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IV.
È necessario toccar qualche cosa che alla storia di questo giovine si riferisce, innanzi di proseguire il nostro racconto.
Daniele, in tutto il tempo ch'era stato in casa di Giacomo lo stradiere, non si distingueva dagli altri figliuoli di questo dabben uomo, sì pei2 l'amore onde corrispondeva ai beneficii di quella famiglia, sì per pei modi rispettosi e umili, ch'ei teneva inverso Giacomo e la costui consorte; i quali siffattamente lo amavano, che a tutt'i vicini e agli amici soleano dire che Iddio avea mandato loro quel caro fanciullo in compenso3 dell'infelice Uccello, miseramente privo d'intendimento. Daniele era un giovinetto affettuoso benchè un poco troppo serio per la sua età, perciò che mai o rarissime volte si abbandonava ai giuochi e ai divertimenti degli altri figli di Giacomo; ei se ne stava in disparte e, mentre quelle creature baloccavansi in un modo o in un altro, egli avea paura di bruttarsi le vesti o le mani. Giacomo e la moglie queste tendenze così singolari in un fanciullo attribuivano ad una certa natural propensione ch'egli avesse per la nettezza e l'appariscenza della persona, mentre quelle altro non erano che un istinto di superiorità su gli altri fanciulli, i quali, non badando a tenersi puliti, meno belli di lui o meno decentemente si mostravano a coloro che venivano a far visita a Giacomo.
Questa tendenza che in sul principio pareva tanto innocente e commendevole, prese bentosto il suo vero aspetto allora che il fanciullo crebbe in età. Ben presto Giacomo discoprì nel trovatello un vizio radicale del cuore e si adoperò a correggerlo, a dirizzarlo a bene ma fu indarno: il vizio era nel sangue del fanciullo: quanto più egli diventava adulto e grandetto, tanto più in lui si appalesava la passione della vanità. Oltracciò, Daniele aveva un sentimento che molto si avvicinava all'odio per l'infelice Uccello: sentimento ch'ei non dissimulava ne' momenti in cui si trovava solo coll'idiota, però che non si facea scrupolo di beffarlo, di maltrattarlo con epiteti ingiuriosi, e sovente di batterlo. Il misero Uccello piangeva, ma non si arrischiava a dire al babbo il motivo del suo pianto, che se questo avesse fatto non gli mancavano altre più forti battiture, con cui quel cattivello di Daniele vendicavasi dei rimproveri che gli venivano da Giacomo.
Un fatto narreremo il quale, sebbene puerile, ebbe influenza grandissima nello sviluppo di quell'odio che Daniele nutriva per l'infelice Uccello.
Solevano que' fanciulli presso che in ogni sera sollazzarsi con qualcuno di quei giuochi infantili, di cui si conservano poscia gratissime ricordanze, tra i quali i più frequentemente messi in opera erano i giochi delle merenducce, della mosca cieca, del capo a nascondere, dei pilastri, del guancialino d'oro, delle capannelle, del buffetto ed altri consimili. La più grande ilarità soleva regnare tra quelle care ed innocenti creature. Il più delle volte Daniele non prendea parte a questi giuochi e si accontentava di starsene a rimirarli; ma tal volta, istigato dai suoi fratelli (così chiamavansi tra loro) e premurato dalla madre, il Contino (abbiam già detto perchè un tal nome fu posto a Daniele) degnavasi di onorare il giuoco colla sua presenza.
Un giorno, si scherzava alla mosca cieca. Furon tirate le sorti a chi dovea pel primo bendarsi gli occhi: toccò a Daniele: ciascuno, fuggendo, ruzzando, ridendo, il percuoteva con un fazzoletto, con uno sciugamano o con un altro panno avvolto... Daniele si voltava e rivoltava per acchiappar qualcuno, ma tutti se la sbiettavano con garbo, sicchè l'impazienza e il dispetto cominciavano a dominare nel Contino, allora che sentissi applicata in sulle spalle una violenta percossa accompagnata da uno scoppio di risa universale: era stato Uccello che avea fatto il colpo, e poscia, per non essere afferrato si era appiattato sotto un tavolino. Ma alle grida di viva Uccello, Daniele avea conosciuto chi lo avea colpito sì fortemente e, pensando quegli averlo fatto per istizza o per malvagità, fu preso da tanta rabbia e da tanta sete di vendetta, che tra sè deliberò di avernelo a far pentire se gli venisse sotto.
Era Uccello che aveva fatto il colpo, e poscia, per non essere atterrato, si era appiattato sotto un tavolino
Perchè, studiata ben la posizione e dissimulando il meglio che seppe, si pose freddamente a girar per la stanza, poi che con destro movimento ebbesi cacciata un poco più su degli occhi la benda che gli nascondeva i suoi avversari. Non andò guari, ch'essendo tornato in giuoco Uccello, fu preso di mira dal perfido Daniele, il quale, acchiappatolo tra le risa degli altri e tra le baie che si davano all'inesperto, lo stramazzò al suolo e con pugni e calci così fattamente il rendette malconcio che in copia usciva al miserello il sangue dal naso e dalla bocca. Il giuoco ebbe termine: Lucia e Marietta cercarono di occultare il misfatto, ma accorsi alle strida Giacomo e la moglie, Giuseppe fu sollecito di narrar loro l'accaduto. Giacomo rimase stupefatto e addolorato di tanta malvagia indole del trovatello, e per castigarlo, non gli fece per qualche tempo abiti nuovi, tremendo castigo per quell'indole vana e orgogliosa.
Daniele rimase così vulnerato della punizione inflittagli, che il suo carattere ne addivenne più cupo, e più duro il suo cuore. D'allora in poi più non rivolse la parola ad Uccello, pel quale se gli erano accresciuti l'antipatia e l'odio.
Intanto ei diveniva grandetto; era già arrivato al tredicesimo anno, allora che Giacomo, accortosi dell'estrema inclinazione e attitudine che il giovinetto appalesava per la musica, il pose a studiare quest'arte con un suo parente. Questi ebbe ben per tempo posto amore addosso al giovinetto, poi che scorto ebbe in lui un vero genio e rarissimo. La natura lo avea chiamato alla musica. Stranezza incomprensibile! Quest'arte, che richiede sensibilità, tempera di animo affettuosa e soave, era attecchita in un cuore mal formato e proclive alla più triste passione.
Gli elogi che il giovinetto Daniele riportava, dovunque facevasi udire a suonare il piano-forte, il suo contegno nobile e altero, quella sostenutezza di modi e di linguaggio, sì poco in armonia col suo stato e colla sua origine, ed anche quei suoi occhi malinconici, ma espressivi e intelligenti, gittarono a poco a poco nel cuore di Lucia i germi di una passione che si fece gigante. Daniele si avvide prestissimo dell'amore di Lucia, e la sua vanità ne fu lusingata e soddisfatta: egli non le corrispose per amore, ma per compiacenza di se medesimo, per talento di tiranneggiare una creatura a lui sottoposta, per desiderio di dominio. E s'infinse così bene, e simulò tanto la passione, che l'innocente donzella il credette innamorato morto, siccome il credette Giacomo in appresso.
Lucia era tutt'altra; la sua adolescenza e il suo amore l'avevano trasformata: di quindici in sedici anni essa era sì malinconica, sì appassionata e sensitiva, che il padre, avveggendosi esser cagione di tanta malinconia la passione che già la struggeva, stimò conveniente di allontanare Daniele dalla famiglia. Oltracciò, morta la cara sua moglie, chi poteva oggimai guardar l'innocenza di Lucia? Onde estimò necessario di rimuovere ogni cagione, e partirsi dal giovinetto, il quale, dal canto suo, mal sembrava portare la dimora dello stradiere, essendosegli accresciuti nell'animo la vanità e il desiderio di esser distinto.
Giacomo iva da qualche tempo pensando al modo come provvedere all'esistenza di Daniele, allora che lo avrebbe allontanato dalla sua famiglia, quando uno strano avvenimento venne a troncare ogni dubbiezza ed ogni imbarazzo.
Un bel mattino, si presentò in casa di Fritzheim un giovine di bell'aspetto e di belle maniere, decentemente vestito, il quale con accento straniero ma in buono italiano, dimandò di parlare al padrone della casa.
— Siete voi il signor Giacomo Fritzheim? chiese poscia cha questi se gli fu presentato.
— Per lo appunto, rispose lo stradiere, in che posso servirla?
— Non avete voi, molti anni fa, raccolto nel bosco della Sila un fanciullo che ivi era abbandonato e moriente?
Giacomo restò interdetto; guardò con attenzione la persona che gli avea fatta quella inattesa interrogazione e cercò d'indovinare se colui che gli parlava potesse essere il padre di Daniele; ma quell'uomo non sembrava aver passato i trent'anni; era dunque impossibile che fosse il padre di Daniele, che avea già diciotto anni compiti; per lo che rispose:
— Sì, signore, sono io a cui la Provvidenza volle concedere la grazia di salvare un'innocente creatura, ed arricchire la mia famiglia di un altro figlio.
— Mi giova conoscere con precisione l'epoca in cui avvenne, disse quello straniero, il quale avea nella mano una carta su cui sovente gittava gli occhi.
— Io non so, signore, rispose l'onesto gabelliere, quale interesse possiate avere nell'indagare un fatto sul quale io non dovrei dare ragguagli che ad un'autorità riconosciuta; ma qualunque sia la cagione che vi muove, vi avverto che nessuno al mondo potrà strappare dal mio fianco un giovinetto sul quale vanto ormai i diritti di padre.
— Non dubitate, sig. Fritzheim; ben lungi dal farvi del male o dallo svellere dal fianco vostro il giovane, che forma l'oggetto delle mie investigazioni, io son venuto per più bell'opera. Piacciavi di rispondere, senza tema, alle mie domande. In che anno e in che giorno trovaste voi nelle boscaglie della Sila il fanciullo?
— Nella notte del 24 gennaio 1809, rispose Giacomo.
L'incognito gittò novellamente lo sguardo in sulla carta che avea nelle mani, fece col capo un atto affermativo e di soddisfazione, indi proseguì:
— Sta bene: potreste ora indicarmi con precisione il sito preciso ove trovaste il bambino?
— Il trovai in una selva di abeti e di pini, sopra una larga felce, a qualche miglio da S. Vincenzo, e non molto lungi dal Neto.
Altra occhiata fu data da quell'uomo alla carta ed altro relativo! segno d'approvazione.
— Ricordate gli abiti che aveva addosso il bambino?
— Me li ricordo benissimo, poichè lì conservo ancora, soggiunse lo stradiere: vesticina di albagio color tabacco, calzoncini di panno turchino, calzarotti di cotone colorati, scarpine con becchetti senza laccetti, e berretto di castoro nero con tettino di cuoio.
— Perfettamente, ripigliò l'incognito col riso della gioia e della soddisfazione in sulle labbra: or non mi resta che farvi un'ultima interrogazione. Che nome disse di avere il bambino?
— Non ci occorre altro, è desso! Eccomi ora ad adempiere alla mia parte, sig. Fritzheim: questa è una polizza di duemila ducati ch'io sono incaricato di consegnarvi per ricompensa della vostra bell'opera e per le cure paterne di cui foste prodigo verso il fanciullo Daniele.
Ciò dicendo, l'incognito traeva dal taccuino una polizza sul Banco di Napoli, e la porgeva al gabelliere; ma questi si ritrasse indietro, e
— Chi v'incarica di ciò, o signore? dimandò stupefatto.
— Non posso dirlo; è questo un segreto che ho giurato di serbare.
— Suo padre o forse sua madre?
— Non posso rispondere, o signore....
— Ebbene, a chiunque v'incarica di ciò, signore, voi risponderete ch'io ho ricusato di prender questo danaro; un padre non si fa pagare delle cure ch'ei prodigalizza a suo figlio, e padre io mi estimo inverso Daniele. Io son povero, signore, ma non mi avvilisco a ricever guiderdoni da una incognita mano e per un'opera onde io risento la più cara soddisfazione dell'anima mia.
L'incognito non credeva a' suoi orecchi; pareagli che lo stradiere non avesse parlato da senno, e tornò a dirgli:
— Sig. Fritzheim, questi duemila ducati sono vostri, interamente vostri; non vi si danno per compenso alcuno; voi seguirete ad essere il padre di Daniele; parmi che non vi sia ragione di ricusare.
— Ed io ripeto che non accetterò mai questo danaro; non l'accetterei neanche se mi venisse dalle mani medesime del padre di Daniele; pensate se voglio accettarlo da una mano che si nasconde.
— Ebbene, io vi ammiro, sig. Fritzheim: la rigida probità del vostro animo già mi era nota. Vi confesso nondimeno che un simile rifiuto è al disopra di ogni previsione; io però non insisterò più oltre, ma la mia commissione non si limita a questo, sig. Fritzheim, e questa volta vi avverto che un vostro, anche reciso, rifiuto sarebbe inutile.
— Di che si tratta ancora? dimandò Giacomo con leggiero aggrottar di ciglia.
— Si tratta che io sono incaricato di passare questa somma di duemila ducati a Daniele. Non si era preveduto il vostro rifiuto, sibbene il caso in cui non vi avessi trovato. E l'incognito face un gesto col quale intendeva dire: nel caso vi avessi trovato morto.
— La cosa è differente, disse Giacomo, non posso oppormi a tutto ciò che può contribuire alla felicità di Daniele.
— Lodato Iddio! esclamò l'incognito; compiacetevi di chiamare il vostro figlioccio Daniele.
Giacomo entrò nelle stanze contigue e poco stante tornava con Daniele.
Il giovine salutò col capo l'incognito; il quale rispose con bel garbo e guardandolo fissamente.
— Alla buon'ora! osservò tra sè l'incognito, eccone uno che gli rassomiglia! Bel giovanotto, voi siete nato sotto una buona stella; la fortuna vi arride; d'ora in poi non dovete pensare ad altro che a divertirvi.
— Come a dire? chiese il giovane estremamente maravigliato.
— Eccovi una polizza di ducati duemila; essa è vostra.
— Mia!! esclamò Daniele con gli occhi lampeggianti di gioia.
— Sì signore, vostra; questa polizza è pagabile al porgitore, e la firma è ben nota al Banco.
Daniele che aveva afferrato con avidità quel pezzo di carta che per lui era una fortuna enorme, gittò gli occhi sulla firma per conoscere il nome di colui che il rendea ricco.
Quella polizza avea sul dorso il nome di Maurizio Barkley.
— E questo nome, signore? dimandò Daniele.
— Non posso rispondere a nessuna vostra interrogazione, signor Daniele. Ma io non ho ancora finito di adempiere al mio incarico. Eccovi un altro polizzino di cinquanta ducati: ogni mese avrete una simil somma.
— Ogni mese! esclamò Daniele fuori di sè per la gioia.
— È singolare! soggiunse Giacomo, cui un tal mistero facea sempre più balestrare il cervello.
— E voi stesso verrete a portarmi in ogni fin di mese una polizza di cinquanta ducati? domandò Daniele.
— Io stesso, o un altro in vece mia.
Daniele gittò parimente gli occhi sul polizzino, e lo stesso nome Maurizio Barkley eravi scritto.
— Favoritemi una ricevuta, sig. Daniele. Per la prima volta il sig. Giacomo Fritzheim mi sarà garante della vostra firma....
Daniele firmò DANIELE FRITZHEIM.
Fa d'uopo notare che soltanto da poco tempo di poi che uscì dalla casa di Giacomo, Daniele si era dato il fittizio cognome di dei Rimini. Giacomo appose la sua firma sotto quella del giovine.
— Or non ci è bisogno di altro; son davvero contento di aver fatto la vostra conoscenza, signor Fritzheim; e la vostra benanche, bel giovinotto, a rivederci al mese venturo.
Il forestiere non diede il tempo a nissuno dei due di soggiungere una sola parola, e sparì senza lasciare un'orma sola d'investigazione.
È superfluo il dire che simile avvenimento cangiò al tutto lo stato di Daniele, il quale fece subitamente istanza di separarsi da Giacomo, sotto pretesto di dovere abitare nel centro della capitale por meglio darsi a' suoi studi musicali. Giacomo, benchè con estremo dolore, dovè acconsentire ad una tale separazione per le ragioni da noi dette più sopra e che ogni giorno si rendevano sempre più forti.
Daniele adunque si congedò un bel mattino da quella tenerissima famiglia. Rinunziamo a dipingere il dolore di Lucia nel dì che Daniele abbandonò quella casa. L'acerbezza del suo cordoglio non venne mitigata che dalla sua angelica rassegnazione a' voleri di suo padre, e dalla promessa fattale dal suo diletto di venire a trovarla ogni giorno.
Daniele, oggimai libero di sè medesimo, indipendente, e padrone di una somma che per lui era un principio di fortuna, tolse in fitto dapprima un quartierino alla strada Foria. In sulle prime ei tenne la sua parola, recandosi ogni giorno in casa di Giacomo; ma ogni dì crescea pure la sua vanità e il suo desiderio ardentissimo di divenir ricco; onde, ogni altra passione, ogni altro suo pensiero taceva nel suo animo sotto l'impero di quella sola dominante. Tuttochè l'incognito straniero non avesse giammai mancato di portare egli stesso, in ogni fine di mese, la polizza di ducati cinquanta al nostro Daniele questi spendea più che non comportassero le sue facoltà, epperò non bastandogli quella somma mensile ei si era dato alle lezioni di musica, le quali, in gran numero e di nobili famiglie i suoi numerosi amici procacciavangli.
Non tralasciamo di dire che il primo uso fatto da Daniele de' duemila ducati venutigli dal cielo, fu di ammobigliare con eleganza la sua casa e di comprare un cavallo: il tenere un cavallo era stato sempre uno dei sogni della sua vita.
Guari non andò e il giovin bellimbusto incominciò a trovar noioso e plebeo l'amore di Lucia, tanto che per avere un plausibile pretesto di porre qualche intervallo tra le sue visite, deliberò andarsene a dimorare alla riviera di Chiaia, anche perchè è questa la contrada ove maggiormente bazzica ed abita la nobiltà napolitana e massime gli stranieri. Questa ferita fu anche asprissima al cuor della misera figliuola di Giacomo, che pur sempre cotanto amava quell'ingrato; ma ella, buona sì, com'era indulgente e amorevole, si persuase che la sola necessità di meglio provvedere a' bisogni della vita avesse indotto Daniele ed allontanarsi tanto da lei. Ciò nulla manco, Daniele non lasciava mai passar due giorni di seguito senza tornare a S. Maria degli Angeli alle Croci: e questo confortava la miserella a sperare, tanto più ch'egli avea già promesso al padre d'impalmarla non sì tosto meglio si fosse dato a conoscere nella capitale. E quando gli si facea qualche premura di affrettarsi a sposare l'onesta e cara giovinetta, egli adduceva or la troppo giovanile sua età, ora i suoi studi che non gli permettevano pensare ad altro pel momento, or s'appigliava al partito di procastinar sempre sotto l'un pretesto o l'altro.
E ciò durava da varii anni, quando a troncare ogni dubbiezza, a infrangere ogni proponimento, ad allontanare per sempre il cuor di Daniele dalla famiglia Fritzheim, avvenne il caso della presentazione di lui qual maestro di piano-forte della nobile giovinetta spagnuola Emma, figliuola del duca di Gonzalvo.
Qui ci fermiamo bastandoci il già detto. Nel prosieguo di questa storia verremo allargandoci sul carattere di Emma, e sulla parte e sulla influenza funesta che questa donna si ebbe su gli avvenimenti che narriamo.