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III.
Il proprietario di Schoene Aussicht diveniva ogni giorno vieppiù triste e impensierito: a stento i suoi amici il traevano qualche volta dalla concentrazione in cui cadeva. Edmondo incominciava a fastidiarsi benanche di quegli innocenti piaceri che avevan dato alla sua anima serenità di sentimenti e gusto pe' semplici e puri godimenti della natura. La sua conversazione languiva per difetto di attenzione in lui; poco parlava, e pochissimo parea che prestasse ascolto ai ragionamenti de' suoi dotti visitatori, a' quali non isfuggì lo stato del Baronetto, e più volte il richiesero della cagione della sua ipocondria. Colui dava sempre vaghe risposte, e negava che avesse motivi di essere sovra pensieri, ovvero adduceva per causa qualche disavventura immaginaria.
Ma il sorriso non più ispuntava in sul labbro di Edmondo, la cui salute incominciò a risentirsi della prostrazione del suo spirito. E quanto più egli si accorgeva di dar giù nella salute, tanto più crescevano in lui le apprensioni, l'abbattimento, i fantasmi della morte e le agonie d'una debolezza di spirito singolare e straordinaria.
Invece di procacciarsi distrazioni, egli prendea diletto ad immergersi nel fitto pensiero che il torturava. È questo uno de' più strani fenomeni dell'umana natura, che cioè l'uomo trovi una certa voluttà nel pensare continuamente a quelle cose che più gli danno argomento di pena e di melanconia. Lo sventurato si attacca alla sua sventura, si ammoglia con essa, la tiene strettamente abbracciata con sè: vi s'inebbria fino alla mattezza: ogni distrazione gli riesce pesante, amara, insopportabile. Egli ama soltanto di sentir parlare della sua sventura; detesta chiunque cerca di strapparlo per poco dall'idolo suo, e maledice quella mano che si studia di arrecargli balsamo e sollievo.
Oh, se la malinconia di Edmondo fosse stata figlia del pentimento! Oh, se il pensiero della morte fosse stato ispirato in lui dalla religione!
Egli sarebbe stato felice, pienamente felice, imperocchè vi ha nelle vita dei momenti in cui l'anima sente il bisogno di contristarsi, in cui, esaurito quel circolo limitato di usuali svagamenti, essa non può trovare un godimento che nella tristezza; non già quella tetra ch'è figlia di gravi infortunii, o cagionata da tormentosi rimorsi, il cui solo falso raggio di speranza è il nulla della morte, e che ama di pascersi nelle tenebre della notte e fra gli orrori delle tombe; non già quella disperata e funesta in cui cade il cuor d'un padre o d'una madre nel veder languire gli amati figliuoli nella miseria, o da altra simigliante sventura oppressi; ma sibbene quella cara e misteriosa tristezza che nasce nell'anima dall'innato amore del sublime e del bello; quel sacro dolore, che diffondono sul cuore le pagine de' salmi o le tenere carte Davidiche: quella tristezza a cui ne invita il racconto di qualche nobile azione, di qualche compassionevole avvenimento; quella dolcissima tristezza infine, di che inebbriano la nostr'anima il patetico suono delle onde del mare, il mormorio delle vergini foreste, un gemito dell'aura nel silenzio della sera quando si medita sulle ruine coverte di edera e di musco, un raggio di luna che segna sul terreno la croce di selvaggia tomba.
Avvi un'altra sorta di tristezza, necessaria all'anima, come la medicina al corpo infermo, ed è questi la tristezza del pentimento. Ah! chi mai non sentì, una volta almeno in vita la necessità di questa tristezza?
Augusta figlia della religione, sublime tristezza del pentimento, tu sei sacra come la voce della virtù, inviolabile come l'innocenza, soave come la speranza, per te l'uomo volge atterrito uno sguardo al passato, ed interroga gli anni scorsi nell'obblio della vita; è per te che un raggio di calma penetra il cuore dell'uomo colpevole, e diffonde sulla sua anima quella beata tranquillità dell'innocenza, a cui sortilla il Creatore.
Ma il codardo affanno di Edmondo non proveniva, siccome dicemmo, dal pentimento. Una idea fissa e terribile il perseguitava, un'immagine che gli mettea il ribrezzo e lo spavento nell'anima: il suo Cadavere!
Edmondo facea paura a se medesimo, appunto come gli avrebbe fatto paura il suo cadavere, se egli lo avesse veduto. Questa fissazione era in lui mantenuta ed eccitata dal continuo riguardar ch'ei faceva sovra i dipinti di un gran volume di anatomia e di osteologia, nel quale erano varie grandi tavole con disegni dello scheletro e del corpo umano spogliato de' suoi naturali tegumenti. Oltre di che, il forsennato si abbandonava con delizia alla lettura de' libri più tristi e di quelli più malinconici.
Di notte tempo, e quando la natura, e gli uomini riposano, quando l'infelice che ha pianto ritrova nelle braccia del sonno il conforto e la calma, quando nessun esterno oggetto colpiva più i suoi sensi, Edmondo si mettea col pensiero faccia a faccia col suo Cadavere.
Avvolto nelle seriche sue coperte, colle pupille spalancate fisse sulla lampada d'oro che rischiarava la vasta sua camera da letto, immobile e freddo, il milionario immergeva il tremante pensiero nelle viscere della terra, e con orribile minutezza s'immaginava al vivo la dimora del proprio corpo colà dove tutto è silenzio e oscurità. Ci sforzeremo di ritrarre, per quanto ci sarà possibile con parole le immagini che si affacciavano alla mente di quell'uomo nelle ore notturne, e quando il sonno fuggiva dai suoi occhi deliranti.
Edmondo si vedea disteso in angusta bara ricoperta da sei palmi di terreno: l'aria, lo spazio e la luce erano scomparsi: ei si sentiva in sul petto il peso della terra, sulla quale più non dovea riporre il piede, quella terra su cui egli avea signoreggiato col suo oro, e che pareva tanto angusta all'ardenza de' suoi piaceri. Le voci degli uomini, i canti serotini, le parole dolcissime di amore e di amicizia più non colpivano le sue orecchie: nessun rumore! nessuna voce!! Il silenzio, assoluto, eterno, il circondava! Edmondo si sentiva consumar la carne; e le ossa, che prima erano ascose, discoprirsi a poco poco. La corruzione, figlia della morte, abbrancava la sua preda; e i vermini, figli della corruzione, se ne impossessavano e penetravano a schiere, a migliaia nell'organismo in isfacelo! L'organismo del corpo, la più bella opera della natura, il capolavoro della Creazione, la lunga e penosa fattura delle visceri d'una madre, quell'organismo che dava sussulti di amore, di tenerezza, d'ineffabili angosce al cuore de' genitori, che per tanti anni la natura avea protetto contro le esterne ingiurie della materia bruta, quell'organismo tessuto con tanta profonda saggezza divina, miracolo quotidiano, magistero sublime, perfezione della materia, marciva qual sucida poltiglia, pasto d'immondi animali senza nome, ignoti forse all'uomo vivo.
Se domani mi cercherai, più non sarò! Queste sacre parole faceano raccapricciare e rizzare i capelli al milionario. Egli guardava attorno a sè con ispavento, interrogava i palpiti del suo cuore; i battiti del suo polso, per assicurarsi della vita. La lampada d'oro che illuminava la camera prendeva strane forme ai suoi occhi, e le ombre che sprolungava in sulle pareti si trasformavano in oggetti sepolcrali.
Il pensiero di Edmondo era fisso, inchiodato alla bara, e la fissazione era tale, e l'esaltamento della fantasia era così grande che il misero si credea già divenuto cadavere. Un'agghiacciata immobilità lo colpiva: i suoi occhi più non iscorgeano la fosca luce che ondeggiava incerta e ombrosa in sulle sue pupille, quasi trasparenza di un funebre lenzuolo: le sue braccia e le sue gambe sembravano rifiutarsi alla sua volontà, sorprese dal ghiaccio di morte.
Edmondo si ridestava con balzo convulsivo da questa tremenda illusione; si alzava a metà sul suo letto, pallido, cogli occhi stralunati, colla barba che parea sollevarsi di spavento come i peli dell'istrice: egli afferrava la corda di un campanello e con violenza estrema suonava al soccorso; e comandava al cameriere di accendere i torchetti dei doppieri in sulle mensole, di schiudere le imposte dei terrazzini, di starsi vicino a lui, di fargli udire la sua voce. Il cameriere eseguiva, stupefatto dalla stranezza de' comandi del suo padrone. Qualche volta i lumi rimanevano accesi per l'intera notte, e non erano spenti che in sull'alba, ora in cui sulle stanche pupille di Edmondo scendeva il ristoro del sonno. L'infelice più non dormiva che colla luce del giorno.
Simiglianti notturni fantasimi erano più terribili ancora quando il misero era preso dalla paura che cagionavagli il pensiero di essere sepolto prima ch'ei fosse in realtà spirato. Gli esempi che si citavano di persone, le quali, per apparenza di morte, erano state portate alla tomba ancora viventi faceano sobbalzare i capelli del ricco Baronetto, e gli metteano la febbre nelle vene, il delirio nella ragione. Egli leggeva sempre un'opera tedesca intitolata La morte apparente, nella quale con molti argomenti si dimostra la facilità di esser tratti in inganno su gli esterni segni di morte.
Talune notti Edmondo, non potendo trovar calma nel suo letto in cui vedea la sua tomba, e sul quale ei pensava che dovea rimaner cadavere prima di essere trasportato all'ultimo soggiorno, si alzava, si vestiva, e dava di lunghi passi nella sua camera, stordendosi col rumore delle proprie pedate. Coverto da lunga veste di camera, colle braccia incrociate, quella sua lunga barba nera spiccava in sul volto pallidissimo e dava alla sua persona l'apparenza di un fantasma che percorresse quel vasto appartamento.
Alcune altre volte egli si addormentava sovra una poltrona; ma non sì tosto avea chiuse le palpebre, sogni terribili se gli affacciavano all'egra fantasia. Gli sembrava di esser tolto di peso dalla poltrona dalle braccia di due nerboruti becchini, i quali il deponevano in una cassa mortuaria a dispetto delle alte strida ch'ei gittava, e gl'inchiodavano sul capo un coverchio di ferro. E mentre quei barbari si accingevano a porlo nella bara, ei vedeva tanta gente nella sua camera, e tra le altre persone distingueva due donne e tre giovani robusti e pieni di vita, che si affrettavano ad aprire gli armadi e i cassettini per impadronirsi del suo oro. Ci era benanche una donna dalle chiome sparse sulle spalle, dagli occhi bellissimi e neri come la notte, la quale rideva... a sganascio, dappresso al cadavere di lui, e mostravagli una larga ferita che si era fatta nel seno, e additavagli un bambino macilente che le giaceva ai piedi. Il rumore e le grida di esultanza che risuonavano in quel vasto appartamento soffocavano i gemiti di lui che si dibatteva sotto i pugni de' becchini.
Edmondo si svegliava da questi sogni con un batticuore insopportabile, e più non potea richiudere le palpebre, anzi temeva di riprender sonno per non essere novellamente torturato da larve di tal natura.
Da oltre un anno, Edmondo era vittima della sua fantasia. La sua fissazione lo avea talmente ridotto a male ch'egli si affrettava a grandi passi verso quello stato, cui tanto temeva. Il milionario parea che avesse fretta di divenir cadavere.
Eragli non pertanto rimasto bastante filo di ragione per fargli concepir rossore della sua propria debolezza, sì che mai non ebbe il coraggio di svelare la cagione delle sue sofferenze.
Ma si avvide ben presto che bisognava trovar rimedio a tanto male; decise quindi di vincere la ripugnanza ch'egli aveva a far palese la strana causa del deterioramento della sua salute.
Il domani, ben per tempo, scrisse al suo medico di recarsi sul momento a Schoene Aussicht.