosa oscurità di questa fosca notte, ove urla la tempesta delle idee e rumoreggiano i venti del pensiero, per poscia librarmi oltre le braccia antelucane dell’alba e, fra l’ardente fiamma del sole meridiano, divinarmi nel palpito voluttuoso e dionisiaco dell’istinto amoralistico e vitale ove la luce dello spirito e la passionalità del sentimento si inebbriano nelle vergini e selvagge sorgenti del sangue e della carne.
***
La gioia è - prima di tutto - un modo speciale di sentire la vita.
Per l’uomo superiore e di sentire elevato esiste la sublime gioia del dolore e la profonda tristezza della felicità. Zarathustra che, attraverso la dolorosa e sublime solitudine delle vette, cerca, con avidità, la fine gioia della conoscenza, ed incontra la folle e divina pazzia; Giulio Bonnot che, attraverso il “Crimine” ed il “Delitto”, sublima la volontà dell’Unico che, al di là del Bene e del Male, ascende verso il cielo dell’Arte eroica del vivere e del morire. Bruno Filippi che si annienta nello sforzo titanico, che rivendica il diritto dell’“Io” contro le costrizioni sociali delle viscide collettività borghesi e plebee, sono le gemme radiose componenti la ghirlanda libertaria del mio amoralismo vitale, nonché i protagonisti della mia tragedia spirituale.
Io nella vita cerco la gioia dello spirito e la lussuriosa voluttà dell’istinto. E non m’importa sapere se queste abbiano le loro radici perverse entro le caverne del bene o entro i vorticosi abissi del male. Io ascendo, e se nell’ascendere incontrerò il tragico fulmine del mio destino, la vita e la morte si curveranno sulla mia bocca contorta per poscia seguirmi nel turbine supremo ove l’Arte glorifica i forti ed incompresi ribelli che la morale vitupera e condanna, che la scienza chiama pazzi e che la società maledice.
***
Io sono dunque il tripudiante istinto liberato. Porgendo l’orecchio a me stesso sento l’urlo scrosciante dello spirito mio liberatore che canta l’epica e trionfale canzone della vittoria finale.
Tutte le ARCHIE sono cadute infrante. Ora mi amo e mi esalto, mi canto mi glorifico. I miei vecchi sogni hanno trovato riposo sulla pelle bianca e odorosa delle donne. L’ardente e pagana anima mia di spregiudicato poeta si specchia con voluttà nei loro occhi perversi ove gli spiriti del Piacere e del Male danzano la danza più folle. Solo il luccicar delle stelle, lo scorrere dei fiumi, il mormorio della foresta, dicono qualche cosa di ciò che vive in me. Chi non comprende le strane sinfonie della natura non può comprendere le strofe sonore delle mie maliarde canzoni.
***
Il mio non è un pensiero o una teoria, ma uno stato d’animo, un modo particolare di sentire. Quando sentirò il bisogno di mettere decisamente in libertà i miei Centauri ed i miei furenti stalloni, sarà intorno a me un’orgia pazza d’amore e di sangue, perché io sono - lo sento - ciò che gli abitanti delle paludi morali della società chiamano “delinquente comune”.
***
Pazzo? Come volete! Gli esseri normali non hanno mai goduto le mie simpatie. Fra gli uomini i più che amo sono i “delinquenti” del Pensiero e dell’Azione (Artisti, Ladri, Vagabondi, Poeti).
Fra le donne amo le pervertite. Le amo vestite di azzurro nei tramonti serali. Le amo vestite di rosso fra il biondo delle albe nascenti, le amo nude e profumate sul letto d’amore, le amo vestite di bianco sul piccolo letto di morte.
Povere, piccole, grandi sorelle mie che ho sempre amato e possedute mai. Io vi amo! vi amo! vi amo!
Ditemi o sorelle mie viventi, o sorelle mie trapassate: chi? chi di voi fu la più celebre, la più grande, la più pervertita?
Clara fosti tu!... Ma ora dove sei?
Ti conobbi una volta attraverso il Giardino dei Supplizî di Ottavio Mir[a]beau. Ti conobbi e ti amai! Tu sei la più strana e raffinata creatura, più romanticamente e profondamente umana e crudele che abbia saputo sentire finemente la vita e squisitamente l’amore fra il gemito straziante dei suppliziati ed il profumo dei fiori. Quando ti penso a correre, folle e leggera, sotto il preludio biondo del crepuscolo d’oro per trovare una verde zolla arrossata di sangue e fartene un letto nuziale per concederti al più profondo amplesso d’amore, io mi sento esaltato dall’ammirazione per te.
Ah, romantica e raffinata creatura, come tu sai penetrare il miracolo divino dei fiori e come il profumo sensuale del Tallitro cinese ti insegna a sublimare...
Solo una grande lussuriosa e una grande pervertita tua pari poteva udire - anche fra l’urlo straziante e terribile dei suppliziati - la voce forte e possente dell’istintiva natura che grida: “Amatevi!... Amatevi!... Fate anche voi come i fiori... Non c’è che l’Amore di vero!”. Ed io lo comprendo e lo sento, o Clara, il tuo amore peccaminoso e amorale, maledetto ed abbominato dalla castrata purezza della morale dei casti e degli uomini. Lo sento che folle e impetuoso s’innalza dalle più sotterranee profondità dell’istinto, per rimbalzare - con musicale armonia d’ansie e di misteri - spregiudicato e superbo innanzi al barbaro e crudele spettacolo dei sacrifici umani e per celebrare il palpito supremo e gagliardo della GIOIA più dolorosamente profonda, risuonante nel cuore sanguinante della vita più tragica e piena.
***
O perversa eroina di Ottavio Mir[a]beau, io ti sublimo e ti canto perché sono il barbaro cantore del Male.
Al disopra delle due Anarchie della Ragione e del Bene, io innalzo - glorioso e trionfante - il vessillo dell’Anarchia dell’Istinto e del Male.
NEL REGNO DEI FANTASMI
(Con pseud. Brunetta
L’Incendiaria (da «Vertice», Arcola, 21 aprile 1921)
***
Non esisteva che la Bellezza e la Forza ma i bruti e i deboli inventarono, per equilibrarsi, la Giustizia.
Lo credevo un sogno pauroso ed invece è una realtà sanguinante. Sono assediato e compresso entro un duplice cerchio di ossessi e di pazzi.
Il mondo è una pestifera chiesa laida e melmosa ove tutti hanno un idolo da feticisticamente adorare ed un altare su cui sacrificarsi. Anche coloro che accesero il rogo iconoclastico per ardere la croce sulla quale l’uomo-dio stava inchiodato, non hanno compreso ancora né il grido della vita e né l’urlo della Libertà. Dopo che Gesù Cristo, dal fondo della sua leggenda, sputò sulla faccia dell’uomo il più sanguinoso oltraggio incitandolo a rinnegarsi per avvicinarsi a dio, venne la Rivoluzione Francese la quale - feroce ironia - fece lo stessissimo appello proclamando i “diritti dell’uomo”.
Con Cristo e con la Rivoluzione Francese l’uomo è imperfetto.
La croce di Cristo simboleggia la POSSIBILITÀ a diventare UOMO, i “diritti dell’uomo” simboleggiano la stessissima cosa.
Per raggiungere la vera perfezione bisogna divinizzarsi per il primo, umanizzarsi per la seconda. Ma l’uno e l’altra sono d’accordo nel proclamare l’imperfezione dell’uomo-individuo, dell’Io-reale, affermando che solo attraverso la realizzazione dell’ideale, l’uomo può assurgere alle magiche vette della perfezione.
Cristo ti dice: se tu salirai pazientemente il desolato calvario per poscia farti inchiodare sulla croce, diventando l’immagine di ME che sono l’uomo-dio, tu sarai la perfetta creatura umana degna di sedere alla destra di mio padre che è nel regno dei cieli. E la Rivoluzione francese ti dice: Io ho proclamato i diritti dell’uomo. Se tu entrerai devotamente nel chiostro simbolico della umana giustizia sociale per sublimarti ed umanizzarti attraverso i canoni morali della vita sociale, tu sarai un cittadino e ti darò i tuoi diritti proclamandoti uomo. Ma chi osasse gettare alle fiamme la croce ove appeso sta l’uomo-dio e le tavole ove stanno biecamente incisi i diritti dell’uomo per poi poggiare sul vergine e granitico masso della libera forza, l’asse epicentrico della propria vita, sarebbe un empio e un malvagio contro il quale si volgerebbero le sanguinose fauci dei due sinistri fantasmi: il divino e l’umano.
A destra le fiamme solforiche e sempiterne dell’inferno che punisce il PECCATO, a sinistra il sordo scricchiolio della ghigliottina che condanna il DELITTO.
La fredda e disanimata vigliaccheria della paura umana, germinata dalla teorizzazione d’un sentimento mistico e malato, è finalmente riuscita a trionfare sulla sana e primitiva INGIUSTIZIA istintiva e animata che era solo Forza e Bellezza, Giovinezza e Ardimento. Il progresso (?) e la civiltà (?), la religione (?) e l’ideale (?), hanno chiuso la vita in un cerchio mortale ove i fantasmi più biechi hanno eretto il loro viscido regno.
È ora di finirla! Bisogna spezzare violentemente il cerchio ed uscire. Se le chimere delle leggende divine hanno influenzato terribilmente la storia umana e se la storia umana vuole la mutilazione dell’uomo istintivo-reale per seguire il suo corso: noi ci ribelliamo!
Non è nostra colpa se dalle simboliche piaghe di Cristo sono sprizzate delle purulente goccie di materia sul rosso disco dell’umanità, per poi generare su questa l’infettante marciume civile che proclamò i diritti dell’uomo. Se gli uomini vogliono marcire nelle sistematiche caverne della putrefazione sociale si accomodino pure. Non saremo noi a liberarli! Ma noi amiamo il Sole e vogliamo contorcerci liberamente nello spasimo del suo caldo e violentissimo bacio.
***
Se mi guardo attorno mi vien voglia di vomitare. Da una parte lo scienziato a cui devo credere per non essere ignorante. Dall’altra il moralista e il filosofo dei quali devo accettare i comandamenti per non essere un bruto. Poi viene il Genio che devo glorificare e l’eroe innanzi al quale devo inchinarmi commosso.
Poi viene il compagno e l’amico, l’idealista e il materialista, l’ateo e il credente e tutta un’altra infinità di scimmie definite e indefinite che vogliono darmi i loro buoni consigli e mettermi, finalmente, sulla buona via. Perché - naturalmente - quella su cui cammino io è una via sbagliata, come sbagliate sono le mie idee, il mio pensiero, il mio tutto.
Io sono un uomo sbagliato. Essi - poveri pazzi - sono tutti pervasi dall’idea che la vita li abbia chiamati ad essere sacerdoti officianti sull’altare delle più grandi missioni, poiché l’umanità è chiamata a dei grandi destini... Questi poveri e compassionevoli animali deturpati da bugiardi ideali e trasfigurati dalla pazzia, non hanno mai potuto comprendere il miracolo tragico e giocondo della vita, come non hanno potuto accorgersi mai che l’umanità non è affatto chiamata da nessun grande destino. Se qualche cosa avessero compreso di tutto ciò, avrebbero almeno imparato che i cosiddetti loro simili non hanno voglia affatto di rompersi l’osso spinale per cavalcare l’abisso che l’uno dall’altro separa.
Ma io sono quel che sono, non importa cosa.
E il gracidare di queste multicolori cornacchie altro non serve che a rallegrare la mia nobile e personale saggezza. Non udite, o scimmie apostoliche dell’umanità e del divenire sociale, qualche cosa che romba al di sopra dei vostri fantasmi?
Udite, udite! È lo scrosciare saettante delle mie furibonde risate, che su, nell’alto rimbomba!
IL SOGNO DELLA MIA ADOLESCENZA
(con
pseud. di Sibilla Vane, da «Vertice», La Spezia, 21 aprile 1921)
***
Che la saggezza dei putrefatti imbelli non sogghigni e né si scandalizzi l’idiota castità delle signorine per bene.
Io sono un’adolescente precoce che dopo un lungo viaggio compiuto attraverso i labirinti fosforescenti delle più paurose profondità risalgo sul vertice per cantare nel sole la sacrilega e superba canzone della mia ancor giovane e pur così libera vita.
Qualcuno mi ha detto: “Tu sarai donna, poi sposa, poi madre!...”
Io ho risposto, con una domanda, così: Che cosa vuol dire donna, sposa e madre? Non dirò qui che cosa mi fu risposto; solo so che a pensarci rido, sì rido ancora. L’Amore inteso come una missione!? La donna sposa e madre? No, no, no! Io non sarò sposa, io non sarò madre! La mia rivolta non si può fermare a metà e né prendere cantonate. La mia rivolta - oltre alla famiglia - lancia pure i suoi dardi contro la natura. Io non voglio essere sposa, io non voglio essere madre. No, no, no!
***
Ieri sera mi sono spogliata nuda innanzi allo specchio e mi sono lungamente guardata. Ho veduto il mio corpo di carne avvolto in un’onda di luce che aveva dei piccoli fremiti. Non so bene il perché ma mi sono adorata...
Le turgide mammelle mi si ergevano superbe sul seno, tesoro di lattea bianchezza. Il mio ventre liscio e tondo mi dava l’impressione di essere un qualche cosa di modellato sull’avorio più fine dalla mano miracolosa di un artista divino. Avevo le bionde anella delle chiome discinte nella curva rotondità delle spalle e gli occhi dalle umide palpebre lievemente cerchiati di violetta e di nero. La peluria coronante la bassa concavità del mio ventre, mi parve un’ala d’oro sul dorso sacro degli angeli del cielo. La mia bocca rossa mi sembrava una melograna matura, aperta alle bionde carezze del sole.
Mi sono avvicinata allo specchio ed ho baciato con voluttà le mie labbra riflesse...
Non so se ho mai desiderato qualcosa con più intensità nella vita quando ieri sera ho desiderato di essere un uomo io stessa per rovesciare sul letto quel bianco corpo di vergine che il mistero nel terso specchio mostravami.
Ma l’idea dell’amplesso mi generò un’altra idea. Ogni causa ha un effetto...
Mi sdraiai supina sul letto. Mi martellavano le tempie. Il sangue mi scoppiava nelle vene. Forse ho delirato...
So che avevo gli occhi chiusi e non vedevo che tenebra. Ma fra la tenebra ho veduto un altro specchio. Quello dell’immaginazione che mostrava la realtà. Mi sono guardata. Ho veduto il mio bel ventre tondo e smaltato spaventosamente rigonfio, con nel centro una riga simmetrica d’un colore nero-giallo, che mi ha dato la viscida impressione di una piccola biscia distesa sopra un sacco ripieno di grossa erba appassita.
Poi anche le mie mammelle bianche e superbe le ho vedute infloscite ed avvizzite... Ero madre!
Un odioso marmocchio succhiava avidamente il mio sangue, sciupava la mia giovinezza, distruggeva spietatamente la mia divina bellezza che avrei voluta immortale.
Il desiderio di ieri sera è passato, ma l’incubo è rimasto.
Madre... Che cosa vuol dire tutto ciò? Dare figli alla specie, altri schiavi alla società, altri derelitti al dolore...
Sono dunque queste le mete dell’Amore?
Ah, vecchie stregonerie della morale, vecchie menzogne di questa vecchia umanità.
No, io non sarò mai sposa di nessuno, io non darò nessun figlio alla specie. Mai!
La vita è dolore, l’umanità è menzogna. Chi accetta di perpetuare la specie è un nemico della bellezza pura.
L’umanità è una razza che deve SCOMPARIRE!
L’Individualismo deve uccidere la società, il piacere deve strangolare il dolore. Che il pianto ed il dolore muoiano affogati in un’orgia finale di gioia. Datevi alla pazza gioia del vivere voi che amate la vita, voi che amate la fine...
Che deve importare l’avvenire? Che può importarvi la specie?
Orsù voi che vi siete scoperti, facciamo del mondo una festa e della vita un’orgia crepuscolare d’amore. Per coloro che vengono dagli abissi della sociale menzogna ove stanno abbarbicate le radici dell’umano dolore, la gioia deve essere un fine ed il fine la meta suprema.
Io non voglio un figlio che sciupi la mia bellezza, che avvizzisca la mia giovinezza.
Io non voglio una famiglia che costringa la mia libertà; io non voglio un marito insipido, geloso e brutale, che, in ricompensa di un tozzo di pane, impedisca all’anima mia i lirici voli attraverso le più divine e peccaminose follie della lussuria e della voluttà che alla carne danno i molteplici amori.
Io non amo i mariti e forse neppure gli amanti.
Ma l’amore è un fiore che germina sulla bocca degli uomini.
Quando io mi avvicinerò alla loro bocca per cogliere il fiore perverso dell’Amore, solo lo farò per l’amore mio. Amare gli altri è sempre superfluo e qualche volta è stolto. Basta amare se stessi. Basta sapersi amare. Ed io mi saprò amare tanto, tanto!
Mi amerò nuda innanzi allo specchio nella sera, mi adorerò nuda nella vasca da bagno nel mattino, mi inebrierò nuda fra le braccia degli amanti.
L’umanità cammina sulle vie del dolore per perpetuarsi, io m’incammino sulle vie del piacere perché cerco la fine.
***
Io cammino verso l’oriente, io cammino verso l’occidente. Io voglio camminare per le vie del mondo per cogliere i fiori dell’amore, della gioia e della libertà.
Amo le calze di seta nera e color carne. Mutande di seta bianca e seta rosa. Scarpe di caucciù e stoffe raffinate. Bagno d’acqua acetosa e di colonia, profumo di Cotty e fasci di rose.
Io voglio camminare per le vie del mondo per cogliere i fiori dell’amore, della gioia e della libertà.
Stroncherò le fronde dei tigli, coglierò bombole di ortensia, grappoli di glicine e fiori di oleandri per preparare al mio amore letti profumati.
E sarò l’amante dei vagabondi e dei ladri. E sarò l’ideale dei poeti.
Perché io non voglio dare nulla alla patria, alla specie ed all’umanità.
Io voglio ubbriacarmi alla sorgente del piacere, della lussuria e della voluttà. Io voglio ardermi tutta sul rogo dell’amore. Non voglio essere madre, non voglio essere sposa. No, no, no!
Letti profumati, baci di amanti e musica di pazzi violini. Danze e canzoni.
Lo so. Mi chiamerete pazza e perversa. Mi chiamerete p...
Ma son vecchi nomi impotenti che non mi commuovono più.
Sono l’adolescente precoce che, dopo aver vagato nei più paurosi abissi della profondità, rimbalzo sul vertice per cantare nel sole la sacrilega canzone della mia libera vita.
Vita di bellezza e di forza, vita di arte e di amore, sorgente del peccato divino, zampillanti nell’oasi sacra della voluttà. Basta ora con le epilettiche frenesie dello spirito.
Nulla di più del mio giovane corpo appartiene alla pagana bellezza.
LA MISTERIOSA
(con pseud. di Mario
Ferrento, da «Vertice», La Spezia, 21 aprile 1921)
Ci incontrammo sulla riva di un fiume in un caldo meriggio di agosto. Mi guardò, la guardai...
Dalla sua carne bianca e odorosa si sprigionava il sensuale profumo di tutti i fiori festanti e dai suoi occhi emanava tutta la divina luce del sole.
Nelle sue vene azzurre scorreva, caldo e fecondo, tutto il sangue umano ed il palpito possente del suo grande cuore era l’enorme palpito di tutto l’Universo.
Nell’anima sua vi erano abissi paurosi contenenti tutta la tenebra popolata di spiriti spettrali della negazione, e tutti i culmini abitati dai radiosi spiriti di tutte le luci dell’affermazione.
Ella simboleggiava l’infinito ed il finito, l’enigma e la verità, il rivelato e l’ignoto, la sfinge e il mistero...
Io non vidi mai figura più perfetta di zingara vagabonda e senza alcuna mèta.
Mi disse: “Sì, sì, lo comprendo quel folgorante punto interrogativo che brilla così stranamente nelle tue pupille come un diamante dalle virtù malefiche incastonato in un anello d’oro. Sì, sì, lo comprendo!...”
Tu mi vuoi dire: “Noi ci siamo già veduti una volta...”?
“Infatti...” Ma ella non mi lasciò finire. Mi troncò - con un grido - la parola a metà e “taci, taci” mi disse.
“Non mi parlare di ciò che sai, non mi parlare di ciò che sai, non mi parlare di ciò che fu...” E continuò: “Del resto avvenne a te quello che avvenne anche alla quasi totalità degli uomini. Tu non mi avesti che in sogno e molto deformata!
Storia volgare dunque quella del nostro amore. Ma ora non più sogni ... non più volgarità!
Guardami! non sono la solita chimera, la solita creatura dei sogni. No! Sono proprio io che ti parlo ora. Guardami negli occhi!... Vedi di quale luce infernale brillano le mie pupille sataniche? Senti quale alito perverso sprigiona dalle mie vergini labbra? Odi quale musica strana compongono i ritmici battiti del mio enorme cuore? Ed il folle tremendo mistero di questa paurosa anima mia lo comprendi?”
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Ero disorientato. Credevo che qualche eccesso di delirio o qualche ondata di gioia mi avessero dato l’allucinazione.
Distolsi i miei occhi dagli occhi di lei e guardai le acque del fiume che scorrevano maestosamente nella concavità del loro letto silente come liquido di purissimo argento.
Fra i verdi cespugli d’erba popolanti la riva, delle piccole striscie di ombra giocavano a rincorrersi - fra le danze leggere del vento - con delle sottili scaglie di sole.
La domestica campagna e la selvaggia foresta intrecciavano - poco lontano - i cori maestosi e festanti delle loro superbe canzoni.
Ella - la Misteriosa - continuò a parlarmi così: “Io ti ho veduto pallido e triste, ma con la pupilla divinata ed irradiata dalla speranza, scendere nei più profondi labirinti dell’umano dolore per raccogliere qualche gemma preziosa, dispersa fra le scorie di antiche miniere scavate nella groppa del tempo da antichi minatori.
Ma ogni pietra raccolta ti sanguinò le mani ed ogni vulnerata caverna ti mostrò la mostruosa faccia del Dubbio fra le fauci del quale la tua anima fu stretta come da un morso atroce.
Pensavi: - E se la pietra raccolta fosse falsa? e se le fatiche mie fossero vane? - Ma quando poi scoprivi il radioso brillare di un’altra gemma, nascosta fra le inutili scorie, subito ti riassaliva la gioia del lavoro con le sue mille svariate frenesie, e febbrilmente scavavi, innoncurante del sudore che ti bagnava la fronte e del sangue che ti sgorgava dal cuore. E quando sull’altare della pagana anima tu avevi deposto tutte le preziose pietre dell’antico sapere, spalancavi le ali del nuovo pensiero per volare sul culmine dell’ideale per dissetarti alle pure sorgenti della fede.
Ma quando sedevi sull’assolato culmine, soddisfatto delle tue grandi conquiste, ecco che le furie del dubbio chiamavano a raccolta i neri demoni della malinconia per dare la scalata alla montagna ed assalirti nel tuo sacro eremo.
Allora ti accorgevi di non aver trovato la via luminosa della vera pace e le tue pupille, fosche e smarrite, si fissavano intensamente nel vuoto.
Ah, sì! Tu cercavi la VIA povero pazzo. Ma la via non c’era...
Ci sono molte vie ma non l’unica via! E l’unica via eri tu. Tu con tutti i tuoi grandi difetti e le tue grandi virtù.
Ma tu non ti vedesti... Fosti uno scopritore di mondi ignorati ma tu non ti scopristi. Tu che di tutti i mondi eri il centro animatore.
Tu non fosti mai il grande solitario monologico, dimentico del mondo, e di te stesso Dio e contemplatore.
Io ho veduto i materialisti strisciare con il ventre a terra come dei neri rettili, e gli spiritualisti (idealisti) volare, trasportati e vuoti come delle miserabili perfezioni disseccate. E dietro di loro ho vedute le lunghe coorti dei mistici e le infinite teorie degli asceti, vagare - poveri pazzi - alla ricerca di leggi esteriori da servire in una chiavica umida e muffosa di teoria e ombrata di fede, entro la quale incanalare la loro inutile vita di ossessi!
L’uomo - anche colui che porta nel pugno il labaro della Libertà - cerca sempre la schiavitù nella vita.
Nessuno vuole persuadersi d’una verità che nega ogni “sistema”, ogni “regola”, ogni “forma”.
Anche i libertari cercano il sistema, la regola, la forma...
Cercano la teoria svirilizzante e la fede omicida. Prova dire a costoro: né “regole” né “forme” e né “sistemi”, ma Brividi e Fremiti, Sensività e Intuizione, Lirismo e Immaginazione, Forza e Fantasia ed essi ti diranno: “Ben altro ci vuole per la Società, ben altro ci vuole per l’Umanità!”
La Società e l’Umanità sono l’incubo degli ossessi! E questo incubo tormentatore della Società e del “Ci vuole...” crea le oscure falangi dei pessimisti che tutto vedono nero e quelle degli ottimisti che tutto vedono rosso.
Il mondo è - per se stesso - la stessa cosa di tutti. Ma gli scettici non credono e i religiosi adorano. Ma gli uni e gli altri si ostinano rabbiosamente a condannare colui che sa essere religioso e ateo, santo e peccatore, scettico e credente, ribelle e dominatore proprio al medesimo tempo. E questo semplicemente perché nessuno vuole comprendere che l’essere è un tutto nel tutto e non una particella infinitesimale dell’universo o una rotella microscopica della macchina umana. Ed anche tu - mio povero pazzo - cercavi una via, un orizzonte, un “là” alla tua vita. Ma al vagabondo dello spirito tutte le vie sono aperte, come per l’iconoclasta ogni tempio è vulnerabile ed all’Eroe possibile ogni mèta.
Non c’è una VIA ma vi sono tutte le VIE.
Non c’è una Verità ma vi sono tutte le Verità.
Non c’è il diritto ma la Forza.
Non c’è la legge ma il libero arbitrio.
Non esiste la Giustizia ma l’Ingiustizia.
Non esiste ciò che si chiama Amore ma bensì l’Egoismo.
Ogni coerenza teoretica è mutilazione vitale e la vera logica è l’illogicità. Ogni uomo che segue una via con gli occhi fissi a una mèta è sempre in compagnia del rimorso come colui che giurando trova sempre il rimpianto.
Solo colui che cammina su tutte le vie con l’occhio fisso nel disco del suo mondo interiore può essere il signore della serenità e il Dio della pace felice”.
Qui la Misteriosa ebbe una pausa. Girò lo sguardo intorno. Guardò il bel sole, il fiume cristallino e la festante foresta. Cantò un inno ateo alla solitudine che non ha testimoni. Poi mi disse allegramente: “Sì, io sono tua, tutta tua. È questo il luogo in cui tu devi prendermi”. E così dicendomi si tramutò sotto le forme di un’ombra ed avvicinandomi mi compenetrò. Da quel giorno io sono il corpo di lei poiché Ella altro non è se non l’Anima mia.
1
PARTE III
BALLATA CREPUSCOLARE
preludio sinfonico di «DINAMITE»
*
Questa è l’ora dei miei foschi pensieri.
Il mio Demonio dorme.
Dorme nel crepuscolo cupo
di quest’anima mia
il rosso Demonio
della mia infernale allegria.
Fumo...
Fumo disperatamente,
intensamente. Sempre!
Sempre! Sempre! Sempre!
Vorrei pensare, scrivere, cantare...
Ma il mio Demonio dorme.
Dorme nel crepuscolo cupo
di quest’anima mia
il rosso Demonio
della mia infernale allegria.
E i pensieri non vengono...
Il riso e la maledizione neppure!
È questa la mia ora nera
di melanconia nera!
*
Guardo, distrattamente, la mia sigaretta.
Esile, pallida e calda
come un’amante malata.
La vedo consumarsi lentissimamente
come la mia vita e i miei sogni:
come la vita e i sogni di tutti i miei fratelli.
La cenere cadde a terra e si disperse. Così!
Il fumo s’innalza, denso e grigio, nell’aria
e si disperde pure. Così.
A me non rimane
che un po’ di nicotina gialla
sulle labbra amare. Così.
*
Il mio Demonio dorme.
Dorme nel crepuscolo cupo
di quest’anima mia
il rosso Demonio
della mia infernale allegria.
Guardo il Sole!
Lo vedo tramontare fra i gorghi biondi
d’un bel mare d’oro.
D’oro e di sangue...
Ma il mio cuore è morso.
Morso da un freddo pianto
senza speranze e lacrime,
senza odio e senza amore.
Oh, potessi almeno piangere...
potessi almeno imprecare...
Ma, no!
No! No! No!
*
Chi?
Chi mai dunque mi ha fatto tanto male?
Chi è il malefico artefice
di questo mio soffrire?
Ahi madre... madre mia...
Se ancora avessi la forza
di poterti almeno maledire...
Ma, no!
No! No! No!
Eppure sei tu - solo tu! -
che mi hai dato la vita,
che mi hai dato il dolore,
che mi hai dato il Male!
Ma dimmi:
Credevi tu forse nella gioia di vivere?
Sono io dunque il figlio d’un tal sogno grottesco?
O pure sono un volgarissimo figlio
della comune incoscienza?
Ma perché dunque o madre,
non avesti
- quel giorno -
l’ispirazione eroica di battere
VIOLENTEMENTE
il tuo gonfio ventre
sopra una dura pietra. Così!
Perché io non avrei voluto vederlo
il Sole.
Perché io non l’avrei voluta
questa miserabile vita.
Perché io soffro tanto, così...
O Madre, piangi?
E perché?
Senti forse il rimorso
di avermi creato?
Immagini forse il male
che mi travaglia e mi spezza
terribilmente così?
Oh, avessi almeno la forza
di poterti ancora maledire...
Ma, no!
No! No! No!
Sono troppo vile!
*
Il fiume scorre e canta...
(il bel fiume tranquillo e ridente)
Scorre sul suo fine letto
di molle arena
e le sue bianche schiume
son trapunte d’oro.
La scogliera titanica
lava i suoi granitici fianchi
nelle acque tue terse
- o fiume solitario -
guardo le foglie verdi
che, ricamate d’ombra e di luce,
il vento accarezza. Così!
Guardo. Penso e ricordo...
Ma la mia anima è cupa
e, tutto intorno a me,
piange la sera. Nera.
Io non amo più.
Io più non credo!
*
Chi?
Chi mai dunque mi ha fatto tanto male?
Le donne e l’amore?
Gli uomini e l’amicizia?
La società e la sua legge?
L’umanità e la sua fede?
Forse tutti!
Forse nessuno!
Non so...
Mi sento tanto male...
Tanto! Tanto! Tanto!
Qui... nell’anima!
*
Il mio Demonio dorme...
Dorme nel crepuscolo cupo
di quest’anima mia...
Quanto sono triste...
*
Vorrei dei nuovi amici.
Dei veri nuovi amici.
Ho bisogno di confidare
(a qualcuno)
le mie nere malinconie.
Ma non ho amici
Sono solo!
Solo con le mie
MALINCONIE.
Solo con il mio Destino.
Solo, solo così!
*
Il mio Demonio dorme.
Il mio cervello è attraversato
da un Ricordo.
Ricordo d’un Sogno.
Sogno di giovinezza:
“Uomini forti e felici,
abbracciati, intrecciati
a nudi corpi di donne
belle, gioiose e felici,
festeggiate e glorificate
da bambini innocenti e felici.
Poi:
Fiori e sole.
Musiche e danze.
Stelle e poesie.
Canzoni e amore”.
*
Il mio Demonio dorme.
Il mio cervello è attraversato
dai bagliori giallognoli
neri e verdastri
della turpe realtà!
Della realtà che passa...
“Un impasto di bruti e di brute.
Un insieme di ipocrisia e d’ignoranza.
Una miscela di viltà e di menzogna.
Un tutto di sterco e di fango”.
Ah, no!
No! No! No!
Io soffro tanto!
Tanto! Tanto! Tanto!
*
Il sole è tramontato.
(il bel Sole d’oro)
Gli Angeli della sera
sono agonizzanti...
Le foglie verdi sono teschi di morte,
freddi, sghignazzanti...
Il fiume (il bel fiume terso)
è ora un serpente nero
paurosamente disteso
fra i massi della scogliera.
Tomba lugubre e muta.
Tomba lugubre e nera.
*
La mia sigaretta s’è spenta...
(la mia sigaretta pallida e calda
come un’amante malata)
La cenere s’è dispersa.
Il fumo pure.
A me non è rimasta che un poco
di nicotina gialla
sulle labbra amare:
come della vita e dei sogni. Così!
*
Entro il crepuscolo cupo
dell’anima mia
il mio rosso Demonio si desta.
Sento come un rivoletto di sangue amaro
scorrermi sulle labbra amare...
Ho un tragico presentimento...
Che avverrà nella notte?
Ma... le stelle
Oh, se potessi ancora una volta
ridere e maledire soltanto...
Ma vedo un lampo sinistro (un rogo?)
brillare nell’oscurità della notte.
Lo sento! Lo sento! Lo sento!
Io sono un astro che volge
Il testo è privo di data, ma dal percorso personale di Novatore, si può effettivamente attribuire all’ultimo periodo della sua vita, così come il figlio, avendolo collocato al termine di una serie di dattiloscritti, farebbe presumere. È una poesia amara, così come amara è stata la sua vita, ma in precedenza, l’amarezza diveniva forza, ribellione, bellezza. Qui, pare che prevalga il pensiero negativo. In ogni caso, l’imminenza della fine, lo spinge a pensare di dover agire, da solo: di compiere il GESTO, per il quale valga la pena di aspirare alla morte, di prepararsi ad essa [N.d.C.].