Francesco Mastriani
Il mio cadavere
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PARTE II.

III. Due amici di Daniele.

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III.

 

Due amici di Daniele.

 

 

 

Daniele tornando a casa era in uno stato che facea paura; si sentiva umiliato agli occhi suoi stessi in quella specie d'indifferenza con cui era trattato da Emma: il suo amor proprio, la sua vanità, la sua passione, tutto era ferito, ulcerato nell'anima sua — Durante il cammino dal palazzo S.... alla Riviera di Chiaia parea demente, parlava solo, urtava tutti, prendeva una strada per un'altra.

— Questo tormento non può durare, diceva tra stralunando gli occhi e gesteggiando come un attore che reciti un monologo violento — no, non può durare; io mi ucciderò se Emma non corrisponderà al mio amore... Bisogna ch'io me le dichiari apertamente... Allora vedremo, se potrà sfuggire destramente alle mie dichiarazioni... se ella è ricca, nol potrò anche io diventare? Non è questa l'ardente speranza della mia vita? Non gitto sudori, non mi ammazzo forse per acquistare un po' d'oro? D'altra parte, che bisogno ha ella di sposare un ricco, quando ha tante ricchezze?... La sua mano farà ricco l'uomo ch'ella sposerà. La sua nobiltà! Ecco... ecco l'ostacolo di ferro, impossibile a sormontare... Eppure, chi sa! se io giungessi ad innamorarla di me; se ella mi amasse, i suoi genitori farebbero la volontà di lei... Potrei sperare... Oh! perchè ho conosciuto questa donna? La mia salute deteriora ogni giorno: ho abbandonato tutti i miei amici, tutte quelle famiglie che avrebbero potuto essermi utili... Non è possibile ch'io viva con tal serpe nell'anima: bisogna finirla; o Emma sarà mia, o io mi ucciderò, o ucciderò lei, perocchè non potrei sopportar l'idea che un altro la possedesse!...

No, non è possibile che io mi strugga a tal modo; io le aprirò il mio cuore, mi getterò alle sue ginocchia, implorerò l'amore suo e la pregherò che mi dia la morte.

Così parlando il forsennato era giunto alla sua abitazione. Nell'entrar che fece nel suo salottino, trovò sdraiati presso il caminetto il Marchesino Gustavo che leggeva, e un altro giovine suo amico, per nome Stefanello, anche di nobil famiglia.

Daniele aveva invitato a pranzo questi due amici.

— Oh, bravo, maestro! farsi aspettare un'ora, è proprio dell'ultima eleganza! disse il Marchesino, gittando le sue lunghe due gambe sovra un'altra poltrona che gli stava di contro.

Perdono, amici miei, ho avuto certi impacci per le mani: ben sapete le seccature annesse alla mia professione.

— Che hai? ti veggo in fronte una cera lunatica, alla Jacopo Ortis: che ti è accaduto?

— Niente... propriamente niente; ho lavorato molto, sono stanco.

— Non me la darai ad intendere, discolo di prima forza, riprese il Marchesino, qui ci è sotto roba femminile... Un tradimento, eh? Buffoneria l'accuorarsi per le donne... Ma già alla tua età si crede ancora a quelle pappolate di fedeltà, di costanza, di amore eterno, di un tugurio ma con lui, e a tante altre graziose parole di questo conio, belle invenzioni del secolo passato, ma che ora sono rancide e uscite di moda come madame Colbran... Ricordati che

 

Femmina è cosa mobil per natura;

Solca nelle onde, e nelle arene sèmina

Chi pone sue speranze in cor di femmina.

 

Ecco per esempio, quando tu sei venuto, io stava leggendo questo vecchio fascicolo dell'Utile Passatempo. Ascolta questo aneddotuccio: «Veniva consigliato un padre di aspettare che suo figlio fosse più saggio per dargli moglie. Il vostro consiglio, rispose, non mi pare troppo buono, poichè se mio figlio diventa un saggio, temo che più non si abbia ad ammogliare»

Mentre il Marchesino era intento a leggere, Daniele distratto e visibilmente contrariato dalle parole dei signorotti, andava lasciando in sul tondo del salottino quegli oggetti che soglionsi portare addosso nell'uscir di casa, come orologio, borsellino, denaro, portafogli, guanti ed altri simiglianti amminicoli di acconciatura.

Il Marchesino Guatavo era un giovine d'un trent'anni o più, faccia comune e volgare, tagliata nel mezzo da due mustacchetti incerati, e terminato da un meschino gruppetto di peli in sul mento. Il suo vestito consisteva in un soprabito per mattino con altissimo bavero secondo la moda di quel tempo, in un corpetto di Casimiro a corazza, in calzoni alla cosacca a righe. I suoi capelli eran folti e ricciuti. Essere della specie più comune, questo individuo non aveva altro pensiero, altra occupazione, altra cura che di ammazzare il tempo, secondo il linguaggio di simil razza di gente. Un buon pranzo o una buona cena era l'apogeo della sua poesia.

Un poco più ci piace dilungarci sul ritratto di Stefanello, offrendo questi un tipo curioso ed una specialità sociale che è andata sempre più crescendo cogli anni e che ora ammorba la nostra società.

Questo tipo terribile da' francesi chiamato fat, dagl'inglesi ironicamente beau, e una specie di serpe da' guanti bianchi che striscia su i mattoni incerati de' salotti. Non credete però ch'ei sia terribile pel fascino irresistibile dello sguardo, ma perchè morde leccando, e le sue morsicature sono sempre mortali: un'arma possente e omicida è per lui la parola.

Entrate in una sala in cui sono molte dame e molti uomini, in cui si balli o si conversi, siete certo di trovare quest'essere sdraiato sovra i cuscini di un canapè, con una mano lisciante i ben composti capelli, e con l'altra ficcata oziosamente nella tasca del calzone: vicino a lui per lo più siede un altro della medesima pasta, e discorrono sbadigliando di donne e di amori, di conquiste fatte e da fare, di buone fortune e di altre somiglianti materie. Quest'uomo innocentissimo di condotta è però da fuggire come un appestato, e da non ammettersi mai in propria casa: la sua smania è di credersi un Don Giovanni, un Lovelace, di ritenersi per un bel seduttore, mentre forse in vita sua non ebbe mai la buona ventura d'essere stato corrisposto in amore. Egli vi dirà spiattellatamente d'essere stato felice innamorato della vostra innamorata, e vel dirà con sogghigno amabile a fior di labbra, con una grazia tutta particolare, con una proprietà di vocaboli da trarre chiunque in inganno. Voi aggiusterete fede alle sue parole; andrete in furore contro la vostra bella, contro tutte le donne; giurerete di abbandonarla, di non più vederla mentre quella poverina non avrà neanco guardato il nostro bellimbusto.

Tutte le donne, niuna esclusa, appartengono di dritto a quest'uomo: egli le domina tutte, e la loro sorte dipende da una sua formidabile parola. Tapina quella fanciulla che per caso si trova a fissar lo sguardo su lui per qualche momento: ella è pazzamente presa di lui; tutto il mondo in un attimo il saprà.

Quest'essere è facile a riconoscersi tra mille; pochi peli in faccia, vista corta, capelli lunghi; il suo vestito è sempre ricercato alla moda, pieno di profumi. Suole egli eziandio portar sempre addosso un taccuino, nel quale sono rinchiuse una decina di letterine galanti ricevute da una decina di belle abbandonate da lui: non giureremmo che quelle lettere sieno autografe, anzi non vorremmo neppure asserire; egli le mostra continuamente a' suoi amici: in altra taschetta del portafogli stanno poi certi altri bigliettini di suo pugno e senza indirizzo, i quali tiene sempre pronti per valersene all'uopo.

Quest'ente così futile perchè leggiero, e nello stesso tempo non meno pericoloso per la stessa leggerezza, dovrebb'essere bandito dal grembo della società come un disturbatore della domestica quiete e un avvelenatore di cuori.

Di tal natura per lo appunto era Stefanello.

— Il marchesino ha ragione, disse questi zufolando tra i denti un motivo del Barbiere di Siviglia; il sentimentalismo è fuor di moda, mio caro maestro; fa come fo io, gitta la scintilla dell'incendio e passa. Per essere amato dalle donne è necessario disprezzarle; io conto mille conquiste ottenute solo con quest'arma possente del disprezzo.

— Le vostre congetture sono erronee, amici, disse Daniele — il mio malumore non proviene da donne; non sono tanto collegiale da rattristarmi per tanto.

— E pure tu dimagrisci a vista come un innamorato morto, soggiunse il marchesino — non mangi più, non bevi più, non vieni più con noi alla Favorita la domenica. Che diascine ti coglie?

— Non istò bene, amici miei, soffro coi nervi, ma spero di ricuperar ben presto la sanità ed il buon umore.

Uno scoppio di risa accolse queste parole.

— Ah! ah! soffre coi nervi! malattia alla moda, morbo generico e di buon tono

— È probabile che soffra d'isterismo, riprese ridendo Stefanello.

Daniele intanto avea lasciato sopra il canapè il suo piccolo mantello; e si era anch'egli gettato a sedere in mezzo a' suoi amici. Era in sul finir del mese di novembre.

Il caminetto era acceso, perocchè il tempo era secco e freddo. Si aspettava che il pranzo fosse servito.

Scommetto che non hai udita mai la Niobe del Pacini, disse il Marchesino agitando i pezzi di legno del caminetto.

— Oh! l'ho udita tre volte, rispose Daniele, e sempre con ugual piacere; è un'opera magnifica.

— La Pasta è inarrivabile nella sua parte, esclamò Stefanello appoggiando le spalle al davanzale del caminetto; ella è un prodigio! Che anima e che arte! Come ha indovinato lo spirito del suo canto! Nel suo duetto con la Unger strappa il cuore degli spettatori!

— Già tu sei uno dei più teneri ammiratori di questa prima donna, osservò il Marchesino; ci è da scommettere ch'ella è presa pazzamente di te.

— Oh! non parliam di questo, soggiunse lo spezzacuori con lieve sorriso di trionfo, ne ho veduto a cascar ben altre ai miei piedi, e che bellezze! Io sono ristucco del genere teatrale; son fortezze troppo facili a essere espugnate.

Via, via, sappiamo di che sei capace, gran seduttore, tornò a dire il Marchesino... E certo impertanto che le lodi alla Pasta nella tua bocca diventano sospette. Già il teatro S. Carlo è divenuto per quest'attrice un campo di guelfi e ghibellini. Per me dico, e mi richiamo al parere del mio professore qui presente, che la Pasta, quando si abbandona agl'impulsi della sua natura, è grande, è sorprendente; ma che casca talvolta nell'esagerato per ispirito d'imitazione. Riguardo poi al suo canto, è indubitato che nei suoi passaggi dai toni gravi ai medii ella non pone molta facilità e pieghevolezza. Non è vero, maestro?

Daniele, a cui quest'ultima interrogazione era diretta, si contentò di dare un segno affermativo col capo. Egli non era uscito dalla sua pensierosa concentrazione.

Intanto i due convitati di Daniele incominciavano a trovar troppo lungo l'indugio del pranzo; aveano già consumato parecchi sigari per ciascuno; aveano in gran parte esaurito tutti i futili subbietti di conversazione; si posero però a passeggiare smaniosi pel salottino.

— Il tuo cuoco è un carnefice questa mattina, osservò il Marchesino.

— Ci vorrà dare un pranzo al tutto diplomatico il nostro Daniele, disse Stefanello, ed ecco perchè ci farà attendere fino alle cinque.

— Sta benissimo, riprese il primo, e mentre egli si ostina nel suo taciturno sentimentalismo, noi ridurremo in cenere un altro sigaro.

Il Marchesino cavò di tasca un elegante portasigari, ne cacciò un tubetto di foglie americane e si pose5 in cerca d'un pezzo di carta per accenderlo.

— Oh! una lettera non aperta! esclamò egli mettendo le mani6 addosso alla lettera di Lucia Fritzheim che Daniele avea gittato in sul tondo in uno cogli altri oggetti ch'erasi tolti di tasca.

Daniele si ricordò di quella lettera e corse per istrapparla dalle mani del suo amico, ma questi ne avea già letto l'indirizzo ed il nome di colei che la scriveva.

— L'ho trovata! L'ho trovata! esclamava il Marchesino in aria di trionfo, e saltando sopra una sedia per non farsi carpire il suo bottino; qui sta l'affare: leggasi.

Anche Stefanello si era messo dalla parte del Marchesino per impedire a Daniele di toccar la lettera.

Ebbe luogo una lotta furiosa. Daniele si dibatteva come un leone per non far leggere la lettera che avrebbe potuto discoprire le sue relazioni colla famiglia dello stradiere; ma egli era uno contro due e non poteva a lungo durare nel conflitto. Gli riuscì pertanto di afferrar la lettera, la quale fu lacerata in due parti, di cui una restò nelle mani de' due amici e un'altra in quelle di Daniele. Questi si affrettò di gittare nelle fiamme del caminetto quel pezzo che gli era rimasto nelle mani.

Gli altri due lessero il seguente moncherino di lettera:

 

«Daniele, Daniele mio,

Corre già il quarto mese che mi hai ab

giorni ora per ora, minuto per min

sun rimprovero; sono rassegnata alla

altra.... Iddio ti renda felice.... Io sto m

disse aver pietà di me togliendomi

divenga lo sposo di un'altra. Il med

Ambrogio ch'io entro nel primo grado di ti

intorno al mio letto essi mi credevano

ti ho amato, Daniele, e quanta ti am

più non sarò su questa terra. Io ti sciol

ti perdono la morte che mi dai. Soltan

prima parola di amore che ci scamb

che non abbandoni la mia infelice famig

i miei fratelli e soprattutto che non

per quella povera creatura di Uccel

sarai felice a fianco della don

Addio... addio... per sempre

parlar di me che un'altra sola v

per caso annunziata la mia mor

giorno della tua vita, siccome il

stato per me il più felice... ad

Daniele, Daniele mio... Lucia».

 

Non avevano il Marchesino e Stefanello terminato di leggere questi brani di lettera, di cui ogni parola avea fatto tremare il cuor di Daniele per tema che non vi si trovasse qualche inattesa rivelazione, quando il servo, presentatosi sull'uscio del salotto, disse:

— Il pranzo è all'ordine, signori.

I due amici rimisero tra il fumo delle vivande e tra i prelibati vini il fare i loro commenti sulla lettera singolare che aveano discoperta.

 

 

 

 





5 Nell'originale "cose". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



6 Nell'originale "mai". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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