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XXXV.
Adelame era un cavaliere al servizio d'un Re, e l'Adelasia era la figliola unica e bellissima di questo medesimo Re. Si sa, che i cavalieri usano fare una settimana per uno a stare negli appartamenti reali e presso il Re; sicchè dunque, Adelame, in nel praticare il palazzo, vedde spesso l'Adelasia; e finì con divenirne innamorato e l'Adelasia di lui. Ma all'amore facevano di nascosto, perchè Adelame non era di sangue regio. Il Re, di questi amori, non ne sapeva niente; e ci furono di quelli di corte, che, per invidia, o che so io, glielo andarono a ridire. Lui però non ci voleva credere; ma gli messero tante prove in mano, che bisognò ci credesse. Lui, che ti fa? Chiama l'Adelasia e gli dice: - «So che tu discorri[2] con Adelame.» - Dice lei: - «Cheh! non è vero, signor padre.» - Arrispose il Re: - «Eh! quel, che dico io, ne son sicuro, e non vale il negare. Dunque, con Adelame non voglio, che tu ci discorra. Se tu seguiti, lui lo esiglio dal Regno e te ti rinchiudo nella torre. Ha' capito?» - Passa qualche tempo e Adelame seguitava a discorrere con l'Adelasia di nascosto, perchè gli riesciva farla pulita. Un giorno però si trovarono in un boschetto del giardino reale e furon visti da un servitore del Re. Lesto, diviato il servitore corse dal Re a farli pippo[3], che la su' figliola era nel giardino con Adelame. Sicchè il Re andò là con diverse guardie e sorprese que' due, che non se l'aspettavano. Dice il Re: - «Cavaliere, tempo tre giorni a uscire dal Regno; pena la testa, se disubbidite o ci tornate mai. In quanto a voi, figliuola disubbidiente, anderete incarcerata nella torre a mi' volontà.» - La ragazza fu subito menata via dalle guardie. E la chiusero dentro alla torre, dove c'era una bella camera tutta mobigliata da Regina, ma con una finestra alta da terra. E poi in camera non ci poteva entrare nessuno; e anche da mangiare, e tutto quel, che voleva, alla figliola del Re, glielo davano per la rota[4]. Il cavaliere Adelame intanto, a quel modo disgraziato, bisognò che partisse, senza neppure dire - «addio» - all'Adelasia. Esce dalla città per andare fori di Stato, e, cammina cammina, arriva a una campagna, dove oberano dimolti contadini a vangare. Dice Adelame: - «Chi vol mutare i su' abiti co' miei, si farà a baratto.» - «Io, io,» - dicevan tutti, perchè non gli pareva vero di far quello scambio. Dice Adelame: - «Adagio: il baratto lo farò con quello, che ha de' vestiti, che mi tornino addosso.» - Difatto, si mutò il su' vestito da cavalieri con un contadinotto, che aveva il su' stesso personale. E messo a quel modo alla contadina, che non pareva più lui, seguitò a camminare dimolti giorni, finchè giunse a un'altra città, fori dello Stato del su' Re. Da per tutte le città ci sono degli uomini, che fanno il mestieri, come sarebbe a dire, di mezzano o sensale a trovare impieghi a chi ne vôle. Sicchè, un di quest'omini, quando vedde Adelame a girottolare qua e là per le strade e per le piazze, e s'accorse che era forastieri, gli s'accostò e gli disse: - «Ohè! quel giovine, che vi mancherebbe un impiego? I' son bono a trovarvelo, se vi garba.» - Arrispose Adelame: - «E' non mi parrebbe vero; appunto sono disoccupato.» - Dice il mezzano: - «Oh! che sapete fare?» - «Di tutto,» - gli ripricò Adelame. Dice il mezzano:-«Bene, bene! C'è appunto una signora, che gli manca l'ortolano e giardinieri, e forse sarebbe contenta d'avervi al su' servizio. Ora vo subito a sentire. Aspettatemi qui.» - Il mezzano va, picchia e lo fanno passare dalla signora; e lei s'accorda, che piglierà Adelame al su' servizio. Dunque Adelame va anche lui da quella signora; che, appena lo vede, gli dice: - «Come vi chiamate?» - Dice Adelame: - «I' mi chiamo Antonio:» - chè 'l su' vero nome non glielo volse palesare, per non essere scoperto. - «E quanto vôi di salario a farmi da ortolano e giardinieri?» - Arrisponde: - «In quanto al salario, mi proverà per un mese, e io proverò Lei; e poi, dopo, se si resta contenti, combineremo, chè non ci sarà nulla da ridire.» - «Sì, sì: come tu vôi,» - dice la signora. Poi dà la mancia al mezzano e mena Antonio, ossia Adelame, che s'era preso quel soprannome, nell'orto e giardino; che pareva un serpaio, tant'era trascurato e tutto in disordine. Adelame ci si messe coll'arco della stiena; e tanto lavorò, che in pochi giorni il terreno e le piante era una meraviglia a vederle, e 'n capo a venti giorni raccolse dimolta roba primaticcia, come insalate, cedri, limoni e fiori della stagione. Prese ogni cosa e va dalla padrona: e gli dice: - «Se Lei me lo permette, anderò a vendere in campagna questa roba.» - Dice la signora: - «Vai, vai pure.» - Adelame piglia un corbello, ci mette dentro la su' roba e esce fori delle porte alla campagna; e, a cinque o sei miglia di distanza, trova un paese e lì ci vende tutto, e col corbello vôto ritorna a casa. Adelame si presenta alla signora: - «Padrona, ecco i quattrini, che ho preso della vendita;» - e gli dà una ventina di lire. La signora rimase, perchè non aveva mai ricavato nulla dal terreno; e dice: - «Bravo! son proprio contenta di te. Dunque, i' ho deliberato di darti questo salario: lire trenta al mese e tutto spesato. Che te ne pare?» - Dice Antonio: - «Io, per me, son più che contento.» - Passano de' giorni e l'orto e il giardino prosperavano a vista d'occhio, va allora Antonio dalla padrona e gli dice: - «Senta, io addosso non ci posso portare dimolto, e ci avrei robba in quantità da vendere e pigliare quattrini al doppio. Se Lei me lo permette, comprerò un ciuchino da mettergli la soma, e con du' ceste di qua e di là dal basto, potrei caricarlo a mi' modo.» - Dice la signora: - «Fa' pure.» - Antonio, dunque, comprò un ciuco; e gli accomodò le ceste al basto, che riempiette d'ogni ben di dio, e ci aggiunse anco un bel mazzo di fiori. E poi sortì al solito fuori delle porte della città e camminò dimolti giorni, insinacchè venne a entrare nello Stato del Re, e diviato se n'andò alla su' città. Comincia a urlare: - «Ortolano, ohè! chi vol di be' cavoli, pera, limoni primaticci, e d'ogni cosa?» - A quel bocìo la gente correva da tutte le parti; e chi voleva una cosa e chi un'altra. Quando Antonio fu sulla piazza del palazzo reale, lì sì che bociava. E a quegli urli, eccoti anche il coco del Re. Senza tanti discorsi, prese tutto il carico. Dice Antonio: - «Oh! Lei chi è? dev'essere un gran signore.» - Dice il coco: - «Cheh! sono il coco del Re.» - Dice Antonio facendo l'ignorante: - «Re? o chi è il Re? che vôl dire un Re?» - Dice il coco: - «Senti! il Re è quello, che comanda tutto lo Stato; e sta in quel palazzo.» - Dice Antonio: - «Come! in quel palazzo con tutte quelle finestre ci sta uno solo? Oh! che non ha nissuno questo Re?» - Dice il coco: - «Già, ci sta solo lui. Gli avrebbe anco una figliola; ma la faceva all'amore di nascosto con un cavalieri, e su' padre l'ha rinchiusa in una torre, e non si pole nè vedere, nè parlargli.» - Dice Antonio: - «Poera ragazza! con che animo starà lei là dentro serrata!» - «Figuratevi!» - arrisponde il coco. Dice Antonio: - «Tenga, gli voglio dare questo bel mazzo di fiori a Lei, che ha compro tanta roba. Gua', se crede, lo mandi a quella sventurata.» - «Eh! questo si potrà anche fare,» - disse il coco. - «Dunque, addio! Addio! a rivederci,» - e ognuno andò pe' su' versi. Adelame aveva intanto saputo così, che l'Adelasia era sempre viva e chiusa nella torre. Ritorna dalla su' padrona e gli dà un monte di quattrini della robba venduta: e figuratevi se quella signora stava allegra! Dice Antonio: - «Padrona, le vendite vanno bene; ma io ho bisogno di caricare di vantaggio. Se Lei me lo permette, invece del ciuco, comprerò un cavallino e un barroccino, e vedrà poi quanti quattrini gli porto.» - Dice la signora: - «Sì sì, sono contenta. Fa' come ti pare.» - Antonio, dunque, vende il ciuco e invece compra il cavallino col barroccino. E quand'ebbe da caricarlo di robba proprio bona e avvistata, ce la messe su con un altro mazzo di fiori, ma belli e appariscenti, per regalargli al solito coco. Poi ripiglia la strada; e, dopo dimolti giorni, eccotelo daccapo227 nella su' città davanti al palazzo reale. Il coco del Re, quando lo vedde, subbito corse per comprare, e gli prese tutta la robba. Dice Antonio: - «Questo è un altro mazzo per Lei; ma avre' bisogno d'un consiglio e d'un aiuto.» - Dice il coco: - «In quel, che posso, vi servirò.» - Dice Antonio: - «Fori della porta ho riscontrato una povera donna inferma, che voleva venire al palazzo reale a presentare una supplica, perchè il su' marito dev'esser condannato, e lei chiede la grazia alla figliola del Re. La piangeva questa donna, che non si poteva movere. E m'ha pregato tanto, ch'i' gli facessi recapitare questa lettera sigillata alla figliola del Re! Come si può contentarla?» - Dice il coco: - «Sentite, è dimolto difficile. Il Re ha proibito di parlargli alla su' figliola: e poi, in camera non ci si pole entrare.» - Dice Antonio: - «Se si trovasse un ripiego, quella donna ha detto, che mi darà la mancia, se riesco. Io, a voi, vi do la mancia, che m'ha promesso quella donna, e ce n'aggiungo un'altra del mio, se fate recapitare questa lettera alla figliola del Re.» - Dice il coco: - «Non c'è altro, che la metta tra' piatti del desinare, che gli si danno per la rota.» - Dice Antonio: - «Fate, come vo' credete meglio! Ma i' ho bisogno della risposta. Se dunque la lettera sigillata torna colla soprascritta graziata, allora portatemela, e io vi darò la mancia. Domani, all'istess'ora, sarò giù di qui per piazza.» - D'accordo, il coco prese la lettera e la messe tra' piatti del desinare, destinato alla figliola del Re, siccome aveva promesso. E nella lettera c'era scritto: - «Adelame vol sempre bene all'Adelasia; e, se l'Adelasia è sempre dello stesso sentimento, Adelame intende condurla via con seco, se si cala dalla torre. Quando questo gli garbi all'Adelasia, scriva graziata sulla lettera e la rimandi, e domani a mezzanotte, Adelame sarà sotto la torre a ricevere la su' Adelasia.» - Figuratevi quel, che pensasse l'Adelasia quando lesse questa lettera! Dunque, delibera di scappare; e scrive graziata sulla lettera e poi la rimette tra' piatti; e intanto fa i su' preparativi per calarsi giù dalla finestra della torre: taglia le lenzole a strisce, le annoda e così fa una bella fune lunga, che arrivava infino a pie' della prigione. Il coco poi, avuta in mano la lettera, il giorno dopo la riporta in piazza a Antonio, o Adelame, che si voglia dire. Dice: - «Eccovi, galantomo, la vostra lettera.» - Dice Antonio: - «Oh! che c'è scritto sopra? Leggetemelo, i' non so leggere.» - Dice il coco: - «Gua', e' c'è scritto graziata.» - «Davvero!» - sclama Antonio: - «Datemela, e che dio ve ne rimeriti. Intanto, pigliate di mancia questo zecchino da me, per il vostro incomodo. Poi avrete anche la mancia, che m'ha promesso quella donna. Addio, addio.» - Diviato va Antonio in un chiassettolo e apre la lettera. E vede, che Adelasia acconsentiva a tutto; e lui non poteva stare alle mosse, che venisse la mezzanotte. Quando sonava la mezzanotte, Antonio, e da ora in là gli si darà il su' proprio vero nome, Adelame, era sotto la torre a aspettare; ed ecco dalla finestra, prima cala giù una cassina, che c'era dentro le gioie e i quattrini con diversi panni dell'Adelasia; poi scende anche l'Adelasia. Adelame la riceve tra le su' proprie braccia; e poi lesti vanno alla stalla e sul carrettino da ortolano scappan via fori della città; e cammina cammina, arrivano a giorno alla spiaggia del mare. Adelame lascia lì il cavallo col barroccino; e, vista una barca, ci monta su con l'Adelasia e la cassina, e co' remi e colla vela s'allontanano. Dopo un pezzo, che erano in mare, comincia una fiera burrasca, sicchè ebbero dicatti d'essere spinti in un luogo deserto, che non ci si vedeva anima viva. Sbarcano; e Adelame, presa addosso la cassina, cominciano a camminare verso un bosco folto, che ricopriva una montagna. Sali, sali, sali, era già buio fitto, e non sapevano dove mettevano i piedi e dove andavano. A un tratto, gli pare di scorgere un lume da lontano. S'avvian dunque verso quel lume e trovano una capanna di frasche, che dentro c'era un eremita vecchio in ginocchioni a fare orazione con una barba lunga lunga, che gli scendeva sul petto. Dice Adelame: - «Abbiate, padrino[5], la finezza di ricoverarci questa notte, che siamo due smarriti e non si sa dove battere il capo.» - Alza il capo l'eremita e gli guarda; e poi esclama: - «Sciagurati! che avete vo' fatto?» - Adelame e Adelasia rimasero sbigottiti e come di sasso, a sentire quelle parole. E l'eremita seguita a dire: - «Sciagurati! siete in peccato. Vo' avete trasgredito alla legge umana e alla legge divina. Alla legge umana, perchè disubbidiste al padre e al Re, e sappiate che il Re vi fa cercare dappertutto per dàrvi la pena di morte. Alla legge divina, perchè siete insieme senz'essere marito e moglie.» - Que' due allora, tutti impauriti, gli si buttarono a' piedi; e lì a pregarlo, che gli aiutasse in qualche modo, che ormai il male era fatto e non c'era rimedio. Dice l'eremita: - «Ma veramente volete essere sposi?» - Risposero assieme: - «Sì, sì: sposi e per sempre.» - «Ebbene!» - dice l'eremita: - «Vi sposerò io; e, per questa notte, vi darò ricovero. Ma domani bisogna, che ve n'andiate, perchè qui non ci potete stare con me.» - Allora l'eremita gli sposò e gli benedisse; e poi, in un canto della capanna, e' gli messe a dormire su delle foglie. Quando poi fu giorno, Adelame e l'Adelasia dovettero andar via, dopo ricevuta nova benedizione dall'eremita. Bisogna sapere, che infrattanto, al palazzo erano andati a portare da colazione alla rota della camera dell'Adelasia: ma la colazione c'era sempre all'ora di desinare. Vanno dal Re i servitori e gli raccontano quel, che è successo. Il Re ordina, che s'apra la camera, per vedere se la su' figliola sia malata; e entrati dentro s'accorgono, che lei è scappata via e che non c'è più nessuno. Il Re montò sulle furie, che pareva un cane arrabbiato, perchè capì, che l'Adelasia gliel'aveva portata via Adelame. Sicchè dunque mandò soldati a cercarne dappertutto lo Stato, e messe un bando, che gli fossero menati que' due morti o vivi, perchè a ogni modo e' gli voleva ammazzati. E quando dall'eremita Adelame e l'Adelasia seppero di questo bando, badarono a scansare i confini dello Stato del Re. Sicchè seguitarono a camminare dimolti giorni, campando alla meglio, col vendere le robe dell'Adelasia e dormivano per le capanne; finchè si ritrovarono in un luogo selvatico e deserto in vetta a un monte, che pianeggiava. E lì risolvettero di fermarsi. Adelame ci fece una capanna; e, scoperto che a qualche miglio giù nella valle c'era un paesuccio, si messe a tagliar legna, a far carbone, e l'andava a vendere per comprarsi il necessario. Eran lì da qualche mese, quando l'Adelasia s'accorse d'esser gravida. A su' tempo partorì un bel maschio; e se lo battezzarono colle proprie mani e gli messero nome Germano. Germano cresceva a vista d'occhio, vispo e giudizioso; e, quando fu in negli otto anni, il babbo suo se lo conduceva con seco al bosco, e poi col carico delle legna o colle sacca del carbone a vendere al paese; e, quando poi ebbi diciott'anni, lo mandava anche solo. Dice un giorno Germano: - «Babbo, perchè non comprate un ciuco per portare le some? Si durerebbe meno fatica, e si potrebb'anco fare un carico più grande.» - Dice Adelame: - «Compriamolo pure.» - E difatto, comprarono un ciucarello di poca spesa; e con quello andavono a vendere al paese. Un giorno, Germano parte solo col ciuco carico e scende al paese; e, in un tratto, s'incontra con un omo, che aveva in mano un uccellino raro dentro una gabbia. A Germano gli venne voglia d'averlo quell'uccellino e dice: - «Galantomo, che me lo venderesti codest'uccellino?» - «Magari!» - quello gli arrispose. - «Oh! che volete?» - «Oh! si fa lesti. Voglio il ciuco col carico!» - «D'accordo,» - dice Germano, e gli dà il ciuco col carico e lui piglia l'uccellino colla gabbia e tutto; e poi ritorna diviato a casa. Quando la mamma lo vedde, dice: - «Oh! del ciuco, che n'è stato?» - Dice Germano: - «Badate! l'ho barattato colla soma e tutto con un omo, che m'ha dato questo bell'uccellino in gabbia[6].» - «Oh! sciaurato!» - sclamò l'Adelasia: - «Quando torna Adelame dal bosco e sa il tu' operato, t'ammazza di sicuro.» - Germano, a quelle parole della su' mamma, s'impaurì. Sicchè, lasciata lì la gabbia coll'uccellino, escì dalla capanna e via alla ventura dove lo portavano i piedi. Ma l'Adelasia credeva, che fosse andato a cercare il babbo. Eccoti in sulle ventiquattro viene Adelame; dice l'Adelasia: - «Germano, addove l'ha' lasciato?» - « I' non l'ho visto da stamane in quà,» - gli arrispose Adelame. - «Oh! pover'a me,» - sclamò l'Adelasia: - «Addove sarà ito mai? I' l'ho gridato un po', perchè ha dato in baratto di quest'uccellino in gabbia il ciuco col carico e tutto; e gli ho detto, che, se tu tornavi, l'avresti ammazzato. E lui è sortito e credevo fosse venuto a cercarti. Oh! me sciaurata, dove sarà ito il mi' figliolo?» - Dice Adelame: - «Vedi, tu ha' fatto male a dirgli quelle parole e a rimproverarlo. Lui ha operato secondo il su' sangue; ha operato da Re, sebben non sappia, che è di stirpe reale.» - Insomma, aspetta aspetta, Germano non lo veddero più, abbenchè s'arrabattassero a cercarne e dimandarne pe' contorni. Ma lasciamo que' du' poveri disperati e ritorniamo a Germano. Lui camminò dimolti mesi chiedendo la limosina, e alla fine giunse alla città del Re su' nonno. E siccome[7] era vestito tutto di pelle di bestia salvatica e pareva una cosa strana, tutti gli si facevano d'intorno, per sapere chi fosse, da che paesi veniva, se era solo o aveva il babbo e la mamma. E lui rispondeva sì e no, secondo i casi, ma non potette dir mai, da che paese gli era partito. Con tutto questo fracasso di gente, arrivò sulla piazza del palazzo reale, che appunto il Re stava alla finestra; e, quando vedde quella rannata, mandò subito un servitore a sentire, che cos'era. Dice il servitore: - «Maestà, è un giovinetto forestiero, vestito di pelle. E gli fanno mille domande; e lui risponde pronto, che non si sgomenta.» - Dice il Re: - «Fatelo salir su, che lo voglio vedere e gli voglio parlare.» - Il servitore ubbidiente va e chiama Germano e lo fa salire alla presenza del Re. Dice il Re: - «Chi siei? di dove vieni? il babbo e la mamma gli hai? che mestieri fanno?» - Dice Germano: - «Son figliolo di du' boscaioli, ma il nome di loro non lo so; non l'ho mai sentito ricordare. Io mi chiamo Germano e son figliolo solo. Son partito da casa; e, cammina cammina, mi son perso. E non so neanche in che paese i' ero!» - Dice il Re: - «Vo' tu stare al mi' servizio?» - Dice Germano: - «Sì, volentieri, perchè fin'ora ho campato colla limosina.» - A farla corta, Germano fu messo per mozzo di stalla; e, dopo qualche mese; passò aiuto del coco, e poi fu fatto credenziere di corte e il Re gli dava un bon salario. Ma lui s'era annoiato; e un giorno dice al Re: - «Senta, Maestà, i' me ne voglio andare, perchè a servire così mi sono annoiato.» - Dice il Re: - «Oh! come mai? Eppure ti dò un bon salario e non ti manca nulla.» - «Tant'è, che vôle, i' non posso durarla così.» - Dice il Re: - «Ma che faresti volentieri qualche altr'arte?» - Gli arrisponde Germano: - «Per dir vero, mi piacerebbe la vita del militare.» - Dice il Re: - «Ci ho da contentarti a tu' piacimento. Entra nell'esercito e addio.» - Germano dunque entrò comune nell'esercito, e in pochi anni divenne Maggiore. Quando fu Maggiore, un giorno il Re lo fa chiamare e gli dice: - «Dimmi un po', Germano! ma che a' tu' genitori non ci pensi mai? Non t'è mai venuto in testa di ricercarne?» - «Altro, Maestà. Gli è il mi' pensiero di tutti i giorni,» - arrispose Germano: - «Ma non so, che strada prendere per ritrovarli questi genitori.» - Dice il Re: - «Piglia quel, che ti bisogna, e vai a vedere se gli trovi. E, se gli trovi, portameli quì. Ti do un permesso per quanto tempo tu vôi.» - Germano dunque, avuto il permesso dal Re, trascelse a su' fido compagno un vecchio Capitano. E tutti e due, montati a cavallo, sortirono una mattina dalla città. Dice il Capitano: - «Ma sie' sicuro, Germano, che questa è la porta, da cui la prima volta entrasti in questa città?» - «Sì sì, ne sono sicuro. La riconosco. Non mi sbaglio;» - gli arrispose Germano. Camminarono dunque dimolto tempo; e finalmente giunsero a un luogo deserto e salvatico, a piè d'una montagna, e non c'erano sentieri per salire su. Dice il Capitano: - «A me mi pare, che tu sbagli la via. Oh! non vedi, che non c'è modo di salire? e poi siamo per un deserto salvatico.» - Dice Germano: - «Abbenchè da tanto tempo, eppure mi pare proprio, che questi posti son quelli, che attraversai, quando venni via di casa.» - Dice il Capitano: - «Gua', e' sarà! Ma io dico, che tu ha' scambiato.» - Ma Germano cominciò a salire su pel monte e il Capitano gli andava dietro alla meglio; e, sali, sali, arrivarono in vetta. Dice Germano: - «Ecco, son proprio ne' mi' posti. E la capanna de' mie' genitori eccola laggiù in fondo a questa spianata.» - L'Adelasia, in quel mentre, era lì a raccattar delle foglie. Quando vedde que' du' soldati, si sconturbò tutta, perchè credette fossero venuti per arrestarla e gli parve di vedere tutta l'effigie del su' babbo; motivo per cui impaurita, corse dentro alla capanna, ne serrò l'uscio e cascò in terra stramortita. Germano, che aveva riconosciuto la mamma, gli corse dietro anche lui a cavallo, e di fori urlava: - «Mamma, mamma, son'io; sono il vostro figliolo. Che non mi riconoscete? Aprite, non abbiate paura.» - Ma quella non rispondeva, perchè era svenuta. Allora Germano, con un calcio, buttò giù l'uscio; e prese l'Adelasia tra le braccia; e badava a chiamarla e a dirgli, che la stasse di bon'animo e che era il su' figliolo. L'Adelasia aprì gli occhi e guardò ben bene Germano. Dice: - «Sì, ti riconosco. Ma tu m'ha' tradito.» - Dice Germano: - «Perdonatemi. Ora son qui da voi, per condurvi dal Re assieme col babbo.» - E l'Adelasia piangendo: - «Lo vedi? se lo dico, che tu m'ha' tradito!» - In questo mentre, eccoti anche Adelame, che tornava dal bosco; e, nel vedere lì que' soldati, anche lui credette, che fossero venuti per arrestarlo. E si buttò in ginocchioni a dimandar pietà per lui e per la moglie. Bisogna ora sapere, che quel Capitano vecchio, era stato padrino dell'Adelasia. Sicchè dunque, a sentire tutte quelle cose, finì con riconoscerla; e rimase, quando s'accorse, che Germano era figliolo di Adelame e dell'Adelasia, e però nipote del Re. Entrò di mezzo anche lui e disse chi era. E tanto s'adoperò, che Adelame e l'Adelasia s'addomestichirono, e la paura gli cominciò a andar via d'addosso, e si lasciarono persuadere a tornare tutti alla città del Re. Quando ci furono arrivati, il Capitano fece entrare Adelame e l'Adelasia nel palazzo reale per una scala segreta e gli messe in una camera in disparte; e poi con Germano andò dal Re. Dice il Re: - «Ben tornati. Che gli avete scoperti i genitori di Germano? Non me gli avete menati, come vi ordinai?» - Dice Germano: - «Trovati i' gli ho. Ma che vôle, Maestà, son gente avvezza al bosco e mezzo salvatichi, non sono voluti venire con me.» - «Male, male! avete fatto dimolto male a non gli condurre con voi,» - disse il Re mezzo scorruccito. Dice il Capitano: - «Senta, Maestà, il vero è, che que' due sono venuti con noi. Ma io non glieli presento davvero, se prima non mi concede la grazia della vita a tre persone.» - Dice il Re: - «Oh! che domanda è questa?» - Dice il Capitano:-«A Lei non gli costa nulla questa grazia e me la pole fare.» - Dice il Re: - «Ebbene, in vista, che siete il più vecchio de' miei uffiziali, la grazia è concessa.» - «Scusi veh! Maestà,» - dice il Capitano: - «Ma Lei mi deve giurare sulla corona, che mi manterrà la parola ad ogni patto.» - Al Re parve un po' ostica questa pretensione del Capitano; ma, per non contraddirlo, giurò come voleva lui. Allora il Capitano fece entrare Adelame e l'Adelasia, che si buttarono a' piedi del Re, chiedendo perdono. Quando il Re gli riconobbe, tutto incattivito, sclamò: - «Bricconi! ci siete capitati nelle mi' mani. Ora poi vo' fare le mi' vendette.» - E tira la spada dal fodero per ammazzare l'Adelasia per la prima. Germano, che vedde quel lavoro, non si ritenne; e anche lui cava la spada e l'appunta al petto del Re: - «Se Sua Maestà non si ferma, e vôle ammazzare la mamma, io invece ammazzerò Lei.» - In quel mentre il Capitano aveva preso il braccio del Re e gli dice: - «Sua Maestà si rammenti del giuramento. E poi ripensi, che questo è suo sangue; e che Germano è il suo unico nipote ed erede.» - Al Re a poco per volta gli passarono le furie; e sentito che Germano era figliolo legittimo di Adelame e dell'Adelasia, e quanti stenti e patimenti avevan sofferto tutti per tanti anni, finì con perdonarli e rimetterli nella su' grazia. Sicchè se ne stettero col Re; e, morto lui, Germano diventò padrone dello stato.
Ditene, se vi pare, una più bella.
[1] Narrata da Ferdinando Giovannini, sarto del Montale-Pistoiese, al cav. prof. Gherardo Nerucci.
[2] «Discorrere, nel vernacolo, fare all'amore.» G. N.
[3] «Far pippo, vale far la spia.» G. N.
[4] I padri tiranni a questo modo e peggio, sono frequentissimi ne' racconti e popolari e letterarî e nella vita pur troppo. Ne troviamo uno nell'esempio milanese seguente:
Ona volta gh'era on Prenzip. L'era vedov; el gh'aveva minga de miee, l'era morta. E el gh'aveva ona tosa; e in casa soa, la sera, gh'era semper conversazion. De quij, che andava là alla conversazion, gh'era on cont; e el ghe fava l'amor alla tosa de sto Prenzip. Quand el pader è vegnuu a savell, el gh'ha proibii alla soa tosa de parlagh; ma lee, de scondon, la ghe parlava semper. Ven, che lu, sto cont, l'ha ditt: - «Mi vòo a cercalla al pader.» - E el pader, el gh'ha ditt, ch'el voreva minga maridalla, che l'era tropp giovina, e de lassalla sta. Ma lee, la ghe voreva tant ben e lu l'istess, che han combinàa de sposass secretament. E lì han cercàa on pret e di testimoni; e ona sera, de nascost del pader, hin andàa e s'hin sposàa. Ven, che lee, è vegnuu on moment, che bisognava, che al pader ghe le disess, che lee, l'era maridada. Quand ghe le dis al pader, lu, el va in tutt i furi; e el ghe dis, che l'è minga vera e ch'el ghe cred minga. E la ghe dis, che gh'è el pret e i testimoni. E lu, a la sera, l'ha fàa su tutta la robba de la tosa; de scondon l'ha fàa taccà sott; l'ha missa in carrozza; e l'ha menada distant, che lee l'ha minga podùu capì in che sit, ch'hin reussìi. Fatt l'è, che l'era de nott: el pader, el va a on convent, el ghe dis: - «Quest l'è el sit, in dove te devet stà ti.» - El parla cont la badessa, e el ghe dis la manera, che doveven regolass; e pœu el va via, el lassa lì la soa tosa. Lee, la se trœuva in de sto monastee. E i monegh ghe disen, che la doveva fà l'ann de novizziàa e dopo fass monega. Lee, la dis che la podeva minga229. Difatti, de lì on trì mes, la gh'ha avuu ona tosetta. Lor, sta tosetta, i monegh, per part de la mièe del giardinèe l'han dada via a bailì. E pœu, lee, in seguet, voreven a tutt i cunt, che la se fass monega. E lee, la ghe diseva, che la podeva minga: che, se lee la se fava monega, la fava on sacrilegg, perchè l'era maridada. So pader, el mandava là a vedè sta soa tosa come la se comportava. Lor ghe diseven, che la voreva minga fass monega; e lu, el ghe diseva a i monegh, de dagh di gran castigh. Ven, che i monegh l'han ciappada, l'han menada giò in d'on sotterani. E là, no la gh'aveva nient, on lettin propi come in terra, a dormì a l'umed: per vedè, se lee l'avess avùu de podè fa la monega. Ma lee, l'è semper stada ferma. La ghe diseva: - «Putost la mort, che fà on sacrilegg.» - Quella, che andava de bass a portagh el mangià, l'era ona moneghella, che anca lee l'han missa denter, contra la soa volontàa. E quand l'andava de bass a portagh el mangià, le confortava; e la ghe diseva semper de sperà in dio, che l'avaria juttada. Ven, che quella tosetta, che aveven fa bailì, era già passàa on ses o sett ann, e l'han tirada lì in del convent; e i monegh l'educaven lor, ma semper con l'idea, che la dovess fa la monega. Ma sta tosa la gh'aveva poca vocazion. È passàa on poo de temp e la gh'aveva già on quindes ann. Lee, l'andava cont i monegh al mattutin tutt i ser; e passaven via d'on corridor e la sentiva di volt ona vôs, on lament, che a sta tosa el ghe fava penna. La ghe le dis, a quella tal moneghella, che l'era lee, che gh'aveva i ciav e che andava giò. La moneghella, lee le dis, che l'era ona povera infelice, che l'era in castigh. Lee, la gh'ha ditt, che la desiderava de vedella, sta povera infelice, per podè confortalla. E la monega, la dis: - «Ben, sent. Diman de sira, quand tutti hin a dormì, mi te menaroo de bass; ma guarda ben a confidaghel a nissun; se de no, mi voo in bordell230.» - Lee, la ghe dis: - «No, no; sta certa, che mi no ghel diroo a nissun.» - La sera adree, quand tutti hin a dormì, che gh'è quiett depertutt, van e derven st'us'c sott a sto coridor e van giò. Sta tosa, la dis: - «O che aria umeda, che ven! povera donna! come la dev avè soffert!» - Van là; e sta donna, la dis: - «Chi l'è, che ven de sti or in de sta povera infelice?» - E la monega le dis: - «Sont mi, che te meni giò ona novizia, che la desidera de vedett.» - E lee, la ghe dis: - «O brava! vedi volentera, che te l'abbiet menada chì.» - La ghe dimanda a sta giovina, se la voreva propi fa la monega; e lee, la ghe dis: se le fava, le fava per forza; perchè lee, la gh'aveva minga la vocazion de fa la monega. E sta donna, la malada, la ghe dimanda quanto temp l'è, che l'è denter; e lee, la ghe rispond, che dopo che l'è vegnuda granda, l'è stada semper denter lì. La ghe dimanda, quanti ann la gh'ha; e la tosa, la ghe dis, che la gh'ha quindes ann. E lee, allora, la ghe dis: - «Allora te see nassuda chì denter!» - e la se volta con la monega e la ghe dis: - «Dimm la veritàa, che questa l'è la mia tosa?» - Allora la monega, la dis: - «Si, mi hoo mai vorùu dì nient per no inquietàtt, ma questa l'è la toa tosa.» - Allora la tosa, la ghe trà i bracc al coll a soa mader e la ghe dis: - «Subet che mi sont la toa tosa e mi saroo quella, che te salvaràa de chì.» - E s'ciavo e van via. La monega, la dis: - «Per caritàa, digh nient a la badessa; fa minga in manera, che mì gh'abbia andà de mezz.» - E lee, la ghe dis: - «No, sta sira l'è tropp tard; ma diman, quand saran tutti a dormì e quiett, mi e ti emm de sortì del convent. Ti, te see pratica de sta cittàa chì; e andarem tutt e dò de l'arcivescov. E quand sarem là, lassem parlà de mi.» - Adess bœugna tornà del marì. Combinazion, ch'el marì l'ha mai podùu savè, in dove l'avess compagnàa soa miee so pader de lee. E lu, l'andava semper de sira de spess in de sto arcivescov in conversazion; el ghe diseva tutt i so dispiasè, ch'el gh'aveva: e lu, l'arcivescov, el ghe diseva de sperà, che chi sà che on quaj dì o l'alter l'avess avuu de podè trovà ancamò la soa mièe? Ven, che quella sira l'era là in conversazion, quand va denter on servitor. El ghe dis: - «Soa Eminenza, gh'è chì dò monegh; han de bisogn de parlagh.» - Allora l'arcivescov, el và là, el ghe dis: - «Come! dò monegh de sti or fœura del monestee?» - E lee, allora, la tosa, la ghe dis: - «Si, el bisogn, el m'ha faa sortì anca de sti or chì!» - e la ghe cunta i maltrattament, che ghe faven a la soa mamma, che han mai voruu cred, che la fuss maridada. - «E mi sont vegnuda a savè, che mi sont la soa tosa; e vegni a interced grazî per la mia mamma» - Allora lu, el dis: - «Ben, diman vegnaroo subet al convent; faròo finta de andà a vedè tutt i local.» - El ghe dis a quella monega: - «Ti, che te gh'hét i ciav de tutt, quand semm sott a quel portegh, damm ona oggiada, che mi allora voreroo vedè anca quel sit là.» - S'ciao, ie fa compagnà a casa col servitor; e lor van a casa e van in la soa cella e van a dormì. El dì adree, ghe va l'arcivescov. E la mader badessa, la corr, ma la corr a la contra! la ghe fa cera e la ghe dis: - «Che novitàa de vegnì, che nun l'aspettavem minga?» - E lu, el ghe dis, che l'era andàa per fa ona visita al convent. La mader badessa le mena attorno deppertutt; e quand l'è sott a quel portegh, la monega la ghe fa on segn. E lu, el dis: - «Ma sto uss chì, dove l'è, che el va?» - E lee, la Badessa, la ghe dis: - «Oh l'è on uss d'ona cantinna; l'è minga on uss.... non se va mai giò.» - E lu, el dis:« - Ben, posto che visiti tutt, vœuj visità anca sto sit.» - La badessa l'è restada lì e la po minga digh de no; e lee, la monega, la pessèga, la derv. Ven giò l'arcivescov: el resta lì a vedè sta povera infelice lì buttada giò in su on pajassin. El ghe dis: - «Che delitt l'ha commess sta donna de maltrattalla in sta manera?» - E lee, la ghe dis, lee, la malada, che la maltratten in quella manera lì, perchè lee l'è maridada e lor voreven, che la professass a fà la monega. Allora lu, l'arcivescov, el ghe da ordin immediatamente de levà quella donna de quel sit lì, de portalla de fœura e mettella in su on lett e de dagh quaicoss de podè tiralla su, perchè l'era tanto svenuda, gh'era vegnùu fastidi. El fava stà lì la soa tosa e quell'altra monega. L'è stada lì per on poo de dì; e pœu l'arcivescov l'ha mandada a tœu, lee e la tosa e la monega insemma tutt e tre, l'ha missa in d'ona casa fina, che l'ha podùu recuperà on poo de salut. On dì va là el cont, el torna a parlà di so dispiasè: allora l'arcivescov, el fa taccà sott, el ghe dis: - «Andem, che vœuj menav in d'on sit a fa ona visita.» - E le mena là, dove gh'era la soa mièe: - «Ecco» - el dis - «la cognossìi questa chì?» - E lu, el dis: - «Mi no.» - «Ben, questa l'è la vostra mièe e questa l'è la vostra tosa.» - E lu, l'è restàa ben content d'avè trovàa la mièe e la tosa. L'arcivescov l'ha dàa on gran castigh a la badessa e pœu l'ha mandàa a ciamà so pader de lee. Anca a lu, el gh'ha dàa ona gran strapazzada231. E quella monega che gh'era insemma, che l'ha salvada, l'è restada anca lee cont lor, perchè lee, la monega la fava contra la soa volontàa. Hin restàa insemma e s'ciavo, n'occorr alter.
[5] Padrino. Ricorda e spiega il parrinu Calabro e siculo, che val prete. - Bebel. Facetiarum Liber I. - «Vidimus nuper Eremitam promissa barba insignem, qui, cum multae sanctimoniae ab aliquibus praedicaretur, surrexit unus ex nostris, qui parvam existimationem tribuebat universis illis eremitis, dicens: Unde sanctitatem auguramini, an ex promissa barba? Non est sic, ô simplices sodales: si enim barba probitatem adderet, hircus esset vel omnium probissimus.232» -
[6] Sic.
[7] Questo negozio, questo baratto svantaggioso, ricorda l'esordio del Trattenimento V della Giornata III del Pentamerone: - «Nardiello è mannato tre bote da lo patre a fare mercanzia co' ciento docate la vota; e, tutte le bote, accatta mo' 'no sorece, mo' 'no scarrafone e mo' 'no grillo. E, cacciato pe' chesto da lo patre, arriva dove, sananno pe' miezo de' st'anemale la figlia de 'no Re, dapò varie socciesse le doventa marito.» -
E hoo incontrà d'ona giovina bella.
Che l'andava monighella.
Gh'ha donato d'on bel libretto.
- «Mi non voglio questo libretto:
Ma mi voglio quel giovinetto,
Che me consolarà.» -
L'han menada in d'ona stanza scura,
E altretanti sonador.» -