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PARTE II.
I.
Emma.
Lasciando per poco la sventurata famiglia dello stradiere, inoltriamoci in quella vita rumorosa, gaia, splendida di movimento, di cerimonie, di convenienze e di piaceri che si addimanda la vita del gran mondo.
Che cosa è la vita del gran mondo? È un circolo matematico dentro il quale si aggira quella porzione della Società che sembra straniera al retaggio di miserie lasciato all'uman genere dalla colpa de' primi genitori. In questo circolo segnato dalla verga di quella fata che ha nome civiltà non è ammesso chiunque è sottoposto alla dura legge del lavoro, perciocchè la sola fatica che vi si sopporta, che vi si tollera, è il piacere. Fiori, profumi, dolcezze, canti, seta, oro, squisitezze di ogni maniera, allettamenti di ogni sorta sono gli elementi vitali dell'atmosfera di questa vita del gran mondo, siccome l'azoto e l'ossigeno sono gli elementi respirabili della vita comune. Qui nulla troverete che non sia strettamente sottoposto a un codice severo che ha un milione di leggi ignote al volgo, e che costituisce in gran parte la scienza della vita del gran mondo; qui il linguaggio non ha niente di comune con le ordinarie favelle; tutto riceve denominazioni particolari, epiteti aggiunti di nuovo conio: tutto in somma portar deve l'approvazione e l'impronta di quella dispotica dea del gran mondo che si chiama la Moda.
Non si dimanda se in Napoli, in questa regina del Mediterraneo, in questa incantevole villa del mondo, dove tutto respira il piacere, dove l'aria è profumo, dove il cielo è un sorriso, dove l'inverno è la stagion dei fiori, dove ogni voce è un canto, e ogni canto un'armonia, non si dimanda se in Napoli la vita del gran mondo è brillante e animata al pari di quella delle altre capitali di Europa. Aggiungi che la nobiltà napoletana alla perfetta cognizione delle leggi dell'alta società accoppia un gusto squisitissimo per le lettere e per le arti, che essa coltiva ed incoraggia splendidamente: e questo delicato gusto per le arti ravvicina l'aristocrazia del merito a quella della nascita e delle ricchezze, sì che le porte dorate dei salotti dei grandi non sono chiuse all'artista, che si ebbe in retaggio l'ispirazione ed il genio. D'altra parte, la vita del gran mondo è dappertutto la stessa; le sue leggi, i suoi usi, i suoi pregiudizi sono dappertutto presso che i medesimi in Europa.
La casa del Duca di Gonzalvo era nell'anno 1826 la più rinomata per isplendidezza di servizio, per eleganza e pel fasto del suo trattamento, per le persone che la frequentavano.
Il duca di Gonzalvo, discendente d'illustre lignaggio e di una delle primarie famiglie nobili di Andalusia, abitava da parecchi anni in Napoli. Egli era stato per molto tempo governatore o capo politico di quella bella provincia delle Spagne, quando la rivoluzione dei 1820 il toglieva da quel posto eminente, accusandolo di troppo attaccamento ai principi della pura monarchia e alle gloriose tradizioni di quel governo che per tanti secoli avea formato la grandezza, la felicità e la possanza dell'iberica penisola e dei suoi estesi domini transatlanti. Il Duca di Gonzalvo, sbalzato dal potere, e già tristo per gravissima sventura di famiglia, non soffrì più rimanere in un paese, nel quale infinite ed amare memorie lo avrebbero assalito a ogni momento: ondechè fermò di abbandonare la Spagna, e trasferirsi colla famiglia a Napoli, dove risiedevano alcuni suoi larghi parenti, e dove l'amenità del clima, la salubrità dell'aria e la bontà degli abitanti lo invitavano a stabilirsi.
Il Duca di Gonzalvo era un uomo in su i cinquant'anni, ma non ne addimostrava più di quaranta, sendone la persona alta, complessa e ben formata: i capegli eran tuttavia nerissimi e ricciuti siccome i baffi e il pizzo ch'ei portava lunghissimi e puntuti alla maniera spagnuola. La sua carnagione era bruna, belle le fattezze del volto; e la sua andatura avea qualche cosa di maestoso e d'autorevole. Sempre serio, misurato e cerimonioso era il suo linguaggio, in cui nondimeno trapelava sempre quell'alterigia, che forma il fondo del carattere spagnuolo.
Gli avvenimenti politici del suo paese non meno che le disgrazie della sua famiglia aveano lasciato nel suo temperamento una certa irascibilità, per cui sovente era soggetto a moti irrefrenabili d'ira: allora quel suo bruno volto diveniva di brace, que' suoi occhi neri schizzavano fuoco, e quell'uomo avea tutta l'ardenza della giovinezza congiunta alla forza della virilità.
La famiglia del Daca di Gonzalvo si componea della moglie; donna di cuore compassionevole a' miseri, ma estremamente altiera e superba in capitolo della nobiltà. Questa aveva ereditato dal padre ingenti ricchezze e possessioni senza fine, di cui gran parte avea formato la sua dote: il superbo castello moresco di Santiago nell'Andalusia era propietà di lei co' titoli e privilegi annessi. La Señora Duquesa Isabel de Gonzalvo y Monreal-Santiago avea toccato i 55 anni. Sebbene macerata dal cordoglio di veder tolto dal potere il consorte, ella potea dirsi ancora bella, essendosi la sua capellatura conservata ancora intatta dalle ingiurie del tempo, i suoi occhi non avendo affatto perduta quella vivacità e quella espressione che avevano tanti cuori umiliato.
Or tutto l'orgoglio di questa donna era riposto nell'unica figliuola, erede d'immense dovizie, in Emma, bellezza singolare, di cui ci studieremo di adombrare, per quanto e possibile, il ritratto.
Questa giovinetta, cui vent'anni appena infioravano la vita, era una di quelle bellezze che non si trovano tranne che sotto il cielo della Spagna, ed in ispecialità nell'Andalusia; bellezze vigorose, spiranti tempestose passioni, bellezze che sconvolgono subitamente la ragione a chiunque per la prima fiata le contempli: l'incanto è negli occhi loro; fiamme d'amore son le loro labbra; il comando è stampato sulla loro fronte.
Come faremo a dipingere Emma colle parole ordinarie? In quale lingua troveremo le immagini equivalenti per farla raffigurare ai nostri lettori? Oh se eglino la vedessero siccome la veggiamo noi! Ci sentiamo palpitare il cuore in parlandone, tremar la penna scrivendone, e vorremmo che le febbrili sensazioni che l'immagine di questa donna ci ridesta, passassero tutte quante ne' nostri lettori, per vie più svegliare in essi la simpatia per questo personaggio della nostra storia.
Emma era il tipo della bellezza andalusa: carnagione e colori di miniatura, occhi di lustrino splendidissimo, sguardo elettrico, sopracciglia di velluto, labbra alquanto larghette, bottoni di rosa orientale, denti di una bianchezza abbagliante, sorriso di baiadera, lunghe le chiome e di un ebano fulgidissimo, cui ella solea portare divise e scinte dietro gli orecchi, ovvero raggomitolate in grandi giri sulla coppa del capo.
Ma siffatti particolari del volto di Emma erano un nulla a paragone delle fattezze del suo corpo, modello di grazia, di avvenenza, di proporzioni; era nel complesso delle sue fattezze qualche cosa che sospingeva a riguardarla in estasi di simpatia. Se ella affisava qualcuno, lo sguardo di lei lasciava un incendio nel cervello di chi ella aveva guardato, siccome interviene allora che si dirizzano gli occhi al sole, che lascia nel capo del riguardante una confusione spaventevole di luce e di colori. Ella avea certe maniere di volgere il capo, di chinar le lunghe ciglia, di fissare obliquamente quegli occhi di odalisca, avea certe maniere di movimenti, di gesti, ch'erano una grazia singolare; ci era da smarrire il senno.
Qual era il carattere morale di questa donzella? Ah! Perchè non possiam dire di lei quel che dicevamo di Lucia, buona, semplice, modesta, riserbatissima con tutto che sensibilissima! Emma era nel morale quel che può essere una donna sì ben favorita dal cielo in dono di bellezza. Ella era così bella, così ricca, così giovane, fornita a dovizia degli appannaggi della più compiuta educazione! Quale altro sentimento potea dominare in lei, all'infuori d'un amore ardentissimo di sè medesima?
Farfalla dalle ali dorate, ella svolazzava libera, leggiera, spensierata e felice in sui fiori della vita, di cui non conosceva altro che le delizie e quella specie di languidezza che tien dietro a' piaceri.
Unica figliuola, ella era idolatrata da' suoi genitori, i quali non avevano altra volontà che la sua, altro amore che di lei, altri pensieri che per lei, di cui andavano superbi più che di tutte le loro ricchezze e possedimenti.
Le undici battevano ad un magnifico orologio da mensola, allora che Emma si alzava dal suo letto verginale.
Due bellissime stanze nel quartiere del palazzo S… erano destinate esclusivamente a lei: una serviva da camera da letto e l'altra per stanza di abbigliamento.
Due cameriere, una napolitana e l'altra francese, erano addette a servir lei particolarmente. Non trascuriamo di dire che Emma parlava colla stessa facilità lo spagnuolo, l'italiano e il francese; il suo accento straniero, la sua voce nervosa, il modo di parlare a tratti e con cadenze aveano tali incanti e tal prestigio che non si poteva ascoltarla senza esserne preso. In parlando l'italiano o il francese ella facea sentire quella graziosa lievissima sibilazione dei ce ci spagnuoli; il che aggiungea vaghezza estrema al suo discorso.
Ogni dì, non sì tosto svegliata e tuttora in letto, Emma tirava la cordicina di un campanello, e subitamente le si affacciava una delle due cameriere. La giovinetta si faceva dare i giornali di moda, i nuovi romanzi, le lettere delle sue amiche, la grammatica di lingua inglese ch'ella studiava, e mezz'ora o poco più trascorrer facea in simiglianti occupazioni.
Prima della colezione, ella andava ad abbracciare suo padre e sua madre, e dopo la musica assorbiva gran parte della sua mattinata.
Ella si era vestita con incantevole semplicità, e, l'ora della lezione di musica avvicinandosi, era ita nel salotto contiguo al gran salone da ballo per ripassare sul piano-forte una ballata nazionale spagnuola.
Era un canto curioso, strano, ma ripieno di vita e di brio; la ballata era così concepita:
Non avea Emma terminato di ripassare questa ballata, quando le fu annunziato il suo maestro.