Francesco Mastriani
Il mio cadavere
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Parte V.

I. Lotta interna.

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Parte V.

 

I.

 

Lotta interna.

 

 

 

Dal giorno in cui tra il Baronetto e Daniele era stato conchiuso il bizzarro contratto, per il quale costui si obbligava ad essere il custode del cadavere di quello, lo stato morale di questi due uomini erasi al tutto cambiato: il Baronetto, restituito alla salute e alla tranquillità, avea ripreso le consuete sue occupazioni; era tornato a' suoi campestri lavori; avea richiamato intorno a gli amici, di cui si era dianzi disgustato a cagione della infermità del suo spirito; avea ripigliato i suoi studi, le sue faccende; era insomma ridivenuto quello stesso uomo ch'era qualche anno addietro. Egli amava sempre Daniele, e sempre con piacere il vedeva a d'accanto; ma ora mutato era l'aspetto delle cose; ed il Baronetto più non sentiva la necessità delle melodie del giovine pianista per iscacciar dall'anima que' fantasmi che al presente più non venivano ad assediarlo. Anzi, è mestieri confessare che l'aspetto di Daniele cagionava piuttosto una spiacevole sensazione in Edmondo, dappoichè questi non vedeva ormai nel giovine italiano che l'uomo destinato a vegliare sulle sue spoglie mortali. Ciò non vuol dire che Edmondo disamasse Daniele, verso il quale si sentiva attratto da una forza prepotente; ma il guardiano della morte non poteva non far nascere un sentimento di ripugnanza nell'animo del Baronetto.

Dal canto suo, Daniele, a vece di esser lieto della prodigiosa fortuna che un giorno gli sarebbe spettata, sembrava più impensierito che per lo passato: egli era sempre distratto taciturno o inconcludente. Nel cospetto di Edmondo, egli si sforzava di mostrarsi men rabbruscato e più ameno; ma ora non così di frequente ei vedeva il Baronetto, e la sera, quando questi era nel cerchio de' suoi amici, Daniele non appariva che un istante nella camera verde, e tosto dileguavasi per abbandonarsi alla solitudine de' suoi pensieri, o per trovare nel teatro di Manheim distrazioni e svagamenti.

Il mese era scorso dacchè ei si trovava a Schoene Aussicht: il Baronetto, fedele alla sua promessa, gli avea dato una cambiale di trentamila franchi pagabile a vista e tratta sopra un banchiere di Manheim. Nel dargli questo denaro, il Baronetto avea detto sorridendo: Ecco una piccolissima anticipazione su quello che il mio cadavere vi darà.

Daniele era libero di seguitare i viaggi e di tornare a Napoli: Edmondo non faceva più nessuna istanza per ritenerlo altro tempo a Schoene Aussicht: intanto il giovine pianista non sapea venire in nessuna risoluzione. Egli non volea più seguitare i suoi viaggi, imperocchè ne comprendea l'inutilità. D'altra parte, non era egli ormai l'erede d'immense ricchezze? Che bisogno avea di ammazzarsi di lavoro, nella certezza di non poter mai conseguire quel milione, che egli vedea rifulgere nell'avvenire? Ritornare a Napoli? Questo proponimento era ben lontano dall'animo suo, perocchè Daniele non volea riporre il piede nel paese dov'era Emma, se prima non diventasse milionario.

Intanto egli sentiva la necessità di allontanarsi immantinente da Schoene Aussicht. Ogni che ei prolungava il suo soggiorno in questo luogo, l'animo suo si faceva più nero e il suo volto più pallido. Nell'aureo appartamento dov'egli avea stanza, nel letto di seta dov'ei si gittava per riposare, Daniele più non trovava il riposo e la quiete: il sonno ch'era tornato sulle ciglia di Edmondo, fuggiva dagli occhi di lui. Daniele volea fare il possibile per involarsi a medesimo, per non trovarsi faccia a faccia coi propri pensieri, ma frattanto ei non sapeva abbandonar la poltrona sulla quale rimanea lunghe ore nella più assoluta immobilità.

Che cosa aveva operato un sì strano cangiamento in Daniele? Un'idea infernale che gli si era presentata al pensiero come luce sinistra. Dapprima egli avea rigettata quest'idea con tutte le forze dell'anima sua, avea fremuto nel pensarvi; ma quell'idea che dapprima se gli era mostrata rivestita di orrore, incominciò, per così dire, a dimesticarsi con lui. Quest'idea era un delitto!

La nostra penna rifugge dal palesare quello a cui pensava Daniele per accorciare il termine della sua aspettativa e per far sparire la distanza che lo separava dall'oggetto de' suoi desiderii! Il suo petto balzava al pensiero di volare due volte milionario, dal duca di Gonzalvo, non appena spirati i due anni. Un ostacolo si frapponeva al compimento de' suoi voti: una vita! Un uomo doveva diventare cadavere perchè Daniele avesse potuto afferrare quella felicità che gli si mostrava lungi con tutti gl'incanti della seduzione. Due milioni ed Emma! E per ottenere questa felicità bastava un momento, un sol momento di coraggio, di ardire!! — Quando un uomo è giunto a passare i quarant'anni, non ha vivuto abbastanza, e massime quando quest'uomo ha goduto fino alla sazietà di tutte le delizie della vita? Che cosa sono gli anni che seguono, se non che una serie di malanni e di miserie? Che cosa sono in rispetto dell'eternità venti o trent'anni di più che un uomo trascina in sulla terra? E che cosa è la vita di un uomo nella immensità della creazione? Che cosa è una esistenza nel mezzo delle generazioni? — Così fatti atroci pensieri si aggiravano nel capo del giovine pianista, mentre che altri pensieri di diverso genere, immagini seducenti di piaceri, di gioie, di delizie compivano l'orrenda persuasione.

Quando una funesta idea si presenta allo spirito umano, le passioni che essa fomenta sono sì scaltritamente inventrici di arzigogoli e di false ragioni ch'egli è estremamente difficile di non rimaner presi nella pania. Daniele combattè con forza l'orribile pensiero che tanto più diventava pericoloso quanto più perdeva del suo orrore: ma ciò nonostante, ogni volta ch'ei pensava ad Emma, ai due anni che sarebbero spirati, all'immensa eredità che lo aspettava, a que' due stuzzicanti milioni che l'invitavano a fruirne pria del tempo, alla gioia sovrumana di presentarsi così ricco e sì pieno di fastigi al superbo Duca di Gonzalvo ed all'altiera sua figliuola; quando Daniele pensava a queste cose, il demone del delitto soffiava nell'anima di lui i più nefandi propositi, cancellava ogni buon proponimento, e lo sciagurato giovane era da capo con quella cupa taciturnità che suol precedere l'attuazione di un gran delitto.

Dal momento che questa idea infernale si era insignorita dell'animo di Daniele, i colori della salute disparvero dal suo volto. Egli più non sapea trovare una nota sul piano-forte, cui raramente si accostava, parlava solo, amava le solitarie passeggiate s'internava nei più folti viali della villa di Schoene Aussicht, ed il suo sguardo avea preso un'espressione strana e incomprensibile.

Non sappiam dire qual effetto ormai producesse in lui l'aspetto di Edmondo. Daniele evitava d'imbattersi nel Baronetto, di cui più non potea sostenere le occhiate, quasi avesse temuto che questi indovinasse i suoi pensieri. Edmondo avea notato la metamorfosi che si era operata nel giovine pianista, e l'attribuiva interamente agli amori di lui, alla tristezza della lontananza dall'oggetto amato, e sovente il ritoccava sorridendo su questo tasto, al che Daniele rispondeva parole vaghe, e tosto, sotto un pretesto, tornava alla sua solitudine, dove covava disegni tenebrosi e mortali.

Per buona ventura, il delitto meditato non offriva una facile esecuzione: era quasi impossibile di fare sparire dal mondo il Baronetto senza lasciare orma del misfatto. Ben s'intende che l'impunità era la prima condizione che Daniele avea posto a calcolo nel perfido attentato, al quale giorno e notte stava sopra col pensiero, ma l'impunità non è così facile, e, per ammirabile disposizione della Divina giustizia, l'uomo che ha commesso un delitto il porta ovunque stampato in sulla fronte anche quando gli è riuscito di sperderne ogni traccia.

Daniele pensava:

Uccider di pugnale? Niente di più agevole ad eseguirsi, ma in pari tempo niente di più facile a discoprirsi. Assassinando il Baronetto di notte e nel proprio letto si avrebbe potuto congetturare un assassinio commesso da ladri. Ma intanto la giustizia si sarebbe posta in sulle tracce dell'assassino; avrebbe cominciato dall'impadronirsi di tutte le persone residenti a Schoene Aussicht, e certamente la singolarità del testamento di Edmondo avrebbe chiamato sospetti sulla persona dell'erede, il quale, non appartenendo al defunto per nessun vincolo di sangue, presentava probabili induzioni di reato. D'altra parte, se egli, Daniele, fosse caduto nelle mani della giustizia, anche per semplici sospetti, in che modo avrebbe potuto adempiere ai patti del testamento, e porsi quindi in possesso della eredità?

Bisognava dunque rinunziare ad ogni idea di assassinio per mezzo del pugnale.

Uccider di veleno? Ciò presentava, è vero, minor facilità di scoprimento, ma difficoltà moltissima di esecuzione Come procurarsi il veleno? a chi fidarsi? Aver complici del delitto? Oltre a ciò, dal momento che nell'animo del Baronetto fosse sorto il pensiero di essere stato avvelenato, non avrebbe egli subitamente sospettato il futuro suo erede quale autore dell'avvelenamento? L'autopsia richiesta forse dall'autorità, a malgrado del testamento del defunto, non avrebbe annientato l'eredità, indentandone le condizioni? E non poteva il moribondo Baronetto, in un momento di chiaroveggenza, distruggere il testamento? Ma la difficoltà che superava tutte le altre pel compimento di questo delitto si era il procacciarsi il veleno, senza eccitare sospetti nella persona che lo avrebbe venduto. Aggiungi a tutto questo l'impossibilità di nascondere il proprio turbamento alla presenza del moribondo, del dott. Weiss, dei servi che sarebbero accorsi per prestare all'infermo ogni possibile rimedio.

Bisognava dunque non pensare ad un avvelenamento.

Uccidere con istrangolamento? Era rischioso e terribile: Daniele non aveva per questo la forza il coraggio. Prescindendo da ciò questo genere di morte presentava la stessa facilità di discoprimento che l'assassinio per pugnale. La scienza avrebbe immantinente rivelato il delitto, e la giustizia non avrebbe tardato e trovare il delinquente.

Era dunque mestieri dismettere anche questa idea la quale, bisogna dirlo, facea fremere lo stesso Daniele.

L'impossibilità dell'esecuzione aveva scoraggiato il giovine, il quale tenne ciò come avvertimento del cielo, e parea deciso a rinunziare ad un proponimento si terribile. D'altra parte, il patibolo o i ferri non mancavano a quando a quando di mostrarsi da lungi all'atterrita mente del giovine, ch'era preso allora da salutare orrore del misfatto che aveva concepito.

Comunque la sua ragione fosse a tal guisa annebbiata da passioni, il cuor di Daniele sentiva sempre un certo incomprensibile attaccamento pel Baronetto; e il pensiero di assassinarlo, tra le tante insormontabili difficoltà che presentava, si aveva quella di dover soffocare quel tenero sentimento inesplicabile che Daniele provava per quell'uomo che gli avea dato così splendida ospitalità e che, morendo, il lasciava erede di tutte le sue ricchezze.

E questo sentimento fu così forte che Daniele, rientrato in medesimo, ebbe bastante vigoria di volontà par iscacciar dall'animo il pensiero di tanto delitto; anzi, per vincere una volta per sempre la tentazione, risolvette di abbandonare quella casa e quel paese, e di affidare l'avvenire agli eventi. Daniele avea risoluto di congedarsi dal Baronetto.

— A capo di due anni, egli dicea tra , tornerò a Napoli, mi recherò dal Duca di Gonzalvo, e gli porterò una lettera del Baronetto, in cui questi mi riconosce per suo erede. La tardanza dell'eredità sarà compensata dalla prodigiosa cifra di due milioni e da' titoli, di cui mi porrò in possesso alla morte del testatore. Vedremo se quel superbo Gonzalvo sarà soddisfatto e pago di ciò.

Daniele non volle più oltre indugiare a portare ad effetto la buona risoluzione che avea presa, e che temeva ad ogni istante di sentir vacillare in medesimo. Nello stesso giorno, egli salì dal Baronetto per accomiatarsi da lui e per pregarlo di volergli scrivere quella lettera pel Duca di Gonzalvo, ignorando le relazioni ch'erano passate tra questi due personaggi.


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