Vittorio Imbriani
La novellaja fiorentina
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VIII. I FIGLIOLI DELLA CAMPAGNOLA

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VIII.

 

I FIGLIOLI DELLA CAMPAGNOLA[1]

 

Un certo Re (che era sempre giovinotto, e non aveva che la su' mamma viva, ma vecchia e superbiosa) andava così a spasso un giorno fuori della città e capitò a una casa di campagna, dove ci stavano tre ragazze. E queste ragazze, tutte da marito, discorrevano in fra di loro, sicchè dalla finestra di terreno, che era spalancata, si sentiva tutto quel che loro dicevano. E la maggiore diceva: - «Se dovessi pigliar marito, io per me lo vorrei fornaio, perchè allora non mi mancherebbe mai il pane, che ora si pena a guadagnarselo, e di molte volte ci tocca a stare senza.» - La mezzana diceva: - «Io poi il marito lo vorrei calzolaio, per non andar più scalza di state, di verno.» - E la più piccina: - «Per me il marito ha da essere il figliolo d'un Re: o quello, o niente! E al primo parto gli farei tre allegrezze di figlioli: un bambino con i capelli d'oro, e due bambine, anche loro con i capelli d'oro, e di più con una stella luccichente in sulla testa.» «Eh! dille grosse, almanco,» - bociarono la maggiore e la mezzana, - «chè tanto, chè tanto, è come bramar l'acqua nel deserto.» - Il Re, chè s'era fermato sotto alla finestra, sentito questo contrasto, gli venne la voglia di conoscere quelle tre ragazze, sicchè dunque picchiò di repente all'uscio. - «Chi è?» - Risponde il Re: - «Degli amici! Apritemi, chè ho bisogno d'un bicchiere d'acqua: ho tanta sete.» - Gli aprirono e lui entrò dentro. E, quand'ebbe bevuto l'acqua, si messe a sedere in una scranna; e cominciò a dimandare a quelle ragazze, chi erano e come campavano, e tant'altre cose. Poi gli disse: - «Prima d'entrare i' ho sentito un po' po' i vostri discorsi: fatemi il piacere, i' vorrei ascoltarli daccapo, per saper meglio la vostra idea circa al pigliar marito.» - La maggiore e la mezzana gli replicarono in che modo gli sarebbe piaciuto il marito, per non mancare di pane e di scarpe: ma la più piccina, da prima si peritava a dar fuori il su' pensiero, fino a che poi anche lei disse, che lo voleva figliolo d'un Re. Dice il Re: - «E se vi toccasse il figliolo d'un Re, gli manterreste proprio la promessa di quelle tre allegrezze?» - «Di sicuro, che farei tutti gli sforzi per tenere la mi' parola.» - «Ebbene!» - dice il Re: - «Sappiate che io sono figliolo di Re e il padrone spotico di questo paese. Dunque la mi' volontà è di sposarvi, perchè mi facciate que' bambini che avete detto. Fra qualche giorno tornerò a pigliarvi e vi menerò al palazzo con meco e sarete Regina.» - E detto fatto se n'andette. Le tre ragazze rimasero sbalordite, e poi le due più grandi cominciarono a dire: - «Chè, è una sbeffatura che quel forestiero ha fatto a te per la tu' mattia! Se fosse davvero il figliolo del Re, bada! ma che ti pare che volesse sposare una povera campagnola?» - Dice la più piccina: - «Guà! sarà così: io però ci ho fede in quel che ha detto quel signore. Non aveva punto la cera d'imbroglione. E poi si vedrà.» - Il Re, arrivato al palazzo, va su dalla su' mamma: - «Sapete, mamma: piglio moglie.» - Dice lei: - «Bene, ci ho gusto, chè almeno tu avrai l'erede al trono. E chi pigli?» - E lui gli raccontò quel che gli era accaduto. La Regina s'imbizzì a sentir quella nuova: - «Oh! che sie' matto? Un Re sposare una tangheraccia campagnola, che non si sa chi sia? E ti sie' lasciato acchiappare da simili promesse impossibili, come un mammalucco. Metti, metti giudizio, che ho paura che tu scherzi.» - «No davvero, mamma, che non ischerzo,» - dice il Re: - «Io ho detto di sposar quella ragazza e la sposerò.» - Insomma, dopo dimolti contrasti, bisognò che la Regina si chetasse, perchè lui volse fare a su' modo. Infatti, passati varii giorni, il Re ordinò un bel corteo, e presa la su' ragazza in carrozza, la menò al palazzo e gli diede l'anello di sposa. Ma la mamma di lui non la poteva patire questa sposa, e a mala pena la guardava, e la trattava come se fosse una serva. Infrattanto un Sovrano, che stava vicino, mosse guerra al Re; sicchè al Re gli convenne radunare i soldati e portarsi a combattere i su' nemici. Prima però di partire, fece di molte raccomandazioni perchè gli tenessero bene la sposa, che era di già gravida vicina a partorire e che gli scrivessero quando aveva partorito; anche volse che gli custodissero la su' cagna da caccia, lei pure gravida nel mese. Dopo, assieme all'esercito, se n'andò a dar battglia a' confini del regno. In quel mentre che il Re si trovava nell'accampamento, alla Regina sposa gli cominciarono i dolori, sicchè la messero nel letto e chiamarono subito due balie per assisterla. E da prima partorì un bel bambino con tutti i capelli d'oro; poi, una dopo l'altra, due bambine co' capelli ugualmente d'oro e di più con una stella luccichente in sul capo. La Regina vecchia quando vedde che la nora la promessa fatta al su' sposo l'aveva mantenuta, crepava dalla rabbia, e tutta invelenita pensò di tirarne vendetta con un brutto tiro: subito corse nel canile dove la cagna del Re aveva partorito tre cagnolini, gli prese in braccio e d'accordo colle du' balie, gli messe nel letto della sposa invece de' su' figlioli, e questi, rivoltati in du' cenciacci gli serrò dentro in una cesta e gli fece buttare nella gora che passava a piè del palazzo: poi rivenne in camera della sposa. Dice la sposa: - «Oh! fatemeli vedere i miei bambini. Dovo sono, che non gli sento?» - E la Regina vecchia, con un visuccio tutto dispettoso: - «Eh! sì, che ve ne potete tenere de' be' figlioli, che avete regalato al Re vostro marito! Non ve gli hanno fatti vedere per non darvi ascherezza. Ma tanto non c'è rimedio, e bisogna che in tutti i modi vo' gli vediate. Belli! mirate che be' canini vi son sortiti di corpo.» - A quella vista la sposa si svenne e gli entrò una gran febbre addosso, sicchè vagellava e non sapeva quel che si dicesse: ma intanto quella vecchiaccia della su' socera aveva scritto al Re che tornasse subito; e lui, fatto una pace all'infuria, veniva via a spron battuto, chè non gli pareva che il cavallo corresse mai abbastanza. A male brighe arrivato e sentite le novelle, s'incattivì a buono, e la su' mamma l'aizzava. Sicchè lui ordinò che venissero de' muratori; e, cavata di letto la moglie, la fece murar viva in cucina vicino all'acquaio con solo una finestrina per dargli tutti i giorni un po' d'acqua e un po' di pane, tanto perchè non morisse; e i servitori dovevano sbeffarla e maladirla in pena della su' mal'azione. Ma torniamo alla cesta co' bambini dentro, buttata nella gora del palazzo. Questa gora finiva in un bottaccio di mulino, e, come si sa, i mugnai ogni tanto s'affacciano per vedere se c'è acqua per far girare le macine. Il mugnaio di quel mulino s'avvedde dunque una mattina che nel bottaccio c'era una cesta a galla che veniva adagio adagio in verso la cascata: lui, lesto, corre e piglia una pertica, e tanto fa che tira a proda la cesta, e quando l'ebbe aperta ci scopre que' tre bambini sempre vivi e che piangevano dalla fame. Pigliò allora la cesta e diviato la portò in casa alla su' moglie, e tutti e due almanaccavano per indovinare chi mai avesse abbandonato a quel modo quelle tre creature. Finalmente disse il mugnaio: - «Senti, moglie: tu ha' sempre del latte e in casa ci sono du' capre. S'alleveranno questi bambini e si tireranno su alla meglio; e quando saranno grandi, ci potranno aiutare assieme[2] cogli altri nostri figlioli. Che te ne pare? Non sarebbe carità a lasciargli morire.» - «Sì, sì,» - dice la moglie, - «facciamo così. Si potrebbe anche ritrovare di chi sono.» - Passò del tempo e i bambini crescevano a vista d'occhio, ma belli, che avevano l'aria di signore dipinta nel viso; ma più che crescevano e la mugnaia gli aveva a noia. Non gli poteva soffrire a paragone de' su' figlioli veri, perchè loro erano bastardi; sicchè gli mandava fuori a guardare i maiali, e alle bambine gli dava della stoppaccia liscosa a filare, e quando tornavano a casa la sera, se i fusi non erano ben pieni, la mugnaia glieli sbatteva in sulle mani da farle piangere; e del pane e del companatico a que' poveri bambini gliene toccava a pena per tenersi in piedi. I bambini, che non sapevano chi fosse il loro babbo vero e la loro mamma vera, ma si credevano figlioli de' mugnai, erano disperati e si struggevano in lacrime sentendosi tanto maltrattati, e delle volte tra di loro si consigliavano come fare; ma il rimedio non c'era verso che lo trovassero, sicchè i giorni gli passavano senza consolazione. Un bel , che s'erano allontanati da casa co' su' maiali più del solito, arrivarono a un rio, e seduta ci stava una vecchina. Dice: - «Bambini! chi siete? che fate? dove andate?» - Dice il bambino: - «Oh! che volete, nonna, siamo de' disgraziati. La mamma ci tratta male, senza sapere il perchè, e si mena una vita disperata a far pascere questi maiali: e quando si torna a casa è miracolo se non se ne tocca.» - Dice la vecchia: - «Lo credo io, poveri bambini! Vo' non siete mica figlioli de' mugnai. E' v'hanno ricolto dentro una cesta nel bottaccio, ora sono parecchi anni.» - «Oh! che ci raccontate?» - sclamarono tutti e tre. - «Il vero, bambini miei. Ma se mi volete ubbidire in tutto e per tutto,» - replicò la vecchina, - «potrei anche rimettervi in fortuna. Anderesti via volentieri lontano da' mugnai?» - «Eccome!» - disse la bambina maggiore: - «Basta che si sapesse come fare. Insegnatecelo voi, e vi si promette che vi s'ubbidirà in tutto e per tutto.» - E la vecchia: - «Statemi dunque a sentire. Io vi darò tre cose; ma badate d'adoperarle proprio nel modo che vi comando. Questa scatolina non la dovete aprire se non quando v'accade di avere un gran dispiacere, ma grande. Custodite bene questo cagnolino, e quel che mangiate, prima d'assaggiarlo, lo darete sempre a lui. Con questa mazzettina poi, picchiandola in terra, potrete ottenere tutto quello che vi garba. Avete inteso? Ora, tornate al mugnaio, rimettete i maiali, e poi zitti zitti e di nascosto partitevi da casa e andate pur lontano alla ventura, dove vi menano le gambe. Addio.» - E la vecchia sparì a un tratto. I bambini si sentirono tutti rinuzzolire alle parole della vecchia e allegri tornarono a casa co' maiali, e quando gli ebbero rimessi nello stalluccio, veduto che nessuno badava a loro, presero la via, come si dice, tra le gambe, e cammina cammina fino a che non arrivarono stracchi per bene in fondo a un bosco folto, che già era calato il sole e cominciava a far buio. Disse allora il bambino: - «Sorelline, non si pole andar più innanzi; dunque è meglio fermarsi qui a pernottare.» - «Ma dove ci s'ha a sdraiare?» - Domandarono quelle. - «Oh! bella: o che non ho con meco la mazza della vecchina?» - disse il bambino. - «Che volete voi? Un bel palazzo?» - «Sì sì, un palazzo e che non ci manchi nulla dentro.» - Lui battè la mazza in terra e subito una voce per l'aria dice: - «Comandi.» - «Comando un palazzo bello in questo luogo,» - rispose il bambino. E detto fatto, eccoti apparire un palazzo tutto splendente, che era una maraviglia. Subito i bambini c'entraron dentro e quando l'ebbero girato, dice la bambina maggiore: - «I' ho fame: ci vorrebbe un bel desinare apparecchiato.» - E il bambino battuta la mazza, la solita voce domandò: - «Comandi.» - E una mensa riccamente imbandita comparve in un battibaleno in mezzo della sala. Sicchè dunque, mangiato a più potere, tutti e tre preso un lume se n'andarono nelle camere, e insaccato il letto dormirono della grossa. A bruzzolo si svegliano, e quando furono levati comparisce la vecchia. - «Bon giorno, bambini! Siete contenti? state bene?» - «Altro, se siam contenti!» - «Bravi via! veggo che m'avete ubbidito, e anch'io son contenta di voialtri. E se m'ubbidirete sempre, sarà bene per voi.» - «Oh! di certo, che vi si vole ubbidire in tutto quello che ci comandate. Diteci che s'ha da fare.» - E la vecchia: - «Or'ora qui nel bosco ci apparirà il Re di questo paese, che va a caccia: e lui vorrà entrare in questo palazzo. Fategli bell'accoglienza e invitatelo a desinare. Avete vo' capito?» - «S'è capito, sì, sì, e si farà come ci avete detto.» - E la vecchia se n'andò via. Passato un po' di tempo, ecco si sentono de' corni di cacciatori. Arriva il Re e vede in fondo al bosco quel bellissimo palazzo dov'erano alloggiati i tre bambini. Dice: - «Oh! che palazzo è questo? Chi se lo pol'aver fabbricato, se non c'era qualche settimana fa, quando venni a caccia per queste parti? Vo' sapere di chi è.» - Subito corre al portone e picchia e gli aprirono i bambini. Lui rimase a vedere quelle tre belle creature tutte bionde, e le bambine colla stella in sulla testa; e però diceva in tra di : - «E' paion quelle creature che m'aveva impromesso la mi' moglie!» - I bambini lo fecero entrar dentro e lo menarono a visitare il palazzo e tutte le ricchezze e maraviglie che c'erano; e lui non rifiniva mai di guardare e rimaneva a bocc'aperta insenza poter parlare: e poi anche non sapeva farsi una ragione, come que' tre bambini fossero soli, perchè non gli era riuscito vedere punti servitori, padroni grandi. Da ultimo il Re stava per licenziarsi; ma i bambini gli dissero che lo gradivano a desinare con loro, e lui, nella speranza di conoscere il babbo e la mamma de' bambini, acconsentì a restarci. Colla mazzetta impertanto il bambino maggiore fece comparire una tavola bell'e apparecchiata, che non ci mancava nulla, e proprio da Re; e all'ora di mangiare i bambini invitarono il Re nella sala e lo fecero mettere a sedere: sicchè desinarono allegramente con di molti discorsi, e i bambini raccontarono al Re che loro non sapevano chi fosse il loro babbo e la loro mamma, e il Re si confondeva a tutti que' racconti. Poi, finito il desinare, il Re se ne volse andare a casa e prima di partire disse: - «Sentite, bambini: m'avete accolto tanto bene e trattato anche meglio, ch'io me ne ricorderò ogni sempre. Anzi, tra quattro giorni io torno a farvi visita e voglio che vo' venghiate a desinare a casa mia. Intendo rendervi la pariglia. E poi vi voglio tanto bene, che tanto non ve ne vorrei se fossi mi' figlioli. Addio.» - La sera, il Re, arrivato al palazzo, disse a su' madre quel che gli era intravvenuto, e che aveva invitato que' tre bambini a desinare, perchè proprio rassomigliavano a quelli che la su' moglie gli aveva promesso. La Regina vecchia si sturbò a quel racconto, ma fece le viste di non essere sospettosa. - «Oh! già, son delle vostre solite! Una volta v'incapricciste d'una campagnuola, e si vedde come andò a finire. Ora pigliate de' contadini bastardi per belle gioie, e ci almanaccate su di fantasia.» - Dice il Re: - «Non almanacco nulla, mamma. Quando gli vedrete que' bambini, conoscerete che ho ragione. E gli ho invitati a desinare, e non mancherò alla mi' parola di Re.» - «Oh! fate voi, che per me non me ne impaccio,» - gli arrispose la madre. Al quarto giorno il Re ritornò a far visita a' bambini. Intanto però bisogna sapere, che nel palazzo c'era riapparsa la vecchia e gli aveva istruiti come dovevano comportarsi. - «Se il Re v'invita a desinare, andate. Ma badate, veh! state all'ubbidienza. Non mangiate nulla insenza prima darne al cane, e non aprite la scatolina che quando vi si dia un gran dispiacere.» - I bambini dissero al Re: - «Noi si viene volentieri, ma a patto che Lei ci permetta di portar con noi questo canino. Senza lui non ci si parte da casa.» - Dice il Re: - «Menatelo pure: a me non mi noia.» - Sicchè tutti assieme uscirono fuori e arrivarono al palazzo del Re. Quando furono dentro, il Re menò i bambini alla presenza di su' madre: - «Guardi, mamma, che belle creature! e come sono ammodo.» - La Regina però gli guardava di traverso: poi a un tratto disse: - «Bambini, all'ora di desinare c'è tempo, e forse voi avete fame dopo una spasseggiata tanto lunga. Venite con meco in dispensa, qualche cosa da mangiare ci sarà.» - I bambini non se lo fecero dire du' volte e a salti andaron dietro alla Regina assieme col canino, che scodinzolava a tutto potere. Quando furono nella dispensa, la Regina prese una focaccia35 dolce e la diede a' bambini perchè la mangiassero; ma loro, prima staccatone un pezzo lo buttarono al canino, che l'ingollò in un battibaleno, e a male brighe che l'ebbe ingollato, cominciò a dimenarsi e a buttarsi a pancia all'aria, e doppo avere sgambettato annaspando co' piedi, rimase morto stecchito colla bava alla bocca. A quello spettacolo i bambini si messero a piangere e a urlare che pareva il finimondo: e urla e piangi, che non c'era verso di farli chetare, corse tutta la corte assieme col Re. Tutto a un tratto la bambina maggiore dice: - «Ecco il momento vero di aprire la scatolina, chè un più gran dispiacere non ci si poteva dare:» - Tira la scatolina di tasca e l'apre, e appena aperta scappa fuori un vago uccellino, che comincia a volare per tutte le stanze del palazzo. Allora sì che i bambini urlavano e piangevano più che mai, perchè quell'uccellino gli era scappato via. Si messero tutti a corrergli dietro, ma era impossibile acchiapparlo; sicchè vola di qui, vola di , non si fermò che in cucina sopra un armadio alto e principiò a cantare:

 

Piulì, piulì, piulì!

La vostra mamma è qui.

 

Il Re a sentir quel canto rimase tutto confuso e ratturbato. Dice: - «Oh! che vuol dire quest'uccellino?» - E in quel mentre l'uccellino volò sulla finestrina dov'era murata la moglie del Re; e daccapo:

 

Piulì, piulì, piulì!

La vostra mamma è qui.

 

Dice il Re: - «Presto! comando che vengano i muratori e cavino da quella buca la mi' moglie.» - I muratori vennero e col martello smurarono quella disgraziata, che era stata tant'anni a quel modo rinchiusa, e non aveva indosso che la pelle e l'ossa, e sulle gambe non ci si reggeva. La presero a braccia e la portarono nel letto, e con de' brodi e delle medicine gli riuscì dargli un po' più di fiato. Allora il Re gli s'accostò e gli disse: - «Dite il vero e non abbiate temenza, chè son qua per difendervi a tutt'uomo; come sono andate le cose?» - Dice lei: - «Maestà! il vero è che questi tre bambini sono quelli che io gli avevo promesso di partorire al primo parto. Lei domandi alle balie che m'assisterono, chi me li portò via dal letto e ci messe invece tre cani. presente c'era anche la Regina su' mamma. Senta Lei.» - Subito furono mandate a chiamare le du' balie, e loro confessarono che la Regina per astio aveva fatto lo scambio, e che gli aveva dato de' quattrini e una pensione a vita perchè stassero zitte. Si cerca la Regina, ma non si poteva trovare in nessun luogo; finalmente un servitore disse che l'aveva vista entrare dentro la carbonaia a nascondersi. Il Re ordinò che ci si mettesse foco, e a quel gran calore e fumo la vecchia dovette scappar fori, se non voleva morire affogata. Fu presa dalle guardie e legata; e il Re, radunato il tribunale de' Giudici, la fece condannare al supplizio, e senza misericordia gli tagliarono la testa. Il Re poi fece un nuovo sposalizio colla su' moglie, con grand'invito, e riconobbe i figlioli. E da quel giorno,

 

Se ne stettero e se la goderono,

E a me nulla mi diedero.

 

 

NOTE

 

[1] Variante delle due fiabe precedenti. Narrata da Ferdinando Giovannini, sarto, del Montale-Pistoiese; e raccolta dall'avv. prof. Gherardo Nerucci.

 

[2] Assieme, insieme.

 

 

 





35 Nell'originale "cofaccia". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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