Francesco Mastriani
Il mio cadavere
Lettura del testo

PARTE III.

VI. La ricchezza.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

VI.

 

La ricchezza.

 

 

 

Dicemmo che il casino del Baronetto era composto di due piani. Nel secondo Egli dormiva, essendo esso la consueta sua abitazione; in questo era una stanza decorata con tutto ciò che può allietare i sensi, e fornita di quanto è necessario per le comodità della vita. Era questa la stanza, in cui il Baronetto passava la maggior parte de' suoi giorni, e dove la sera riunivansi gli amici per prendere il e per abbandonarsi agli allettamenti della conversazione. Questa stanza riguardava i più ameni paeselli e villaggi alemanni che attorniano le rive del Reno: due ampie finestre si aprivano a mezzogiorno e ad oriente. Questa stanza, dal colore dei suoi paramenti, era chiamata la Camera verde.

Il secondo piano rispondeva al primo per via d'una magnifica scala interna di marmo greco a tre branche, su ciascun pianerottolo delle quali era una statua dei più rinomati artisti, e vasi di fiori odorosi e di piante fiorite di cedri o di oleandri: ringhiere e bracciuoli del più fulgido cristallo inglese e del più capriccioso disegno ornavano le branche di questa scalinata, a piè della quale un'illusione di giardino guidava al quartiere del lusso, ch'era appunto il primo piano.

Non ci allungheremo a dipingere alla immaginazione dei nostri lettori la splendidezza di questa magione da fate. Conciosiachè piccole le camere, ciascuna era un gioiello di civetteria di eleganza, di gusto; ciascuna riuniva in sola il confortable d'una casa inglese. Visitando quella scacchiera di stanze, tutte eguali, rettangolari, forbitissime, ma silenziose e deserte, ti si apprendeva all'animo un senso di mestizia, pensando che in quelle fulgide pareti non risuonava il rumoregrato agli orecchi di Dio, il rumore della famiglia!

Quella solitudine e quel silenzio ti piombavan pesanti sul cuore come se avessi visitato l'interno di un principesco mausoleo.

Rarissime volte il Baronetto scendeva al primo piano. Nei primi anni della sua dimora a Schoene Aussicht, e quando il filosofo non avea del tutto dimenticato il Cavaliere del Firmamento, quel primo piano era designato ad accogliere qualche pellegrina visita, o qualcuno dei vecchi amici di follie di Sierra Blonda, comecchè questo caso fosse più raro, a cagione della cautela che Edmondo metteva a tener celato il suo ritiro. Ma da un pezzo il primo appartamento di Schoene Aussicht non riceveva più ospiti di genere equivoco, ed ora si contavano parecchi anni dacchè lo stesso padrone non vi poneva il piede. Nondimeno il quartiere era mantenuto con la massima nettezza, come se ogni giorno avesse dovuto accogliere un cospicuo personaggio.

Questo primo piano era quello appunto che il Baronetto ordinava a residenza del giovine pianista italiano, ed in esso propriamente volle riceverlo per la prima volta.

Era in questo appartamento un salottino messo con un lusso così sfacciato e con sì incredibile magnificenza che nell'entrarvi l'occhio vi rimaneva abbagliato, attonito, sorpreso. L'adornamento di questo salotto costava al Baronetto un denaro che avrebbe potuto formare la fortuna di cento famiglie. Diremo soltanto che molti mobili ivi contenuti erano di oro massiccio, e che vi erano due seggiole d'avorio, a forma di baldacchini, lavorate sul gusto cinese, e ricoperte da cuscini orientali. Edmondo avea voluto profondere enormi somme nell'addobbo di questo primo piano, ed in particolar modo di quel salotto per quella eccentricità che formava sempre il fondo del suo carattere, e per vaghezza di contemplare raccolte in piccolo spazio le meraviglie del lusso e delle arti. La ricchezza pompeggiavasi in tutto il suo orgoglio in quel ricinto dove l'oggetto più misero, più fragile, più perituro, più dappoco che vi si vedesse era per lo appunto il padrone di tante dovizie. E bene faceva Edmondo ad entrare di rado e quasi non mai in quel salotto, che tacitamente lo scherniva e gli additava i sei palmi di fetido terreno che gli erano destinati per ultimo asilo.

In questo salotto Edmondo ricevè Daniele.

Perchè si era così affrettato il giovane pianista ad accorrere all'invito del Baronetto? Perchè già gli era giunto all'orecchio il suono delle grandi ricchezze del solitario di Schoene Aussicht, e Daniele non credè a' propri occhi nel leggere il biglietto del nobile. Il suo cuore gli diceva ch'era quella un'occasione propizia; che forse il Conte di Sierra Blonda avrebbe potuto esser per lui una sorgente di fortuna; che forse quell'uomo il quale vivea lontano dai rumori della città e de' divertimenti sarebbe per lo meno un filosofo amico delle arti e incoraggiatore splendido de' giovani artisti. Checchè avesse tra pensato il nostro Daniele, il fatto è che volò come un fulmine all'invito che gli sopraggiunse caro per quanto inaspettato.

Rinunciamo a dipingere la maraviglia di Daniele veggendosi introdotto in quella casa e proprio in quel tempietto d'oro, di cui abbiam parlato: il colse un capogiro, una vertigine: era quel salotto il riverbero dell'anima sua, lo specchio de' suoi ardenti desideri: quell'oro riflettevasi a sprazzi di fuoco nel suo cervello, e rimescolava le sue idee e confondeva la sua ragione più meno che se fosse stato un barilotto di poderosissimo vino.

Tanta fu la luce che balenò da quel salotto che Daniele non vide il Baronetto, il quale, vestito a nero, era seduto sovra un piccolo canapè a forma di conchiglia. Edmondo era così pallido, così emaciato, che il suo volto parea dileguarsi in sulla nera barba che gli scendeva insino al petto.

La voce del Baronetto trasse Daniele dall'estasi in cui era immerso, e chiamò i suoi sguardi attoniti sul nume di quel tempietto.

Sedete, bel giovane. Non siete voi l'egregio pianista signor Daniele de' Rimini?

Edmondo avea parlato in francese; era nell'accento e nella voce di quest'uomo qualche cosa di cupo e affannoso che colpì all'istante il giovane artista, il quale con leggiero imbarazzo rispose chinando i begli occhi:

Perdonate, signor Baronetto, al mio imbarazzo e al mio stupore, cagione della scortesia che ho commessa nel non riverirvi appena son qui entrato. Le arti umili e dimesse veggonsi confuse alla presenza di tanto splendore. D'altra parte, vi confesso che io mi aspettava di entrare nell'ostello della filosofia, perocchè il grido delle vostre estese cognizioni....

— E non vi siete ingannato, interruppe il Baronetto, nel credere che avreste trovato in me un filosofo, il quale per altro ha la sventura di esser ricco! Ma, di grazia, accomodatevi, signor de' Rimini.

Daniele salutò col capo e con molta osservanza il Baronetto, e si sedè in faccia a lui sovra altro divanetto a forma di sfinge, ripetendo tra con estremo stupore, e come se avesse cercato di capire il senso di quel paradosso: Il quale per altro ha la sventura di esser ricco!!

Edmondo avea fitto lo sguardo sul sembiante di Daniele e massime negli occhi che gli avean fatto una impressione gratissima. Fin dal primo affacciarglisi del giovane italiano, il Baronetto avea provato un subitaneo sentimento di simpatia; onde trasse lieto augurio pel tentativo di curagione che gli era consigliato dal Dottor Weiss.

Daniele era davvero un vago e gentil giovanotto. Un leggiero accrescimento di salute congiunto alla situazione in cui trovavasi colorava il suo volto di una tinta di rosa. I viaggi avean data ella sua complessione maggior vigorìa e a tutta la sua persona un'aria di più gran distinzione. Questa volta due leggiadre basette coronavano le sue labbra, andandosi a congiungere con un semicerchio di barba che gli circondava il mento; il suo sguardo era animato dalla vivacità della giovinezza, della salute e del genio.

— La fama della vostra somma abilità nell'arte musicale è giunta infino al mio solitario ritiro, disse Edmondo guardando sempre con compiacenza il giovane italiano: la mia salute non mi permette di andare al teatro ed avere il piacere di sentirvi a suonare; ed io anelava di conoscervi: ecco la ragione per cui vi ho pregato di onorarmi.

— Che dite mai, signor Baronetto! Ascrivo ad un particolar favore della mia sorte l'avermi procacciato un tal piacere ed onore, rispose Daniele, a cui le parole del Conte facevano un effetto gradevolissimo.

— Fuori cerimonie, signor de' Rimini, io sono filosofo e voi siete artista; la filosofia e le arti si vantano di schiettezza; la ragione e la verità sono le loro basi. Io dunque vi parlerò il linguaggio dell'affetto più che quello delle convenienze.

— Dell'affetto! Signor Conte! esclamò Daniele trasalendo di gioia.

— Sì, dell'affetto. E pria di tutto vi confesso ch'io trovo nella vostra fisonomia qualche cosa che m'innamora voi. Non so perchè, ma in entrando in questo salotto, le vostre sembianze mi han tocco profondamente.

— Ebbene, signor Baronetto, dal canto mio vi confesserò parimente che la vostra voce e la vostra fisonomia ha fatto in me un'impressione così grata, ch'io non dimenticherò in tutta la mia vita la vostra persona. Ma un tale piacere mi viene amareggiato dalle parole che testè mi avete dette, signor Conte.

— E quali?

— Che lo stato della vostra salute v'impedisce di uscire.

— È vero, io soffro, bel giovanotto, soffro assai; ma chi sa! forse dovrò a voi, se non l'intera mia guarigione, qualche ora almeno di sollievo.

— Deh! piaccia al cielo ch'io possa avere il piacere di contribuire al ricuperamento della vostra salute!

— Ne ho speranza, e soprattutto da pochi momenti a questa parte. La vostra sola presenza ha già prodotto in me un effetto salutare. Che età avete, bel giovine?

— Sto nel ventesimoterzo anno della mia vita.

— Così giovine e già pieno di gloria!

— La gloria! ripigliò il pianista, la gloria! L'è gran bella cosa la gloria, è vero, ma non basta alla felicità dell'uomo in su la terra. Oh! se io fossi ricco!

— Oh! che mai dite! ricco! Ebbene, guardate, mirate il mio volto; son io felice? Eppure io sono due volte milionario.

— Due volte milionario!! esclamò Daniele con gli occhi di fuoco, e il suo petto si gonfiò, e dalla sua bocca, dalle sue narici il fiato usciva con impeto. La trista corda dell'anima sua era tocca.

— Sì, due volte milionario, ripetè il Baronetto, e ciò non ostante io sono la più misera creatura che sia nel mondo.

— Voi, Signore!

— Io, io propriamente, io darei la metà di quanto posseggo, purchè dormissi una sola notte il sonno che si dorme alla vostra età, e colla vostra salute.

— Oh mio Dio! tanto voi dunque soffrite, signor Conte!

— Tanto io soffro! ripetè come un'eco sepolcrale il Baronetto.

Ebbero luogo tra quei due personaggi pochi momenti di silenzio; poi Edmondo riprese:

— Vi farò una proposta signor de' Rimini, e voglio sperare che l'accetterete

— L'accetto, signor Conte, rispose Daniele con fermezza.

— Anche prima di sapere di che si tratta?

— Qualunque cosa mi proponiate, io l'accetto, tornò a dire il giovine con risolutezza.

— Ed io vi ringrazio con tutta l'anima signor de' Rimini, e spero non essere ingrato alla premura che mi dimostrate. Io dunque vi propongo di passare un mese in questa città di Manheim, e, se non vi dispiace, in questo casino. Vedete quanto ardisco sperare da voi! e adattarvi a viver con un povero infermo qual son io!

— Un mese! esclamò quasi tra Daniele.

— Un mese, due o tre, il tempo che vi piacerà. E giacchè intendo godermi io solo le vostre accademie, è giusto ch'io le paghi. Vi offro dunque trentamila franchi al mese.

Trentamila franchi al mese! ripetè con occhi di pazzo il pianista, e il suo cuore fece un balzo terribile. E ditemi, signor Conte, trentamila franchi al mese che somma fanno a capo di un anno?

Trecento sessantamila franchi, rispose Edmondo, vale a dire circa 63,000 piastre di Spagna.

— Non basta!! esclamò scoraggiato Daniele, e quasi avesse risposto ad una interrogazione che avea fatto a medesimo.

Edmondo fu estremamente sorpreso da quella frase, ch'egli credè diretta a .

— Così giovane e così assetato di ricchezze! esclamò tra il Baronetto; è inconcepibile!

Daniele capì l'errore che aveva commesso, arrossì tutto e si affrettò a dire:

Perdonate signor Conte, non a voi era diretta quella frase che testè mi è sfuggita dalle labbra. La somma che voi mi proponete è una fortuna immensa per un povero artista qual io sono, ma io non posso rimanere sì a lungo in Germania. Mi permetterete adunque ch'io accetti solamente per un mese, e mi darete quella somma che vorrete.

— Sia dunque per un mese, disse Edmondo: a contare da questo giorno, n'è vero?

— Da domani, signor conte.

— Ebbene, domani vi aspetto: questo appartamento vi sarà assegnato; le mie carrozze e i miei servi sono a vostra disposizione fin da questo momento.

Daniele era per accomiatarsi dal Baronetto, quando nel salotto entrò il dottor Weiss. Edmondo prese per la mano il giovine italiano, e, presentandolo al medico, disse:

Dottore, ecco il signor de' Rimini, il RIMEDIO che mi avete proposto. Egli è mie ospite per un mese.

Davvero! Voi, signor de' Rimini...

Il medico s'interruppe indi ripigliò:

— Ma, è strano! è curioso! è incredibile! Signor Conte, questo giovinotto vi rassomiglia a capello: quegli occhi sono i vostri, quella fronte è la vostra, quel naso è il vostro..... Ah! ah! ci sarebbe da scommettere che il signor de' Rimini vi è figlio!

Questo scherzo fu una scossa elettrica per quei due personaggi, che si guardarono, arrossirono e impallidirono, come se quella parola gittata così per celia fosse stata una inattesa rivelazione.

 

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License