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III.
Nell'immensa varietà delle anime, studio interminabile del filosofo e dell'artista, subietto inesauribile di meditazioni, s'incontrano non di rado talune individualità così caratteristiche e singolari da richiamare tutta l'attenzione dell'osservatore. Sono uomini che si elevano, col volo delle loro aspirazioni, alle più alte regioni dell'umanità, la virtù è tutto per essi, il mondo nulla; la società in cui vivono non ha la forza d'inceppare il nobil pensiero colla trivialità delle pegole e delle convenienze o colle infinite esigenze meschine di giornalieri bisogni: la virtù è la loro esistenza, non già quella virtù di convenzione e di uso, ma quella che agli occhi dell'uom volgare è un eroismo giornaliero, e che tanto è più sublime quanto più oscura e dispregiatrice di vana gloria. La terra ove poggiano il piede non ha per essi più attrattive ed importanza del ramoscello su cui l'augelletto si ferma un momento per librare il volo: il frale è per essi l'involucro esoso dal quale ardono di sprigionarsi.
Nel novero di questi uomini era Maurizio Barkley, il quale seppe elevarsi sopra l'ignobilità della sua razza.
Nel mondo morale avviene lo stesso che nel mondo risico. Le apparenti irregolarità, ch'eccitano la nostra collera, che fan profferire giudizi! torti e temerari, che confondono la nostra scienza futile e vanitosa, sembrano tali per la ragione che noi le veggiamo da un punto solo e colla limitatissima estensione della nostra vista.
Tutto può parere irregolare agli occhi dell'uomo: tutto è livellato agli occhi di Dio.
Le grandi anime combattono più delle altre co' corpi, ne' quali sono ristrette: la deformità, le malattie o la miseria stringono ne' loro ceppi crudeli i più nobili istinti: le intelligenze non s'inalzano che sulle ruine della propria creta. L'ingegno che crea deve scendere dalla sua altezza per provvedere al tozzo di pane che dee soddisfare alla richiesta dello stomaco; e sovente quel tozzo di pane non sarà ottenuto che a forza di umiliazioni, d'improbe fatiche, di sofferenze. La società venera l'ingegno, lo ammira; ma lo lascia perir di fame. L'ignoranza spesso accompagna le ricchezze; gli onori del mondo sono spesso il corredo del vizio, e la virtù si trova anelli più sovente sotto i cenci.
La più nobile anima era nel corpo della più vil creatura, nel corpo d'uno schiavo; Maurizio Barkley l'abbietta mercanzia comprata con pochi scellini, l'ultimo e più dispregevole dei Chattels15 acquistati dal baronetto Edmondo Brighton, aveva ricevuto da Dio un'anima sublime.
Il nome di Maurizio Barkley fu dato a questo schiavo dallo stesso Edmondo poscia che quegli lo ebbe salvato da sicura morte nel Circo di Cuba. Il nome che si aveva Maurizio per lo addietro altro non era che Quickeye (occhio celere) per l'acutezza della sua vista, onde rendeva importanti servigi nella caccia delle bestie feroci.
Maurizio era nato nella Colonia del Capo nella Cafreria: i suoi genitori, schiavi probabilmente, erano sconosciuti. All'età di sei anni appena egli fu venduto ad un mercante di schiavi e trasportato nelle Indie Inglesi, a Patna, capitale del Behor, all'occidente del Bengala. Le maschie fattezze del suo volto l'estremo coraggio che fin dall'infanzia aveva appalesato, la somma intelligenza che lo distingueva, il resero caro al suo padrone, che giammai non volle disfarsene a qualunque prezzo.
Ma alla costui morte Maurizio venne imbarcato, assieme ad altre centinaia d'infelici suoi compagni, e menato in America, dove fu comprato dal Baronetto Edmondo.
Dicemmo che dopo l'avvenimento della lotta col toro, Edmondo, che aveva scoperto in Maurizio il cuore più nobile ed elevato, lo innalzò alla dignità di uomo, gli tolse il soprannome di Quickeye, e tutt'i segni della schiavitù; gli diede il nome di Barkley, voleva dargli la libertà; ma questi ricusò per affetto straordinario ed immenso che portava al suo padrone. Ma Edmondo il considerava come uomo libero, e gli pose anch'egli amore adosso. A sè lo avvinse come tenerissimo amico, e gli accordò la più illimitata fiducia, raccontandogli tutta la trascorsa sua vita e le follie della sua giovinezza.
Abbiam detto in altro luogo che oltre all'incarico di vegliare su i passi del Duca di Gonzalvo a Napoli, Maurizio aveva ricevuto dal Baronetto un'altra missione. E qual si era questa? La più dilicata, la più nobile, la più scrupolosa che fosse stata mai affidata ad un uomo al mondo.
Maurizio aveva da molti anni l'incarico di badare al sostentamento di cinque creature, figli naturali di Edmondo, e di cui egli conosceva perfettamente la dimora e lo stato di vita.
In che modo Maurizio adempiva a questa singolare e bizzarra missione, a cui il Baronetto l'aveva destinato per sedare alquanto i rimorsi della propria coscenza?
Maurizio riceveva ogni mese una somma, metà della quale serviva pe' suoi bisogni e per mantenersi con tutto il decoro d'un ricco gentleman (condizione indispensabile pel disimpegno del suo mandato presso il Duca di Gonzalvo) e l'altra metà era destinata al sostentamento de' cinque giovinetti, frutti delle giovanili follie di Edmondo, e per pagare gli agenti subalterni della fiducia di esso Maurizio. Questi cinque giovanetti, tra i quali era Daniele, e di cui due eran donne ricevevano la somma mensuale di cinquanta ducati.
Maurizio teneva un agente di sua confidenza in ciascun paese ove dimorava uno de' figli del Baronetto. Prima di fissarsi in Napoli, Maurizio aveva personalmente visitato, secondo le indicazioni ricevute dallo stesso Baronetto, ciascun fanciullo, al cui sostentamento egli dovea badare, ed erasi con la massima scrupolosità accertato dell'identità degl'individui.
Con quanta dilicatezza ei dovesse diportarsi a tal riguardo e con qual circospezione, è ben facile immaginare, tanto più se ponesi mente allo stretto divieto ch'egli avea di far conoscere la provenienza del sussidio mensuale ch'ei recava o facea recare a' figli del Baronetto. Benchè Maurizio avesse prescelto per agenti subalterni uomini di una probità a tutta pruova, li teneva però perfettamente al buio su tutto ciò che non era pratica di amministrazione; ei si serviva di questi uomini come di semplici braccia, come di strumenti meccanici e non intelligenti. Ogni mese Maurizio ricevea le cinque ricevute da' cinque individui che riscuotevano il denaro, e quelle ricevute ei mandava fedelmente al Baronetto, il quale vedeva a tal modo ogni mese la scrittura de' suoi figli, ed il suo cuore era almeno in ciò pago nel conoscere che questi innocenti non pativano difetto de' mezzi di vita.
Durante la dimora di Daniele a Manheim e nella casa del Baronetto, questi ricevè una volta da Maurizio Barkley, e tra le altre quietanze de' suoi figli, quella benanche di Daniele, tranne che questa portava per cognome Fritzheim non de' Rimini, imperocchè, se ben ricordano i nostri lettori, la prima volta che Daniele firmò la ricevuta de' cinquanta ducati, egli stava ancora in casa di Giacomo lo stradiere, e non si era dato ancora il fittizio cognome di de' Rimini. Oh, se Edmondo avesse potuto sospettare che il giovine pianista italiano, Daniele de' Rimini, che albergava nella sua medesima abitazione, ed al quale egli aveva posto addosso tanto amore, altri non era che Daniele Fritzheim, suo figlio, frutto dell'infame seduzione sulla persona della sventurata Juanita di Gonzalvo!
Ed oh! se Daniele, nel ricevere da ignota mano nel ricco ostello di Manheim la consueta polizza, avesse potuto supporre, che il vero donatore di quel danaro mensuale altri non era che il Baronetto Edmondo, Conte di Sierra Blonda, suo padre!
Per qual cagione Edmondo avea, formalmente vietato a Maurizio Barkley di rivelar giammai ai propri figli, e per qualsivoglia circostanza, il suo nome, le sue qualità, il suo ritiro e i vincoli di natura? Edmondo avea fatto tanti sventurati, avea portato il disonore in tante famiglie, ch'ei voleva, risarcendo in parte il male che avea fatto, rimanere ignoto a tutti, abbandonarsi senza disturbi alla vita riposata e tranquilla che si riprometteva di menare nel ritiro di Manheim. D'altra parte, ei temeva le private vendette, gli odii, le gelosie: temeva le rappresaglie de' suoi tanti nemici. Tra il suo passato e il suo avvenire, egli avea posto una barriera, che volea non fosse valicata neppure dalla più nobile e sacra passione: l'amor paterno.
Un'altra circostanza dobbiamo ricordare ai nostri lettori, perchè nulla rimanga a tal riguardo senza spiegazione. Allora che Daniele si presentò per la prima volta agli occhi di Maurizio Barkley, questi pronunziò le seguenti parole: Alla buon'ora! Eccone uno che gli rassomiglia! Ora non è più necessario spiegare il sentimento di questa frase. Maurizio alludeva alle sembianze degli altri quattro figli di Edmondo, dalle quali non avea potuto trarre nessun argomento di somiglianza.
Quando Maurizio ricevè in Napoli la quietanza di Daniele in data di Manheim, ei fu sorpreso del caso bizzarro, che riuniva nello stesso paese il padre ed il figlio; ma nulla sapeva ancora che il pianista dimorasse a Schoene Aussicht, vale a dire nella medesima abitazione del Baronetto. Laonde non sappiamo dire da quanta meraviglia ei fosse preso nel ricevere dallo stesso Baronetto una lettera in cui questi gli dava notizia di aver dato ospitalità al pianista italiano Daniele de' Rimini. Maurizio ben conosceva chi era Daniele de' Rimini. Da questo momento oltre ogni credere delicata e difficile addivenne la posizione del povero Maurizio. Doveva egli rivelare al genitore la dimora del figlio nella propria casa?
Maurizio non prese a questo riguardo alcuna risoluzione, aspettò un'altra lettera dal Baronetto per potersi decidere a qualche passo.
Ogni giorno, Maurizio andava in casa del Duca di Gonzalvo, e questi lo ricevea sempre colle dimostrazioni della più grande amicizia, imperocchè il Duca avea sperimentato nel giovine inglese una esemplare probità ed un carattere franco, leale ed integerrimo. Edmondo, colle sue estese relazioni, avea fatto scrivere per Maurizio una possente lettera di raccomandazione dalla Spagna al Duca di Gonzalvo in Napoli, e questa lettera fu il mezzo d'introduzione per Barkley nella casa del nobile spagnuolo; il quale accordogli in seguito sì fattamente la sua fiducia che le porte della sua casa erano aperte in ogni ora del giorno all'Esquire Maurizio Barkley.
E, quasi tutti i giorni, Maurizio vedeva Emma; spesso intrattenevasi con lei, non ostante quella specie di ripugnanza che la figliuola del Duca di Gonzalvo mal dissimulava contro di lui. Ma la condotta, le parole dello Esquire Barkley erano irreprensibili, ed Emma non ebbe giammai a dolersi della minima infrazione che quegli avesse commessa alle leggi del buon vivere. Ciò non pertanto la fanciulla andalusa era sovente imbarazzata dallo sguardo d'acciaio di Maurizio, il quale sembrava voler penetrare nelle più recondite latebre del cuore di lei. La fisonomia dell'Inglese, ordinariamente fredda e marmorea, acquistava dappresso a lei un'espressione indefinibile; que' suoi occhi africani lucevano come due pugnali, e il colore del suo volto da olivastro diveniva bianco.
Emma ammirava talvolta il complesso della testa di Maurizio, che aveva qualche cosa di straordinario e di eccezionale. I suoi capelli folti, duri e ricci gli tempestavano le tempia e la parte posteriore del collo come ispida foresta, e le sue sopracciglia ingrossate dall'ardente sole della Cafreria si spiegavano come due archi terribili su le due nere frecce degli occhi: era nell'espressione e nel taglio del suo capo qualche cosa del leone.
Nelle fattezze di quest'uomo era la natura selvaggia e indomita unita a quella impronta di nobiltà che la virtù solamente può dare agli uomini. Nel tempo stesso la schiavitù avea lasciato il suo marchio indelebile nel carattere di lui cupo, aspro e sospettoso; quell'anima ardente nata per amare era stata defraudata financo del più caro sentimento, l'amor filiale. La più brutale condizione era stata a quell'uomo nel cuor del quale, fin dalla più tenera infamia, era stata distillata ogni più bassa e truce passione, le quali per altro non aveano potuto attecchirvi.
Abbiamo detto che Maurizio vedeva Emma quasi ogni giorno. Quell'uomo ch'era arrivato all'età di trentadue anni nella maggior severità di pudore, e che non pertanto sentiva nel petto le fiamme del cielo africano; quell'uomo che sentiva ribollirsi il sangue al solo udir parlare d'amori non potea veder Emma tutt'i giorni senza rimanere attossicato dagli occhi della spagniola. Ben presto una passione cupa si scavò un passaggio nella sua anima come una mina nelle visceri della terra. E questa passione crebbe, crebbe alimentata da tutta la volontà dello stesso Maurizio, il quale trovava in essa la più grande felicità della sua vita. Stranezza incomprensibile! Maurizio era felice nel suo amore sepolcrale: nessun raggio di speranza balenava su esso; e questo appunto alimentava la nascosta sua fiamma. Giammai non gli venne al pensiero l'idea d'una corrispondenza di Emma, però che questa idea era per lui un assoluto impossibile. Intanto egli era felice di amare Emma: era questo amore il suo culto, migliore assai di quel barbaro feticismo che gli avevano insegnato colle nerbate nella schiavitù.
Questo solitario amore dava a Maurizio le più singolari tendenze. Sovente egli si recava ne' luoghi più remoti e campestri, visitava i villaggi che circondavano Napoli, montava l'erta del Vesuvio o de' Camaldoli, ed ivi, seduto su qualche collina, o alla vista del mare, egli si abbandonava a tutta la malinconica tenerezza della sua anima. In così fatte interne conversazioni egli si apriva interamente a se stesso, e si piaceva di confidare all'aura del celo i sentimenti del proprio cuore. L'immagine di Emma era la sua compagna: quell'immagine cara prendeva agli occhi di lui forme eteree e leggiere; rivestiva i colori della nugoletta indorata che attraversava la tacita volta del cielo; nella forma di sottil nebbia si piegava sulle onde del mare, quasi per udirne i segreti, si raccoglieva sotto l'ombra di un platano, o si sfumava colla luce nel lontano orizzonte. Chi può dire le strane visioni di un'anima vergine e selvaggia che ama coll'ardore dei deserti, e che è continuamente costretta a ripiegarsi sovra se medesima per mancanza di eco?
Alcune volte la vulcanica passione di Maurizio scoppiava dal suo seno come tremenda eruzione, e allora i suoi occhi infiammati di lagrime giravano come quelli dell'affamato leone che percorre la vastità del deserto senza trovare di che satollare la sua fame: allora lo schiavo facea rimbombare le solitudini de' campi con gridi terribili e disperati: allora tutto gli era insopportabile, il moto e la quiete, la compagnia e la solitudine, la luce e le tenebre. Ma questi momenti di debolezza eran rari, perchè l'anima di Maurizio era forte come il suo corpo vergine ed avvezzo alle più orrende privazioni.
Maurizio avea nascosto nel più profondo dell'anima il segreto del suo amore; era impossibile all'occhio più destro e indagatore lo scoprire la passione ardentissima che bolliva nel petto di lui. La stessa Emma, lungi d'addarsene minimamente, non iscorgeva nel gentleman che un freddo egoista. Ma dal dì che Maurizio l'ebbe salva da sicuro pericolo di vita, Emma il risguardava con altr'occhio, ed il tenne in istima di amico sincero e leale.
Fu quello certamente il più bel giorno della vita di Maurizio. Ed or cade in acconcio il dire ch'egli, inosservato, seguiva sempre Emma dovunque costei si recava: e quel giorno della cavalcata fu sul principio un tristo giorno per lui, dappoichè Maurizio vedeva a fianco di Emma i più leggiadri cavalieri: ogni parola che la fanciulla volgeva a qualcuno di loro era dardo al cuore dell'Africano.
Da lungi egli non perdeva mai d'occhio ciascun movimento di lei. Abbiam già detto ch'egli possedeva tal vista acuta, che tra gli schiavi suoi compagni si era meritato il nome di Quickey (occhio celere).
Non così tosto Maurizio ebbe veduto Emma discostarsi dalla comitiva e prendere sola la via di Santa Maria degli Angeli alle Croci, pensò subitamente, con quella penetrazione che soltanto l'amore sa dare, che la fanciulla andava a trovare Lucia Fritzheim. Già Maurizio conosceva la faccenda della lettera di Lucia capitata nelle mani di Emma, conosceva la strana proposta di Daniele al Duca di Gonzalvo, e sospettava l'inclinazione di Emma pel giovine pianista. Con una parola Maurizio poteva distruggere tutto l'edificio delle speranze di Daniele. Quand'anche il Duca di Gonzalvo avesse avuto in pensiero di aspettar davvero i due anni promessi; quand'anche Daniele fosse tornato milionario ed amante riamato di Emma, una sola parola annientava ogni unione tra Daniele ed Emma. Bastava che, Maurizio avesse detto al Duca di Gonzalvo esser Daniele figlio naturale del Conte di Sierra Blonda, cui tanto il Duca detestava e contro il quale avea giurato mortal vendetta.
Ma lo schiavo di Patna avea l'anima nobile. Alla festa di Lady Boston, egli avea promesso a Daniele di non parlare, e questa promessa era sacra per lui; il pensiero di violarla giammai non era entrato nella sua mente.
Avvegnachè ardentemente egli amasse la giovinetta spagnuola, e sapesse che a costei le premure di Daniele non erano indifferenti, Maurizio non si lasciò sfuggir giammai una parola che avesse potuto umiliare l'amante agli occhi dell'amata. Eppure sa il cielo quanto soffriva il cuore di lui allora che Emma, dissimulando la sua agitazione, gli parlava del giovine pianista, del costui genio musicale, delle brillanti qualità dello spirito di lui. Maurizio disprezzava nel suo interno il trovatello, tipo d'ingratitudine, d'infedeltà e di slealtà; e ciò non pertanto nol degradava agli occhi di lei, sembrandogli codardia il valersi di un segreto per fargli perdere la stima della donna amata. Benchè rivale, Maurizio disprezzava Daniele, e troppo egli era nobile e altero d'animo per abbassarsi ad una inutile soperchieria. E diciamo inutile, perchè Maurizio non isperava di acquistarsi giammai l'amore di Emma, ed il pensiero d'una corrispondenza di affetti era lontanissimo dalla sua mente.
Ma dal giorno in cui Maurizio ebbe la somma ventura di esporre la propria vita per sottrarre l'adorata andalusa da un terribile pericolo, nell'animo di lui avvolgeansi costantemente le parole profferite da Emma nell'avviarsi alla casa di Lucia Fritzheim. Questa fanciulla avea detto: salvatemi il cuore dopo di avermi salvata la vita!
Maurizio ricordava eziandio che la figliuola di Gonzalvo avea detto: Andiamo a spargere il conforto della carità là dove la più nera perfidia ha sparso il dolore, la miseria, e voleva spargere l'ignominia!
Non ci era dubbio: quella nera perfidia non potea sulle labbra di Emma riferirsi ad altri che a Daniele. Ella dunque sapea di essere stata ingannata da costui sul conto di Lucia Fritzheim.
Maurizio interrogò freddamente sè stesso; dimandò alla sua coscienza quello ch'egli dovea fare per salvare il cuore di Emma. Tradir Daniele? Non mai.
Maurizio pensò varii giorni su quel che dovea fare; e un bel mattino, una fredda risoluzione era presa.
A che si era determinato Maurizio Barkley?