Francesco Mastriani
Il mio cadavere
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PARTE III.

II. La serpe morale.

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II.

 

La serpe morale.

 

 

 

Juanita cadde nella rete che le fu tesa con astuzia infernale. Diremo a suo tempo in che modo il Duca stesso fu tratto in agguato, e quali si furono le funeste conseguenze di una colpa, cui la disgraziata giovine credette emendare colla morte. Sul capo del suo seduttore piombava intanto una maledizione orribile. L'onore oltraggiato, i più sacri legami di natura calpestati, l'amicizia tradita e vulnerata nel cuore, chiamavan giustizia innanzi al Cielo.

Noi scorgiamo sempre nelle fila degli umani avvenimenti il dito di Dio. Si addensino pure le più fitte tenebre in sul delitto: si eluda pure la giustizia degli uomini; si addormenti la rea coscienza nei rumori delle feste e nelle febbrili commozioni di concitati piaceri; la spada di Damocle penderà sempre in sulla testa del malvagio, e le parole del convito di Baldassarre si riprodurranno in tutt'i banchetti dell'empio.

Edmondo sfuggì vilmente alla vendetta del Duca di Gonzalvo. Un istante dappoi che questi discoprì l'orrendo segreto che macchiava l'onore del suo casato, il Baronetto era già lungi dal teatro de' suoi disordini. Egli abbandonava per la seconda volta l'Europa, senza lasciare neppure un'ombra d'indagine sul paese ove intendeva trasferirsi.

La bella e vasta isola di Cuba in America accoglieva il Cavaliere del Firmamento sotto altro nome. Ivi Edmondo non pensò ad altro che ad ammassare enormi ricchezze, mercè l'ignobil traffico degli schiavi. In pochi anni la sua fortuna, in gran parte dissipata dalle stravaganze della sua vita, si rifece e crebbe cotanto che ascese a circa quaranta milioni di reali di Spagna, vale a dire a oltre due milioni di piastre. Egli era il più gran proprietario di schiavi in tutta l'isola.

Tra mille di questi esseri infelici raccolti in sulle coste dell'Africa, dobbiam notarne uno che diventò carissimo a Edmondo, e meritossi in prosieguo tutta la costui confidenza. La ragione di questa predilezione si fu la seguente:

Edmondo volle dare un giorno a' Cubani lo spettacolo di una lotta di tori, sì comune in Ispagna. Egli aveva fatto bandire in tutta l'isola che Sir Falstaff (fittizio nome ch'ei si era dato) si esponeva per divertimento nel circo a combattere contro di un toro furioso. Al giorno indicato una folla straordinaria ingombrò il recinto formato di mattoni con rilievi di pietra, a somiglianza del circo di Jeres in Ispagna. Rizzavasi in mezzo all'arena un palo terminato da una specie di loggetta, su la quale si vedea saltellare e fare di mille smorfie e piacevolezze un grande orang-utang, vestito da buffone de' mezzi tempi, e ligato alla pertica da una catena tanto lunga da permettere che l'animale descrivesse un cerchio attorno al palo. Le vestimenta dell'orang-utang erano del rosso più cupo ad oggetto di stizzire il toro con quel colore di sangue. Dopo vari combattimenti eseguiti da schiavi, e vari giuochetti di forza e di agilità, il programma annunziava la comparsa di Sir Falstaff. Questi si presentò vestito alla picador (picchiere): aveva al suo fianco un matador (uccisore), giovanetto schiavo vestito alla turca, con calzoni alla mammalucca, con un sole raggiante nelle spalle, e col turbante a foggia di pasticcio. Erano entrambi armati di lunghe picche, e lo schiavo portava inoltre nella sinistra mano l'arma terribile chiamata la mezza luna, la quale è una specie di acutissimo acciaio posto alla punta d'una lancia e fatto a forma di ronca: un tale strumento serve in particolar modo a tagliare i grandi alberi.

Un toro giovane e vigoroso fu slanciato nel mezzo del circo. I due combattenti si erano ritirati per poco per dare il tempo alla bestia di inferocirsi alla vista del rosso orang-utang. Ed in fatti, il toro, in veggendo quel colore addosso alla scimia, mandò un muggito spaventevole e si scagliò sovra quell'animale, il quale con un salto fortissimo raggiunse lo loggetta della pertica, di dove si divertiva a dar la baia al furioso nemico. Grandi scrosci di risa che partivano dai seggi degli spettatori accoglievano le strida formidabili e feroci del toro che con estrema rabbia faceva rapidamente il giro del palo e poscia guardava con occhio di sangue al suo motteggiatore avversario, e dava di violente cornate nel mezzo della pertica, facendola traballare, a grande spavento dell'orang-utang, e a grande soddisfazione degli spettatori, i quali sganasciavansi dalle risa nel vedere la paurosa espressione della faccia dell'orang-utang ogni volta che il toro dava il cozzo nella pertica. E forse guari non sarebbe andato che il palo sarebbe caduto sotto i replicati urti della bestia selvaggia, se, nel momento in cui questa più sembrava aizzata, e di più feroci muggiti facea risuonare l'aere del circo, non fossero apparsi i due combattenti.

Alle risa generali successe ben presto un gran silenzio: ognuno tremava per l'imprudente Sir Falstaff. Il toro, non appena ebbe scorti i due nuovi suoi avversari, si slanciò contro di loro con l'impeto del furore eccitato in esso dalle smorfie e dagli abiti dell'orang-utang. Edmondo lo aspettava a piè fermo, e, quando la bestia fu a certa distanza, egli le cacciò ne' fianchi la sua picca con mirabile coraggio ed agilità... Il toro mise un ruggito spaventevole, e, quantunque un rivo di sangue uscisse dall'aperta ferita, la rabbia lo spinse contro il suo avversario. Edmondo era indietreggiato per tener sempre l'animale a distanza della sua lancia, ma questa volta il toro diede un balzoterribile e tortuoso che Edmondo spezzò la picca tra le corna dell'animale senza ferirlo: era finita pel signorotto inglese, senza la prontezza dello schiavo che con un colpo della mezza luna troncò le gambe al toro più meno che se fossero stati due sottili stinchetti o due rami. Allora la bestia venne uccisa senza pericolo.

Edmondo era debitore della sua vita al suo schiavo. Fin da quel momento gli tolse tutt'i segni di schiavitù e sel tenne come il più caro dei suoi amici.

Questo schiavo era nato ne' possedimenti inglesi: il colore del suo volto era di un pallido olivastro, per modo che pochissimo differiva dal volto comune degli Europei: una grande intelligenza, una cupa sensibilità, un coraggio di leone e una fedeltà a tutta prova costituivano i pregi di questo giovine che diventò l'anima di Edmondo. Maurizio Barkley era il suo nome, che abbiamo visto figurare sulle polizze mensuali portate a Daniele dall'incognito straniero, il quale altro non era che lo stesso Maurizio.

Questo schiavo avea pel suo padrone cotanto affetto e venerazione, che rifiutò la libertà che quegli voleva concedergli in premio delle sue virtù: non ricusò per altro l'istruzione che Edmondo gli diede, per sempre più rialzarne la dignità di uomo.

Il Duca di Gonzalvo avea scoperto il ritiro di Edmondo così che questi non fu più sicuro della sua vita in Cuba; partì accompagnato da Maurizio Barkley. Dopo parecchi anni di viaggi, il Baronetto si fissò a Manheim, dove avea comprata la tenuta di Schoene Aussicht e dove abbiam fatto la sua conoscenza.

Una compiuta trasformazione si era operata nel Baronetto. La sua giovinezza era sparita e con essa tutte le illusioni de' piaceri, di cui era sazio e ristucco. La vita ch'egli avea sì follemente dissipata e schernita gli diventò così cara, che risolvette di vivere il resto de' suoi giorni nella più riposata felicità e nella più esemplare saggezza. Non ostante le orgie, gli stravizi e le strambezze di ogni ragione, alle quali si era abbandonato nella sua giovinezza, la sua salute di ferro non era giammai venuta manco: egli avea innanzi a , secondo tutte le probabilità, altri quaranta o cinquant'anni di vita e una immensa fortuna; decise adunque di passare questi altri anni in modo da procacciarsi tutt'i più delicati piaceri, senza mai più mettere a repentaglio la sanità del suo corpo.

L'odio del Duca di Gonzalvo e la vendetta che questi avea giurato contro il Baronetto, davano a costui grandissimo pensiero e rattristamento. Quantunque fosse stato quasi impossibile di scoprire il suo ritiro a Manheim, ed anche più impossibile di penetrare nei suoi appartamenti, pure egli temeva sempre un agguato; laonde, saputo che il Duca viveva in Napoli colla sua famiglia, pensò di mandare in questa città il fedelissimo Maurizio Barkley ad oggetto d'insinuarsi destramente nella casa del nobile spagnolo, di cattivarsene la benevolenza, e cercare di scoprire se quegli avesse formato qualche disegno contro di lui Baronetto. Riuscì alle astuzie di Barkley di introdursi nella casa del Duca di Gonzalvo e diventare uno de' suoi intrinseci amici, Maurizio scriveva al Baronetto tutto ciò che il Duca pensava ed operava, e rassicuravalo pienamente, dicendogli che il nobile spagnuolo non conosceva per niente essersi il Baronetto ritirato a Manheim.

La lotta del toro.

 


 Il toro non appena ebbe scorti i suoi due nuovi avversari si slanciò contro essi con l'impeto del furore....

I nostri lettori ricorderanno di aver veduto Maurizio Barkley alla festa di Lady Boston a Napoli, alla quale era stato presentato dallo stesso Duca di Gonzalvo.

Un altro scopo e un'altra missione avea il soggiorno di Barkley in Napoli, oltre quello di spiare i pensieri del Duca. Diremo altrove quali erano questo scopo e questa missione.

Edmondo menava in quel solitario ritiro di Manheim la vita riposatissima di un vero filosofo sibarita. Al disordine della sregolatezza era successo l'ordine più perfetto: tutto era pensato e sistemato secondo le regole della più stretta igiene. Un esperto medico di Francoforte veniva a visitarlo di tanto in tanto e gli assegnava la quantità del cibo, del riposo, del sonno, dell'esercizio. Per premunirsi contro i pericolosi effetti delle variazioni atmosferiche egli si era avvezzato a sottoporsi ogni giorno, e in levarsi dal letto, allo showerbath (bagno a pioggia) sì comune in Inghilterra e in Germania. Edmondo usciva dalla nicchia verticale de' bagno a pioggia con una vigoria di salute, con una franchezza di mente, con un'alacrità di appetito, che il ringiovanivano di venti anni. Egli faceva la sua colazione, indi passeggiava nella sua villa o si dava a lavori campestri; più tardi gustava i piaceri della lettura, e poscia sedeva ad uno squisitissimo desinare inaffiato dal vino del Reno e dallo Xeres. Dopo pranzo, usciva a cavallo insino a sera, giunta la quale ei libava le delizie d'una parca cena in compagnia di pochi e scelti amici dotti e filosofi.

Una parte della villa di Schoene Aussicht era coltivata a gentile orticello. Edmondo, affin di procacciarci un salutare esercizio, dava opera, come abbiam detto, a' campestri lavori, nei quali trovava l'incanto di puri ed innocenti piaceri al tutto nuovi per lui. Nell'inverno egli formava diversi vivai, intrecciava i tralci delle viti e li copriva di terra per non farli offendere dal gelo, passava in rivista i seminati e curava di sviare le acque stagnanti; facea preparare e concimare il terreno: nella primavera ordinava seminature e piantagioni, sarchiava egli stesso le nocive propaggini: nell'estate la mietitura richiamava tutta la sua sollecitudine, e la famiglia dei fiori tutto il suo amore; poneva all'ombra le viole, badava con diligenza agli adacquamenti: nell'autunno trapiantava le mammole; era tutto d'attorno agli alveari, cavandone il mele e la cera, e nettando le arnie da ogni immondizia; stava ben attento alla maturità dei semi autunnali per raccoglierli e farli prosciugare per conservarli.

In simiglianti occupazioni Edmondo spendeva parecchie ore, e sempre ne risentiva grandissimo sollievo. Egli avea studiato in America l'arte delle piantagioni; avea però non poche cognizioni di agricoltura. Nell'isola di Cuba, oltre al traffico degli schiavi, le piantagioni dello zucchero, del cotone e del tabacco erano state le principali vene della sua ricchezza. Quasi ogni mese egli facea fare enormi carichi di cotone e di zucchero a' vapori armati pel Mississipi, e vendeva i prodotti delle sue terre ai paesi che si trovano lungo la corrente di questo interminabile fiume. Nuova Orleans era il centro, nel quale venivano a confluire i capitali di Edmondo, che vi teneva la sua principale amministrazione.

La conversazione del Baronetto era delle più piacevoli ed istruttive, ed i suoi discorsi erano pieni di quella trista esperienza che dànno i disinganni della vita, Egli avea tanto viaggiato; avea veduti tanti lontani paesi; era stato in mezzo alle più alte classi sociali; avea trattato gli uomini celebri di tutta Europa; ed oggi era al caso di ragionare con aggiustatezza di molte cose. Edmondo parlava con grandissima facilità molte lingue europee e varie orientali, tra le quali l'araba. Nella sua solitudine di Schoene Aussicht, egli coltivava le lettere e le scienze morali; leggeva quasi tutti i principali giornali che si pubblicavano nel mondo, e la sera faceva cogli amici i suoi commenti su qualche subbietto politico, morale, economico o industriale.

Le ore serotine ch'ei passava ragionando di filosofia e di lettere erano le più belle della sua giornata. Molte volte si pentiva di aver dissipata la sua giovinezza, e diceva che il filosofo di Schoene Aussicht avea maledetto il Cavaliere del Firmamento.

Ma era egli parimenti pentito degli errori e delle follie della passata sua vita? Si doleva dei mali gravissimi che avea cagionati a tante disgraziate famiglie?

Mal potremmo dirlo, imperocchè sulle ruine di quell'anima non spirava l'alito dolcissimo e vivificante della grazia celeste. La saggezza umana, ch'è follia dinanzi agli occhi di Dio quando è confidente in sola ed orgogliosa, e l'età, l'inesorabile medicina della febbre delle passioni, aveano soltanto influito a cangiar quell'uomo; benchè la cagione precipua del mutamento che si era fatto in Edmondo fosse il segreto della Provvidenza, di che or diremo.

Edmondo era stanco del passato ma non pentito. La sua anima era un vulcano estinto da cui esala tutt'ora un'afa mortale. Egli era sempre materialista.

Ciò nulla di manco, non era possibile il credere che il proprietario di Schoene Aussicht fosse il medesimo uomo che il Baronetto Brighton, il conte di Sierra Blonda e Sir Falstaff. Tra questi ultimi e il primo ci era quella barriera che separa la saggezza dalla follia. Edmondo era tutt'altro uomo da quello che era stato nella sua giovinezza. Abbiam detto che la precipua cagione del suo cambiamento era il segreto della Provvidenza. Che cosa dunque aveva oprato una tale straordinaria trasformazione? Un pensiero che era la serpe morale posta da Dio nei cuor di quest'uomo che tanto aveva oltraggiato le Divine sue leggi. Questo pensiero era la Paura della morte.

Edmondo perciò non era felice. Mirabil castigo della Divina giustizia! Attraverso le delizie ond'ei si circondava, e nello stato della più perfetta sanità, quell'uomo avea molto spesso e quasi ogni giorno momenti di tristezza e di disperazione pensando che un egli doveva abbandonar la vita. Quando l'ora della sua morte fosse suonata, i suoi milioni non l'avrebbero ritardata neppur d'un minuto! Orrendo pensiero che il rendea triste e taciturno per ore intere, sepolto nella più desolante melanconia.

Non era tanto il pensiero di dover morire che gli dava rovello e tristezza, quanto un altro pensiero che ne derivava qual conseguenza. Edmondo era preso da raccapriccio e da orrore pensando che il suo corpo nutrito con tanta ricercatezza, godente di tutte le dolcezze della salute e delle dovizie, conservato con quanto ci è di meglio nei regni vegetale ed animale, il suo corpo ch'egli amava ed al quale prodigalizzava le più tenera cure, sarebbe stato un giorno abbandonato a pasto dei vermi della terra!!

Edmondo fremeva e non rare volte rompeva in codarde lagrime pensando al suo cadavere!!

 

 

 

 


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