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VI.
Un tentativo.
Qual era il proponimento di Daniele? In che modo sperava egli diventar milionario in due anni? Noi nol sapremo dire e forse egli medesimo non era venuto ancora in nessuna deliberazione. Nei caratteri come il suo, le risoluzioni vengono sempre appresso agli atti di audacia; eglino non pensano che dopo il fatto.
Daniele era andato dal Duca di Gonzalvo risoluto di fargli la proposta di aspettare qualche anno, sperando di accumulare in questo tempo una piccola fortuna; ma non avrebbe giammai potuto supporre che quegli avesse chiesto un milione. Una così enorme dimanda che il Duca avea fatta quasi per burlarsi di lui non fece che esaltare e pizzicare la superbia del giovanotto, il quale, accettando quella proposta, avea inteso umiliare il nobile e dargli di sè la più alta opinione. Daniele era però fermo di ritornar milionario dal Duca di Gonzalvo o di pór fine a' propri giorni: egli aveva innanzi a sè due anni.
Che cosa non si può fare in due anni? Quali e quanti avvenimenti non possono accadere da mutare al postutto lo stato di un uomo! Un avvenire di due anni nelle mani di un uomo della tempra di Daniele è un secolo, è un tesoro. Le anime volgari, gli uomini vegetali, le macchine a respirazione non veggono nel futuro che una scempia e materiale ripetizione degli stessi atti della vita, degli stessi abiti, dei medesimi noiosi e bassi godimenti sensuali, delle stesse miserie ed infermità; ma il genio, l'ardimento, l'elevatezza delle aspirazioni percorrono in un giorno il volgere di un anno, e in un anno il volgere di un secolo. Simiglianti all'aquila che fende le nubi e sfida i nembi e guarda all'altezza del sole, mentre la nottola e il gufo non sanno elevarsi una spanna della terra, gli uomini di genio percorrono colla vastità dei loro poderosi pensieri uno spazio immenso, mirano all'universo come al solo campo dove prender debbono il volo: il tempo e la distanza, i due possenti nemici dell'umana attività, spariscono dinanzi alla forza morale di questi uomini: la ricchezza, la gloria, il potere, le tre mete degli umani desideri, sono raggiunte soltanto da8 questi uomini, pei quali la creta onde sono impastati e le miserie attaccate alla vita sono un impaccio e non mai un ostacolo. I prodigi dell'industria umana non sono dovuti che alla eterna irrequietezza di questi uomini che non possono capire ne' loro materiali e mortali involucri.
La prima cosa a cui Daniele pensò fu di provvedersi di passaporto per l'estero. Egli capiva che bisognava subitamente uscire dal proprio paese e porsi in una sfera di attività febbrile: bisognava visitar Parigi, Londra, Berlino, Vienna, valicare l'Atlantico e trasportarsi agli Stati-Uniti, a Nuova-York, a Washington, a Filadelfia. Il suo primo proponimento fu quello di dare accademia in tutt'i paesi che avrebbe percorsi, spendere in lezioni le ore del giorno e della notte, stringere amicizia colle più ricche e nobili famiglie. Oltre a ciò, egli avea deciso di vivere in que' due anni il più economicamente che gli fosse possibile, di non ispendere un soldo al di là di quello ch'era strettamente necessario: avea tutto calcolato, tutto messo in bilancio; ma il risultamento dei suoi calcoli era scoraggiante dappoichè con tutto questo, al capo de' due anni, essendogli amica la fortuna e senza impreviste disgrazie, egli non si avrebbe trovato che una somma lontanissima dal milione. Ancora che avesse guadagnato mille scudi al giorno (il che era da porsi tra le più chimeriche speranze) non arrivava a compire l'orrenda cifra del milione. Ciò nondimeno egli era sicuro di ammassare una somma considerabile; ma la sua alterigia si arrovellava all'idea di presentarsi al Duca di Gonzalvo, spirati due anni, senza quella cifra altissima, che il nobile gli avea gittato in faccia quasi per ischernirlo ed umiliarlo.
Daniele era deciso di affidarsi alla ventura, di abbandonarsi agli eventi, di trarre partito da tutto e da tutti: era fermo di abbracciare ogni traffico, ogni speculazione atta ad accrescere il suo peculio, di arrischiarsi anche al gioco della Borsa: si sentiva nel petto la ispirazione di diventar ricco: il pensiero di una viltà che sarebbe rimasto sepolto nelle più fitte tenebre non lo spaventava: tutto avrebbe sacrificato al piacere di presentarsi milionario al Duca di Gonzalvo e sposare quella superba di Emma.
Egli avea deciso di partire al primo dell'anno 1827: pochi giorni gli avanzavano ch'ei spese in visite di congedo e in aggiustare le sue faccende; non volle più rivedere Emma: il sentimento di vanità e di orgoglio che in lui era superiore a quello dell'amore, comandogli di allontanarsi da Napoli, senza riporre il piede in quella casa, da cui il Duca di Gonzalvo l'avea formalmente espulso: egli non dovea più ritornarvi che milionario. Si contentò di mandare al Duca due righe in cui gli dava notizia della sua prossima partenza da Napoli.
Alla vigilia della sua partenza, vale a dire al 31 dicembre di quell'anno 1826, Daniele ebbe la solita visita dello straniero che gli portava nell'ultimo giorno di ogni mese la polizza di cinquanta ducati.
Alla visita di quest'uomo un ardito pensiero attraversò la mente di Daniele. Abbiam detto che ormai questo giovine più non indietreggiava dinanzi a nessun ardimento, a nessuna sconvenienza, a nessuna bassezza: uno solo era lo scopo a cui dovea mirare, la ricchezza; qualunque mezzo era ottimo.
Daniele fece entrare lo straniero nel suo studietto, di cui serrò l'uscio a doppio giro di chiave, ficcandosi questa in saccoccia: ebbe eziandio la precauzione di situarsi colle spalle al terrazzo che poteva offrire un facile scampo allo straniero. Dicemmo altrove che quel terrazzo rispondeva benanche nel salotto dov'era agevole raggiungere l'uscio della scala.
Lo straniero fu sorpreso di questo insolito ricevimento fattogli dal giovane pianista, ma nessun segno di timore apparì sul suo sembiante affatto tranquillo e sorridente: il suo volto era al tutto privo di barba all'uso inglese. Egli rimase all'impiedi dirimpetto a Daniele, che si era comodamente rovesciato sopra una seggiola.
— Piacciavi di sedervi, signore; avrei qualche cosa da dirvi, cominciò Daniele visibilmente agitato.
Lo straniero si sedè dopo aver lasciata la polizza in sulla scrivania del giovine, e disse seccamente: — Vi ascolto.
— Io sono persuaso che mio padre o mia madre è quegli che vi manda da me ogni mese.
Daniele aspettò invano una risposta; lo straniero non aprì la bocca, ne fece segno alcuno, dal quale il giovine avesse potuto trarre la minima congettura; sicchè, dopo alcuni secondi, proseguì:
— Chiunque si sia de' due, e in qualunque luogo si trovi, io sono arcideciso di andare a gittarmi nelle sue braccia: un padre o una madre non può aver la forza di respingere il proprio figliuolo. Voi mi darete l'indirizzo di questa persona che pensa alla mia sorte.
— Fin dal primo momento ch'ebbi il piacere di conoscervi, mio Daniele, vi dissi che non avrei potuto rispondere a nessuna vostra interrogazione.
— Ciò si vedrà, riprese Daniele: io sono risolutissimo di sapere il nome e l'indirizzo della persona che provvede alla mia vita. Voi non avete il diritto di nasconderla alla mia riconoscenza.
— E voi non avete il diritto d'interrogarmi, signor Daniele.
— Se non ne ho il diritto, ne ho pertanto la forza, rispose il giovine; voi non uscirete di questa casa, senz'avermi rivelato quanto vi chieggo.
Lo straniero sorrise: neppur l'ombra della collera era nell'espressione del suo volto.
— Mi permetterete di farvi considerare, bel giovinotto, che la ragione non vi assiste in quello che ora dite e in quel che pretendete di fare. Prima di tutto, sappiate una volta per sempre, e tenetelo bene a mente, ch'io non vi dirò niente, assolutamente niente, quando anche la vostra follìa vi spingesse ad assassinarmi; se io non parlo essendo vivo, pensate se potrò farlo essendo morto. Voi quindi non guadagnereste altro, uccidendomi, che passare alla Corte Criminale, ovvero rimanendo celato il vostro delitto, non otterreste altro che perdere i cinquanta ducati ch'io ho la bontà di recarvi in ogni fin di mese. Poi, vi fo riflettere che, ammesso ancora ch'io mi lasciassi sedurre dalle vostre parole o intimidire dalle vostre minacce, non mi costerebbe gran fatica l'inventare un personaggio e un sito, e liberarmi della vostra importunità mandandovi ben lungi in cerca di un uomo che non trovereste giammai. Oltre a questo, sono nel dovere di dirvi che ogni passo che voi fareste per iscovrire il vostro benefattore vi farebbe perdere la costui benevolenza. Vi lascio da ultimo amichevolmente considerare che io sono uno di quei pochi, pei quali voi siete sempre Daniele Fritzheim e non già Daniele de' Rimini, vale a dire ch'io conosco esser voi un trovatello: un atto di violenza che commettereste contro di me potrebbe spingermi a divulgare il segreto della vostra nascita.
— Voi nol farete, o signore, interruppe vivamente Daniele, il quale vedea sfuggirsi di mano il colpo che avea meditato.
— Io nol farò, sempre che voi vi comporterete meco da onesto galantuomo. Rinunziate ai pensiero di voler conoscere il vostro benefattore, e questi vi amerà dippiù; e forse un giorno…
— Ebbene? esclamò Daniele cui un lampo di speranza balenò negli occhi.
— Ebbene! chi sa! forse un giorno egli stesso chiederà di voi.
— Ma ditemi, ditemi, di grazia, signore, è egli ricco? è egli nobile?
— Non m'interrogate: ben sapete che non posso rispondervi Ma il tempo stringe: abbiate la bontà di farmi la solita quietanza, dappoichè ho molte facende ancora da disbrigare.
Daniele, con malissima voglia accontentandosi delle ragioni addotte dallo straniero, si alzò e andò a scrivere la quietanza che consegnogli, dicendogli:
— Eccovi, signore, la quietanza. E questa l'ultima volta che ci vedremo in questa casa e in Napoli. Domani io parto.
— Lo so, rispose freddamente lo straniero.
— Ah! lo sapete! E chi ve l'ha detto?
— Egli stesso!
— Egli stesso, ripetè quegli come un'eco di Daniele.
— Sicchè voi, soggiunse questi, frequentate sovente la sua casa?
— Quasi ogni giorno.
— Siete suo intrinseco?
— E vedete spesso la Duchessina?
— Non tanto: ella mi guarda con diffidenza, e sembra che mal vegga la mia presenza in casa del padre.
Lo straniero si alzò per rompere a quel punto una conversazione ch'egli non aveva voglia di proseguire.
— Indicatemi, signor Daniele, ripigliò questi, cacciando di tasca un portafogli, indicatemi il paese in cui bramate che vi capiti la polizza del mese venturo.
— Pel mese venturo io sarò a Londra, rispose il giovine.
Mentre lo straniero segnava colla matita alcune parole nel suo taccuino, Daniele a cui era sorta nella mente un'idea subitanea, si slanciò sull'incognito e con mano vigorosa gli strappò il portafogli.
— A tuo dispetto saprò chi tu sei e chi t'invia, gridò Daniele con occhio demente. In pari tempo suonò con forza un campanello e, aperto l'uscio, gridò al soccorso.
— Liberatemi da quest'uomo, gridò Daniele in francese, ei vuole assassinarmi, vuole impadronirsi del mio portafogli.
Il servo si mosse per porre le mani addosso allo straniero, ma si vide appuntate in sul volto le canne di due pistole.
Giù il portafogli signor Fritzheim, o il vostro cervello salterà in aria.
— Sciagurati, esclamò l'incognito senza il minimo segno di alterazione della fisonomia, un passo che diate verso di me vi costerà la vita. Giù il portafogli signor Fritzheim, o il vostro cervello salterà in aria.
Non ci era da dubitar minimamente che lo straniero non avesse fatto seguire l'atto alla parola. Daniele gittò a terra il taccuino.
L'incognito vi pose subitamente il piè sopra e comandò al servo di sgombrargli l'uscio, tenendo sempre tutti e due a linea delle sue pistole.
Il servo obbedì. Lo straniero intascò il portafogli.
— Quest'atto insensato di violenza mi costringe a privarmi del piacere di rivedervi, signor Daniele. Avrò cura di farvi pervenire per altre mani la solita polizza che ora vi siete messo a grave rischio di perdere.
Il domani, all'ora che Daniele si accingeva a salire nella diligenza per Roma, una donna, pallida ed emaciata dalle sofferenze, vestita miseramente, e tutta cosparsa di lagrime, se gli fece incontro.
— Lucia!! esclamò Daniele stupefatto.
— Ho voluto vederti per l'ultima volta, Daniele, rispose costei.... perdona.... io ti amo tanto!
Gli occhi di Daniele si bagnarono di lagrime.
— Lucia!... Povera fanciulla!... odiami.... odiami.... io non merito l'amor tuo. In quale stato ti ho ridotta!
— Grazie, grazie, Daniele.... or son felice! ti ho veduto, mi hai stretta la mano... Dio ti benedica!
Daniele avrebbe voluto abbracciarla; il suo cuore era gonfio. Per la prima volta egli sentiva un'estrema tenerezza per quella giovinetta.
Non potè proseguire, perocchè il conduttore facea schioccare la frusta; la diligenza era in sul punto di partire.
— Addio.... addio, sorella mia, esclamò Daniele saltando in fretta sul montatoio della carrozza.
— Addio.... addio, Daniele, rispondea questa debolmente, perchè sentiasi venir manco; il suo volto era addivenuto bianco come cera.
Un uomo era corso a sorreggere la misera tra le sue braccia.
Seduto nella diligenza che avea preso il galoppo, Daniele piangeva!!
Un uomo era corso a sorreggere la misera. Egli era padre Ambrogio. La diligenza aveva preso il galoppo....