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I DUE GOBBI.[1]
C'era due gobbi, due compagni, via; ma tutti e due gobbi; ma uno più gobbo dell'altro. Poeri gli erano, rifiniti, senza un quattrino. Dice un di quelli: - «Io vo' andare a girare il mondo» - dice - «perchè qui non si mangia, si more di fame. Voglio vedere, s'io fo fortuna.» - «Vai davvero. Se tu la fai te, che tu torni, anderò a vedere io, se io fo fortuna.» - Questo gobbo si mette in cammino e va via. Ma siccome questi due gobbi gli eran di Parma, questi due gobbi il suo posto gli era Parma; quando gli ha camminato un pezzo grande di strada, trova una piazza, dove c'era una fiera, dove vendevano di tutte, di tutte le sorti. C'era uno, che vendeva cacio; gli dice: - «Mangino il parmigianino!» - Questo povero gobbo credeva, che gli dicesse a lui: - «Mangia il parmigianino!» - Scappa via e si nisconde in un cortile, dirò. Quando gli è un'ora, sente uno scatenìo, uno scatenìo! E sente: - «Sabato e domenica!» - per tre o quattro volte. Questo povero gobbo e' dice: - «E lunedì!» - e risponde. - «Oh dio!» - dicono quelli, che cantavano - «chi è quello, che ci ha accordato il nostro coro?» - -Vanno a cercarlo e lo trovano questo povero gobbo niscosto. - «O signori,» - dice - «non son venuto per far nulla di male, sanno?» - «Eh! noi siamo venuti per ricompensarti; tu hai accomodato il nostro coro. Vieni con noi!» - Lo metton sur una tavola e gli levano il gobbo. Lo medicano, sarciscono la ferita e poi gli danno due sacchi di quattrini. - «Ora» - dicono - «tu poi andare.» - Esso li ringrazia, e via, senza il gobbo. Gli stava meglio, lo credo! E viene in Parma a il suo posto. Eccoti l'altro gobbo: - «Guarda! o non mi par tutto il mio amico? Chêh! ma gli aveva il gobbo! non è! Dài retta! Tu non siei il mio compagno, così e così?» - «Sì,» - dice - «son io.» - «Dai retta: o tu non eri gobbo, te?» - «Sì. M'hanno cavato il gobbo e m'hanno dato due sacca di quattrini, ora ti dirò il perchè. Io» - dice - «arrivai in questo posto» - gnene dice dove; a me non l'ha detto e io non lo so, io! - «e sentii a principiare a dire: mangialo il parmigianino! mangialo il parmigianino! Io ebbi tanta paura, mi nascosi.» - Gli dice il posto: - «In un cortile, così e così.» - Dice: - «Quando fu un dato tempo, sento uno scatenìo; e sento a principiare: Sabato e domenica! un coro. Io, dopo tre o quattro volte, gli dissi: E lunedì! Questi vennero cercando me e mi trovorono, dicendo che io aveva accomodato il suo coro, e che mi volevano ricompensare. Mi presero,» - dice - «mi levorono il gobbo e mi diedero due sacca di quattrini.» - «Oh dio!» - dice l'altro gobbo - «voglio andare anch'io, sai?» - «Vai poerino, vai pure, vai, vai, vai!» - Poero gobbo! - «addio, addio!» - Si mette in viaggio e va via e arriva a questo posto. E si mette niscosto, dove gli aveva detto il compagno, preciso. Passato un dato tempo, eccoti tutto uno scatenìo; e sente: - «Sabato e domenica!» - così tutto un coro. E quegli altri, l'altro coro: - «E lunedì!» - Questo gobbo, dopo tre o quattro volte, che dicevan così: - «Sabato e domenica e lunedì!» - dice - «E martedì!» - «Dov'è» - dicono - «quello, che ci ha sciupato il nostro coro? Se noi lo si trova, gli ha da andare in pezzi.» - Questo poero gobbo, considerate, lo picchiano, lo bastonano, via, quanto posson loro. Lo bastonano; e poi, dopo, lo mettono sull'istessa tavola del compagno. - «Prendete quel gobbo» - dicono - «mettetegnene davanti.» - Prendono il gobbo e gnene appiccican davanti; e poi, a suon di bastonate, lo mandan via. Va nel suo posto e trova l'amico: - «Misericordia» - dice - «o che non è quello il mio amico? Chêh! non è, perchè gli è gobbo anche davanti» - dice. - «Ma dài retta,» - dice - «non sei tu il mio amico?» - «Altro!» - dice piagnucolando. - «Non volevo il mio di gobbo e mi tocca ora a portare il mio e il tuo! e tutto bastonato, tutto rifinito, non vedi?» - «Vien via» - dice l'amico - «vieni a casa e così si mangerà un boccone assieme; e non ti confondere.[2]» - E così, tutti i giorni, gli andava a mangiare una zuppa dall'amico; e poi saranno morti, m'immagino.[3]
[1] Vedi Gradi (Saggio di Lettere varie pe' giovani). Novella de' due Gobbi. - Pitré. (Op. cit.) LXIV. Lu scarparu e li diavuli. - Pietro Piperno. (De Nuce maga Beneventana) Casus II. De Gibboso vi Dæmonis mutato in arenationem, seu ante pectus in convivio nucis Beneventanae mag. - Anche il Gozzi ha narrato questa frottola. Francesco Redi, scriveva il XXV Gennajo M.DC.LXXXIX di Firenze al Dottor Lorenzo Bellini in Pisa. - «Come una mamma amorosa, che, intenerita di quella sua figliuola gobba e sciancata, vorrebbe pure, ch'ella comparisse con l'altre a una festa, e perciò s'affanna a farle raddoppiare i tacconi alla scarpa del piede zoppo, e le rimpinza guancialetti e batuffoli di cenci intorno a' fianchi ed intorno alle spalle; così ho fatto io di nuovo intorno a quelle terzine, una di queste notti così gelate, mentre mi tribolava, che non poteva dormire. Ma penso, che sarà avvenuto come accadde a quel gobbo da Peretola, il quale, avendo veduto, che un altro gobbo suo vicino, dopo un certo suo viaggio, era tornato al paese bello e diritto, essendogli gentilmente stata segata la gobba, lo interrogò, chi fosse stato il medico, ed in qual paese fosse aperto lo spedale, dove si facevano così belle cure. Il buon gobbo, che non era più gobbo, gliela confessò giusta giusta. E gli disse, che, essendo in viaggio, smarrì una notte la strada; e, dopo lunghi aggiramenti si trovò per fortuna alla Noce di Benevento, intorno alla quale stavano allegramente ballonzolando moltissime streghe con una infinità di stregoni e di diavoli. E che, fermatosi di soppiatto a mirare il tafferuglio di quella tresca, fu scoperto, non so come, da una strega, la quale lo invitò al ballo, in cui egli si portò con tanta grazia e maestria, che tutti quanti se ne maravigliarono; e gli presero perciò così grande amore, che, messoselo baldanzosamente in mezzo, e fatta portare una certa sega di butirro, gli segaron con essa, senza verun suo dolere, la gobba, e con un certo impiastro di marzapane gli sanarono subito subito la cicatrice e lo rimandarono a casa bello e guarito. Il buon gobbo da Peretola, inteso questo e facendo lo gnorri, se ne stette zitto zitto. Ma il giorno seguente si mise in viaggio; e tanto ricercò e tanto rifrustò, che potette capitar una notte al luogo della desiderata noce, dove, con diversità di pazzi strumenti, quella ribaldaglia delle streghe e degli stregoni trescava al solito in compagnia de' diavoli, delle diavolesse e delle versiere. Una versiera o diavolessa, che si fosse, facendogli un grazioso inchino, lo invitò alla danza, ma egli vi si portò con tanto malgarbo e con tanta svenevolaggine, che stomacò tutto quanto quel notturno conciliabolo. Il quale poi, mettendosegli attorno e facendo venire in un bacile quella gobba segata al primiero gobbo, con certa tenacissima pegola d'Inferno la appiccò nel petto di questo secondo gobbo. E così questi, che era venuto qui per guarire della gobba di dietro, se ne tornò vergognosamente al paese gobbo di dietro e dinanzi; conforme suol quasi sempre avvenire a certi ipocondriaci cristianelli, che, volendo a tutti i patti e a dispetto del mondo, guarire di qualche lor male irrimediabile, ingollano a crepapancia gli strani beveroni di qualche credulo ma famoso medicastro e di un sol male, per altro comportabile, che hanno, incappano per lo più dolorosamente in tre o quattr'altri più dolorosi del primo, i quali presto presto li mandano a Patrasso, ch'è un oscuro paesello lontano da Firenze delle miglia più di millanta. Or voi, caro Bellini, applicate questa frottola alle terzine del mio sonetto. Leggetele, ridetevene, burlatemi, cuculiatemi, che me lo merito; e se non ho potuto rabberciarle io, fate la gran carità di rabberciarle voi:
«Che per onor dei fichi e delle pere
Fra' medici più saggi di Parnaso,
Foste creato l'arcimastro e il sere,
E in ogni cul potete dar di naso.» -
Il paragone de' cristianelli allude ad un altra frottola, ricordata anche da Michele Zezza, in uno de' sonetti del Carteggio poetico di Picà e di Picò.
Lungi droghe, che qui portan gl'Inglesi
Dal nuovo mondo a noi: queste, in mia fè,
Ci mandano più presto a quei paesi.
Per questo appunto lo Spagnuol morì;
Ma pria sull'urna sua scrivere fè:
Per volere star meglio, ora son qui.
Stefano Francesco di Lantier, nella XXXVI lettera della sua Correspondance de Suzette d'Arly: - «On racconte, qu'un Italien, assez content de son sort, se maria pour être mieux; il mourut après six mois de mariage. Il ordonna de graver cette inscription sur son tombeau: Stava bene, per esser meglio son qui. Combien de gens, à l'exemple de ce pauvre mari, se remuent, s'agitent, pour être plus mal.» -
Il Noce di Benevento vien ricordato anche nelle Poesie Italiane | e in | Dialetto Napolitano | di | Domenico Piccinni || Napoli | Da' tipi di Cataneo | 1827. (pagina 105; componimento intitolato: La Notte).
Sta 'na noce chiantata a Beneviento,
Addò', come la Notte s'abbicina,
Nce veneno 'ncopp'acqua e 'ncopp'a viento,
E da parte lontana e da vicina
Le streghe: parte int'a 'no vastemiento
'Ddò' de diavole so' 'na cinquantina,
Chi accavallo a 'no crapio e chi a 'no puorco.
Chi portata da 'n Urzo e chi da 'n Uorco.
[2] Non ti confondere equivale al napoletanesco non te ne 'ncarrecà'! E mi sia lecito di rivendicare il piccolo onore di avere, sette anni prima della Canzonetta di Masto Raffaele, richiamato l'attenzione sull'importanza demopsicologica di quell'intercalare partenopeo, in una bizzarria intitolata: I Serpenti di Panarano.
[3] I poveri gobbi sono argomento d'infiniti racconti burleschi. Ne riferirò due, ne' quali si equivoca sulla parola gobbo, che ha avuto ed ha anche altri significati. Il primo è cavato da Le piaceuoli | et ridicolose | Facetie | di M. Poncino | dalla Torre Cremonese. | Di nouo ristampate | con l'aggiunta d'alcun'altre, che nella prima | impressione mancauano. || In Venetia, M.DC.XXVII. | Appresso Girardo, et Iseppo Imberti. - «Si spendeva a quei tempi, nel Ducato di Milano, una certa piccola moneta; perchè era stata coniata sotto un Duca gobbo, Gobbo si chiamava; tre de' quali facevano un soldo. Il nome di cotal moneta, perchè pareva che fosse a disprezzo del Duca, fu causa, che si bandì. Furono nondimeno costituiti banchieri, che tutti questi simili danari ricevessero et gli tagliassero et all'incontro ne dessero il valore con altrettanta moneta d'altra sorte. Vide Messer Poncino per avventura un giorno su la Piazza di Cremona tre uomini di basso affare tutti tre gobbi; i quali immaginossi con l'occasione del sodetto bando di burlare in cotal guisa. Andossene dunque da loro et disse: Amici, fatemi di grazia un servigio. Venite per cortesia ad esser testimonî ad un instromento, che a quel banco là ho da trattare, che io ve ne restarò con obbligo. - Volontieri, risposero i gobbi; ma ben avremo di caro, che tosto ne sbrighiate, perciocchè abbiamo anco noi faccende. - Non perderete tempo, replicò Messer Poncino; ma in tre parole sarete spacciati. Così di compagnia giunti ad un banco, dove si cambiavano et tagliavano di quei danari gobbi, disse al banchiere Messer Poncino: Eccovi tre gobbi; datemi un soldo et a vostra posta tagliateli. Rimasero attoniti i gobbi; et il banchiere, tra perchè era faceto anche egli, sì eziandio, perchè poco gli costava, diede a Messer Poncino subito il soldo, et uscito dal banco, insieme con due altri suoi compagni, presero i gobbi, et dentro la bottega facendo vista di volergli portare, per tagliargli, gli posero in grandissima smania. Alfine lasciatigli, si svoltorono essi a M. Poncino et con rampogna gli minacciavano il castigo. Ma egli et gli altri, che quivi intorno s'erano raunati, ridendosene, fecero che più che di fretta i gobbi si partirono; et fra gli uomini quanto più potevano andavano nascondendosi.» - L'altra novella la tolgo da' Cento Racconti, raccolti da Michele Somma, dov'è intitolata: Gli equivoci, certe volte, sono la rovina dell'uomo. - «Un certo cardinale di Roma, dovendo dar tavola un giorno, e mancando in detta città i gobbi, che qui in Napoli chiamansi cardoni, scrisse ad un suo amico di questa capitale, acciò gliene avesse mandato una ventina. L'amico, credendo, che il cardinale bramava i gobbi per far qualche burla, radunò venti di questi, e gliel'inviò, colla promessa, che avrebbero avuto un buon regalo. Arrivati che furono i gobbi in Roma, e passandone il cameriere la notizia al cardinale, gli fu risposto, che li avesse situati nella cantina. Ciò udendo il povero cameriere, mentre incominciava a far la causa di que' stanchi gobbi, venne rimproveràto fortemente dal cardinale. Sicchè, convenendogli di ubbidire, trascinò i poveri gobbi nella cantina. Considerate voi, che timore e sbalordimento sopravvenisse a quegl'infelici! Dopo due ore, il cardinale chiamò nuovamente il cameriere; e gli ordinò, che avesse battuto sopra dei gobbi cinque o sei brocche d'acqua. A questo secondo complimento, impietositosi il cameriere, rispose: Eminenza, e perchè tanta barbarie con questi poveretti? Non ancora avea proferite queste parole, che ricevette una seconda strapazzata più terribile della prima; sicchè gli convenne per la seconda volta ubbidirlo, scaricando per la ferriata più di cinque o sei brocche d'acqua sopra degl'intimoriti gobbi. Avvicinandosi finalmente l'ora di tavola, il cardinale disse al cameriere: Calate giù nella cantina, prendete quattro o cinque gobbi, scorticateli ben bene, e poi fateli a pezzi minutissimi. Ciò inteso il cameriere, quantunque avea risoluto di non più ostarsi al cardinale, pure incominciò a dire: Ma Eminenza, e che umanità.... A questo terzo rimprovero, prese il bastone il cardinale; e, se non se la scappava il cameriere, sarebbe stato castigato. Sicchè, per non perder il pane, fattosi animo, e chiamato in aiuto altre persone di servizio, scese nella cantina e così disse ai tremanti gobbi: Cari miei, io non ho che farvi, e Dio sa che ho sofferto per voi; sicchè cinque o sei di voi debbono essere scorticati, e fatti minutamente a pezzi. A quest'ultima antifona incominciarono i gobbi ad urtarsi l'un l'altro, ed a gridare in modo, che, rivoltandosi tutto il palazzo, si affacciò il cardinale; ed interrogando il motivo di sì forte schiamazzo, gli fu risposto dal cameriere, ch'erano i gobbi. Dunque i gobbi gridano? ripigliò il cardinale. Signore, rispose il cameriere, questi non sono muti ma gobbi, cioè storpi. Ciò udendo il cardinale, tra le risa e il capriccio, disse al cameriere: Cacciateli dunque dalla cantina, e portateli qui. Venuti i semivivi gobbi alla presenza del cardinale, questi li cercò scusa, e gli disse, che egli voleva i gobbi, che si chiamano cordoni, non già quelli, che si chiamano gobbi; e che perciò li avea sì malamente trattati, e li avrebbe trattati peggio, se non avessero urlato. Regalò loro assai bene e finalmente ne li rimandò qui in Napoli, dove arrivati, ed interrogati dall'amico del cardinale del trattamento ricevuto, gli raccontarono tutto l'accaduto su di essi. Non potè fare a meno di ridere smascellatamente l'amico corrispondente per l'equivoco avvenuto.» -