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IL PRETE CHE MANGIA LA PAGLIA.[1]
C'era una volta un citto. Questo citto era rimasto solo, privo di tutti, ma aveva diversi quattrini. Un giorno era per una strada che camminava, trovò il prete della su' cura, e si salutorno tutti e due. Costì questo citto gli disse che era solo; e il prete gli domandò, se voleva andare a star con lui. Questo citto non gli parve vero. Il prete disse: - «Bene, bisogna fissare così; il primo che si adirerà, pagherà cento scudi.» - «Oh non dubiti.» - «Sai» - gli disse il prete a questo giovanotto, - «domani mattina devi andarmi a seminare un po di grano.» - «Sicuro.» - Questo ragazzotto sapete cosa fa? Il prete gli aveva dato un sacco di grano, che l'avesse seminato tutto in quel campo. - «Così» - disse il prete - «s'adira quando vede tutto questo lavoro.» - Arrivò quel ragazzo, prese i bovi, appena fu al campo, e fece tutto un sogo e te lo buttò tutto lì dentro quel grano, e poi lo ricoprì. - «Cordone si deve adirare lui e no io!» - e poi si buttò a ghiacere. Poi aspetta la colazione, e la colazione non veniva. - «Ah il prete me la fa bellina, ma tornerà peggio per lui!» - Sona mezzogiorno, e vede venire la serva a portargli la colazione. - «Tenete, io vi ho portato la colazione.» - Gliela lascia lì, e la va via. Questo va per mangiare, e trovò la zuppiera siggillata. - «Guarda, questo prete crede, che io mi voglia adirare!» - Gli aveva un maniolo; con l'occhio del maniolo, spaccò il culo della zuppiera; e mangiò la minestra. Poi va per bere, e trovò siggillato il fiasco, gli da un tonfo, e gli leva il collo, e beve. La serva gli aveva detto al padrone, che l'aveva trovato a dormire. Dice il prete: - «O poerino a me! azzecca cosa mi ha fatto.» - Tornò a casa questo giovanotto. Il prete: - «Che l'hai seminato tutto il grano?» - «Sì.» - «Come hai tu fatto?» - «Oh! ho fatto un sogo e gliel'ho buttato.» - «Oh, che tu m'hai rovinato!» - «Oh signor padrone, che L'è adirato?» - «Ti pare?» - Questo giovanotto s'era innamorato della serva, che si chiamava Gigia. - «Senti Gigia,» - gli fa il prete, - «t'hai veduto, Marco ti vuol tanto bene. Gli è tanto pauroso, tu devi sentire di che cosa ha paura. Domani sera io tornerò più tardi; e te domandagli ogni cosa, che poi tra me e te si penserà qualche cosa per farlo adirare.» - L'indomani il prete l'andò via, e rimase solo la Gigia e Marco. Sta serva, nel discorrere, si messe a dir delle paure. - «Dimmi, Marco, di che cosa t'hai paura te?» - «Io, più paura, che abbia, io ho paura di il chiù[2].» - «Eh, dio mio! di un uccello così tanto piccinino?» - «Ah sta zitta, quando lo sento cantare più di una volta, mi vien male!» - In questo mentre venne il prete, e andorno a letto. Quando fu andato a letto Marco, il prete ritornò dalla serva. - «Di che cosa l'ha paura Marco?» - «Mi ha detto, che gli ha paura di il Chiù.» - «Senti, spogliati. E poi ti melerò tutta; e poi t'anderai a buttarti su quella massa di penne: tu parrai un Chiù tale e quale. E poi t'hai a montare su quel melo, che c'è nel giardino di faccia alla finestra di Marco, e t'hai a principiare a dir: Chiù, Chiù. Tu vedrai, che lui s'arrabbierà, e vorrà andare via arrabbiato, così piglio cento scudi.» - E costì tanto fecero. Questa serva, quando fu montata in quest'albero, avviò a cantare: chiù chiù (non si veglia più). Marco, che sente chiù, figuratevi come si diede da fare. - «Ah poero a me! ne ho ragionato oggi di il chiù; e lì canta che ti canto questo chiù!» - e Marco s'era nascosto sotto i lenzuoli, ne aveva fatte di tutte. Sicchè gli era scappata la pazienza, ci aveva il fucile carico, s'affaccia alla finestra, e tira una schioppettata addove sentiva la voce. E sente cascare giù roba. - «Canta ora, tu l'hai auta!» - e costì se ne tornò a letto. Il prete s'affacciò alla finestra nel sentire questo scoppio; e vidde la sua Gigia, che gliela aveva ammazzata. Il prete via da Marco. - «Ah, birbante, cosa t'hai fatto!» - «Se non si cheta gliela tiro anche a Lei.» - «Che ti sei adirato Marco?» - «No; ch'era adirato Lei?» - «No.» - E costì la feceron finita, ritornarono a letto. Per tornare un passo adreto, il prete gli disse: - «Sai, Marco? domattina prepara il cavallo, si deve andare da un nipote, è stato sposo.» - «Sì? ho a preparare un po di cacio, un po di vino, qualche cosa?» - «'Un preparare nulla, si arriva presto.» - La mattina, Marco si levò, e preparò ogni cosa come gli aveva detto il prete. Il prete si leva, montò a cavallo e andò via; e Marco appiedi. - «Così si adirerà!» - Ogni tantino, diceva il prete a Marco: - «Che sei adirato?» - «No, signor padrone; che è adirato Lei?» - e gli cominciava, a crescere la fame al prete, ma Marco era ben preparato. Sicchè disse Marco: - «Sa, bisogna, che mi faccia salire un po me, perchè io non posso camminare più.» - Il prete scese, e montò Marco. Marco diede una trotta al cavallo, via. Il povero prete rimase adetro. Si rifece buio a una casa di un contadino. Gli dissero questi contadini: - «Venghino in casa nostra, staranno almeno al coperto.» - Il prete, per fare adirare Marco, disse: - «No, noi si sta dietro il pagliaio;» - e costì si messero tutti e due rincantucciati. Mentre che erano lì zitti zitti, Marco si levò il suo cacio di tasca, una bella forma, e tagliò un pezzo di pane, e si messe a mangiare. (Al buio non vedeva il prete). Il prete, che sentì Marco che masticava: - «Cosa tu fai?» - «Che vole, sor padrone? guardo se mangio un po' di paglia» - «Oh che si ingolla bene?» - «Lo credo, basta masticarla.» - «Eppure mi voglio provare un pochino anche io a mangiarla.» - E il prete si messe a mangiare la paglia. Marco aveva una bella fiaschetta di vino, e si messe a bere. - «Marco cosa tu fai? che bevi?» - «Che vole, signor padrone? mi è rimasta tutta in gola la paglia, mi sputo in bocca.» - «Oh fammi il piacere, sputami un pochino anche a me, che io non ci arrivo a sputarmi in bocca.» - E Marco non intese a sordo, e sputa in bocca al prete. - «Oh non me ne dare più, la mi basta.» - E Marco seguitava sempre a mangiare. - «Oh che tu mangi ancora Marco?» - «Sfido, ho una fame che non la vedo; mi tocca a mangiare ancora un po' di paglia. Oh signor padrone, che è adirato?» - «No, no.» - E costì si fece giorno. Seguitorno a camminare. Camminonno quasi tutta la giornata. Sicchè arrivò il prete da' suoi parenti. Appena che viddero il suo zio prete, si figuri quanti complimenti, che gli fecero, ma gli dispiaceva che le nozze oramai erano belle e state, non aveva fatto a tempo. E costì gli volevano dar da mangiare, tante cose; e lui diceva che non aveva fame, perchè si vergognava. E costì andorno nel canto del foco in conversazione; e a questo ragazzo gli domandorno se aveva fame. E lui disse di sì. E costì ci avevano de' polli avanzati dallo sposalizio, gliene diedero un tegame. Mangiava veramente bene; e stiacciava quegli ossi di pollo. E il prete gli faceva gli occhioni, diceva: - «Dammene un pochino, allungami un ossino.» - E Marco, per fargli dispetto, 'un dava nulla. Insomma i suoi nipoti: - «Zio prete, avete fame?» - E Marco per fargli dispetto: - «Che! Che! ha mangiato, non ha fame.» - Il prete cert'occhiacci gli faceva a Marco. Il prete gli discorre nell'orecchio a Marco, che l'aveva accosto. Dissero i nipoti: - «Cosa l'ha lo zio, cosa l'ha?» - Il prete rispose: - «Niente, niente.» - Allora rispose Marco: - «Sa, si vergogna a dirvelo, gli dole il corpo, vorrebbe andare a letto.» - Si figuri questo prete, dalla rabbia non vedeva lume. E costì per bene, presero un lume e lo portorno a letto, ma assieme ci andava Marco a dormire con il prete. Marco, quando l'ebbe mangiato, volle andare a letto. Appena fu entrato in camera, va dal suo padrone e gli domanda se l'è adirato. Sicchè l'andò a letto Marco con il prete! tutta la notte rivolta rivolta. Rivoltoloni, che aveva fame, 'un ne poteva più. - «Senti, Marco; hai veduto dove hanno riposta quella farinata, che hanno dato a te?» - Che gli avevano dato a Marco polli e farinata. - «Vo a pigliarmela e me la mangio qui nel letto. Ma io ho paura di non ritrovare il letto.» - «Senta, non ha un gomitolo di spago in tasca? Lo deve legare alla gamba del letto, e lo ritrova.» - «Guarda, tu dici bene.» - E costì, questo prete tanto fa, che va in cucina; e trovò la 'nfarinata e la carne; e Marco, mentre che il prete era in cucina, prende il filo, che gli aveva legato alla gamba di il letto, e va a legarlo a il letto degli sposi, che era in una camera lì accosto. Quando ebbe fatto il prete tutto quello, che voleva fare, tornò via di cucina; e via prese il suo filo in mano per ritornare alla camera. E Marco stava attento. Appena fu entrato in questa camera degli sposi, avviò a chiamare Marco. Per l'appunto c'era una scarpa nel mezzo, 'nciampò in questa scarpa, e la 'nfarinata cascò tutta nel viso agli sposi. La Sposa si risvegliò, a urlare: - «C'è i ladri, c'è i ladri!» - Questo prete, nel sentire che era in camera degli sposi, c'era una finestra, diede una capata a questa finestra, e saltò di sotto, e si rompiede il collo. Sicchè tutti andarono a vedere, e veddero che era il suo zio prete. Si figuri come rimasero dispiacenti, e il caro Marco se ne ritornò a casa del prete, e si godiede tutta quella bella roba. Se ne prese moglie, e lì sarà ancora.
Fece le nozze, e un bel confetto;
E a me mi toccò un bel calcio nel petto.
[1] Donatami dal Dott. Giuseppe Pitrè, cui era stata somministrata dall'Avvocato Giovanni Siciliano, che l'aveva raccolta dalla Maria Pierazzoli di Prato-Vecchio nel Casentino. Se la memoria non m'inganna, ce n'è un riscontro negli Ecatonmiti del Giraldi. Ma non ho qui il volume per riscontrare e verificar la cosa.
[2] Chiù, un uccello notturno.