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XIII.
IL LUCCIO[1].
C'era una volta una donna vedova, che aveva una figliola. Dunque, questa donna la trova da maritarsi con un vedovo, che aveva una figliola anche lui; ma quella di lui era bella; ma tanto bella, che non si pole spiegare! Un giorno Sua Maestà era alla finestra. Vede questa bella ragazza. Dice: - «Bella questa ragazza! quanto mi piace!» - Queste due ragazze, una la tesseva e una la faceva cannelli: i cannelli della seta. Dunque, Sua Maestà entra in casa; picchia e va su. Va e dice: - «Io son venuto da me a rivedere questa tela.» - E tutti i giorni, quando gli era quell'ora, Maestà andava in casa; se la bella gli è a tessere, gli dice: - «Bon dì e bon anno a quella che tesse; e bon giorno a chi fa i cannelli.» - La madre che era tanto astiosa (la fortuna, la voleva darla a sua figliola, avete capito?), la la mette a tessere e la bella a fare i cannelli. Eccoti il Re: - «Bon giorno a quella che tesse; e bon dì e bon anno a quella che fa i cannelli.»[2] - Dunque, la pensa, questa donna: - «Aspetta: la voglio mandare dalle fate per lo staccio; così me la mangeranno.» - Eccoti: - «Domattina» - gli dice - «quando avrete fatto quel che avete a fare, dovrete andare dalle mamme per lo staccio; a dire che facciano il piacere di darvi lo staccio.» - «Sissignora, come la comanda.» - La mattina si leva; la fa quel che l'aveva a fare; e la va via e si mette in cammino. Quando ella ha camminato un pezzo, la trova una vecchina. - «In dove tu vai, poerina?» - «Eh» - dice - «io vo' così e così dalle fate a farmi dare lo staccio.» - «Ah poerina!» - dice - «tu hai da passare de' pericoli, sai? Quando t'hai fatte due altre miglia tu troverai una piazza. Quell'uscio dove c'è quattro finestre, gli è questa la casa. Abbi da sapere che ci sono le scale di vetro: fai adagio, che le non ti si rompino; sali adagino, adagino. Ogni piano tu troverai tutte donne che ti grideranno: Vien quà, poerina! vieni e cercaci, chè si ha tanto pizzicore! E le ti domanderanno quel che tu trovi. Tu troverai, con rispetto, cimici, con rispetto, pidocchi; tutti questi insetti sudici; ma tu devi dire: Perle e diamanti. Quando poi tu sarai su il piano della fata, tu gli dirai: Son venuta per lo staccio. Ma lei, prima di dartelo, ti dirà: Vieni meco, ragazza; vieni con me. La ti condurrà in una stanza, dove sarà piena di cappelli belli e brutti, di vestiti belli e brutti. Là ti domanderà: quale tu vòi? Scegli il più brutto abito e il più brutto cappello. Poi la ti dirà: Sai? quando t'esci fòri dell'uscio, tu sentirai il ciuco che fa: «irrahahn! irrahahn!» Non ti voltare addietro dove tu senti ragliare. Ma quando tu senti fare: «chicchericù!,» vòltati.» - «Grazie, Grazie!» - «Addio!» - «Addio!» - La va via questa donna. E la bambina arriva su questa piazza; e trova l'uscio; e va su; e trova queste donnine. - «Poerina, vien quà! Vieni a cercarci, che s'ha tanto pizzicore.» - Quando la le ha cercate: - «Cosa tu ci trovi?» - «Perle e diamanti» - la dice. - «E perle e diamanti avrai. Addio, sai, poerina, grazie.» - E va via la bambina, e la va su, e picchia. Dice la fata: - Chi è?» - «La m'ha mandato la mamma a prendere lo staccio.» - «Eccoci, eccoci! Poerina, vieni, vieni di quà.» - La conducono in questa stanza dove c'era tutti vestiti: di quà belli e ricamati; di là brutti e stracciati; e i cappelli l'istesso, di quà belli, di là brutti. Gli dicono: - «Quale tu vòi?» - Lei la dice: - «Questo quà» - ma il più brutto, stracciato vestito, e il più brutto cappellaccio. Allora gli dicono: - «No, anzi tu hai da aver questo!» - E gli mettono il più bel vestito, il più bel cappello, perchè trovano che non è superba. - «Oh senti, piccina: tieni, questo è lo staccio. Quando tu esci, fòri dell'uscio, tu sentirai fare: irrhahn! irrhahn! Non ti voltare, sai? Quando tu senti fare: chicchericù!, vòltati allora.» - Eccoti la bambina: - «Grazie, grazie! Addio!» - «Addio.» - La ragazza vien via. Quando l'è all'uscio, sente ragghiare: - «Irrhahn! irrhahn!» - Uhm! la non si volta. Quando la sente fare: - «Chicchericù!» - la si volta e gli viene una stella nel mezzo della testa. Figuratevi che, se era bella, vestita in quella maniera e con quella stella in testa, non si pol dire che bellezza che era codesta! E picchia dalla sua madrigna. La matrigna si affaccia e vede, ahn! quella bella ragazza, e la prende quello staccio: - «Che t'ha ella detto la fata? e che hai tu qui?» - e la gli graffiava la stella. Più che gnene graffiava e più grande la veniva quella stella e più bella: lo credo, eh! Ah, questa donna, disperata dalla rabbia! perchè: - «Il Re» - dice - «ora la piglia davvero!» - Che ti fa? la mattina, dopo che l'ebbero fatto quel che l'avevan da fare, la vi manda la sua delle figliole a portar lo staccio. - «Così» - la penda - «la diverrà bella anche la mia.» - «Sai» - dice - «Domani, quando tu avrai fatto quel che tu hai da fare, ci anderai te a riportare lo staccio.» - «Sì, mamma» - risponde - «ci anderò io.» - Eccoti la mattina, quando l'ha fatto quel che ha da fare, la si veste e la va via con lo staccio. Quando l'ha fatto un pezzo di strada, un pezzetto, la trova una vecchina. - «Ma dove tu vai?» - «Vo' a riportare lo staccio alla fata.» - «Ma ora c'è di molto da camminare ancora.» - «Appunto,» - dice - «questa gita non la farei io.» - «Tu troverai» - dice la vecchina - «una piazza con un palazzetto di quattro finestre: gli è appunto il palazzo della fata. Ma fa adagio, sai? c'è le scale di vetro;» - gli dice l'istesso come all'altra. - «Dopo che tu hai salito, troverai delle donne che ti chiameranno a cercare e ti domanderanno dopo: Icchè tu trovi? Tu hai a dire: «Perle e diamanti.» - «Sì, sì.» - La vecchina gli dice tutto l'istesso come a quell'altra e poi: - «Addio!» - «Addio!» - La ragazza la va via, arriva a questa casa e sale. E principia, bruntuntun, bruntuntun, a salire; e spezza tutte le scale, le rompe. Salite le scale, la trova un uscio: - «Vien qua, poerina, vieni a cercarci.« - «Sì, pare che sia venuta a cercarvi! Cercatevi voi; io non vi vo' cercare!» - Ma poi la si mette a cercarle. Dicono: - «Cosa trovi?» - La risponde lei, con rispetto: - «Cimici e pidocchi.» - la gli dice. - «E cimici e pidocchi avrai» - gli rispondono. La va su, proprio dalla fata, picchia. - «Chi è?» - «Se m'ha mandato la mamma a riportar lo staccio!» - «Brava! passa passa, vieni bambina.» - E la conduce nella stanza di questi vestiti, di questi cappelli. - «Quale tu voi di questi?» - dice la fata - «Guardali bene.» - Lei la va e sceglie il più bel vestito ed il più bel cappello. - «No» - dice la fata - vieni. Anzi tu devi aver questo.» - Gli mettono un vestito tutto stracciato e un bertuccio in capo. - «Senti: quando tu sortirai dell'uscio, tu sentirai il gallo che canta; non ti voltare. Ma quando tu senti fare: ihahn! ihahn! allora vòltati. Addio.» - «Addio!» - E la vien via. Quando l'è all'uscio, sente fare: - «Cucchericù!» - e lei non si volta, cheh! Quando sente fare: - «Ihahn! ihahn!» - si volta e gli vien la coda dell'asino in mezzo la fronte. Gli era brutta, mah! non gli era guardabile! gli era impossibile esser più brutta.[3] E vien via e viene a casa da su' madre e picchia. Sua madre la s'affaccia e vede questo spettacolo della figliola con un pezzo di coda, figuratevi! in mezzo della testa. Più che gnene strappava e gnene tagliava e più lunga che la veniva. Ah! tutt'arrabbiata, la teneva la bella proprio per servaccia, la mandava al mercato, al bucato, l'affaticava, la strapazzava, per vedere se gli moriva. Un giorno la va al mercato e compra de' lucci. In mentre che la li ammazza, un di quei lucci gli dice: - «Non mi ammazzare! Buttami nella vaschettina» - dice. Questa ragazza la prende il luccio come gli dice, va nell'orticino e lo butta nella vaschettina.[4] Tutti i giorni Sua Maestà vedendo questa gran bella ragazza, Sua Maestà tutti i giorni torna a far visita, a vedere la tela e tutto quello che c'era da vedere. - «Oh sentite» - la dice un giorno alla madrigna - «o che vogliate o che non vogliate, vostra figlia io la voglio per isposa.» - Questa donna la s'ebbe da accordare, gua'. Come fareste a dir di no ad un Re quand'egli vole? - «Oh sentite, io» - dice il Re - «appena che io ho dato l'anello, io parto subito per fare un viaggio di molti mesi.» - Lei la gli dice: - «Bisognerà pensarci a questo viaggio» - dice la madre: - «perchè è così delicata, bisognerà ordinare tutta una carrozza di ferro; perchè in via, dell'aria, in questo viaggio, non gli faccia male, via.» - Eccoti subito, ordinata la carrozza: figuratevi, ordinata e fatta, la fu tutt'una. Bella e finita che la fu la carrozza, eccoti il giorno dopo che ci fu lo sposalizio: uno scialo! Dopo che gli è corso l'anello, vanno al palazzo per i rinfreschi, sapete, dopo lo sposalizio, cose grandi! Eccoti lei la si ricorda del luccino: la sa che l'ha a partire e la si ricorda del luccino. Va nell'orticino e la lo chiama: - «Luccino!» - e lui viene. - «Io vo' via, sai?» - «Lo so, lo so. Levami di qui e mettimi nel lago.» - Eccoti lei lo chiappa, esce fuori della porta e lo butta via, in dove gli aveva detto - «Addio!» - Addio! noi ci rivedremo» - gli dice il luccino. - «Bada, tu sarai tradita.» - E lei la ritorna di quà dallo sposo. La vecchia la va e prende la sua figliola, la brutta, e la nasconde da un tino; e la dice alla bella: - «Sapete, quando noi si sarà da un pezzo di strada, dovete dire: I' ho voglia d'orinare; così mi fate piacere.» - Vengon via dal palazzo. Dice la Regina: - «Avrei voglia di fare qualcosa.» - Il Re dà ordine, fa fermare la carrozza. La madrigna la smonta anch'ella e la mena la bella là da il tino. La gli leva gli occhi, l'alza questo tino e la mette dentro; e gli aveva dato in mano gli occhi, dicendo: - «Tieni, metteli in tasca.» - Piglia la brutta ch'era di sotto il tino e l'alza in carrozza. Appena entrata in carrozza, principiano tutti i gatti, dietro la carrozza: - «Gnau, gnaulino! La bella è sotto il tino, la brutta va in carrozza e il diavolo se la porta.» - Allora il Re principia: - «Andate a vedere con questi gatti, cosa c'è sotto il tino.» - E lei non voleva, la madre, la non voleva. Vanno a vedere a il tino, l'alzano e trovano questa bella donna, ma l'aveva levati gli occhi. La gli dice, ai servitori: - «Accompagnatemi a il fiume, fatemi il piacere, accompagnatemi a il fiume, me li voglio lavare questi occhi.» - Quando è per entrare nel fiume, eccoti il Luccio e gli dice: - «Bàgnati così con quest'acqua e poi mettiti l'occhio; e così da quell'altra parte: e vedi che gli occhi ti tornano tutti e due.» - Eccoti lei la si bagna come gli han detto e gli si riattaccan gli occhi come eran prima. Dice il luccio: - «Quand'ora tu torni addietro, fai levare quelle due scimmie di tua madre e di tua sorella, e per ordine mio falle mettere dentro a questo tino che nessuno gli dia aiuto. Poi torna a prender me e poi quando tu siei a casa, buttami nella tua vasca del giardino.» - Eccoti la va via, la va alla carrozza. La madre gli aveva ficcato la brutta in carrozza. Il Re vede apparire in vece dei servitori soli, la sua sposa anch'essa, e si vede una sposa in carrozza e una in istrada; due non ne poteva avere! Allora la gli dice, lei: - -«Prima d'entrare in carrozza io voglio una grazia da voi, Maestà; che prima di entrare io in carrozza, sian prese queste due maligne donne e sian poste sotto il tino dove stava io: altrimenti, non vi conosco più.» - Eccoti subito levate queste due donne e messe dentro a questo tino, serrate a lucchetto, che nessuno ci potesse andare a dargli ajuto. Lei torna addietro, la prende il suo luccino, entra in carrozza, e via. Ora lo tiene addosso, quando l'è a casa lo butta nella vasca. Dice Maestà: - «Briccona! maraviglia che la volse la carrozza tutta di ferro! Mi voleva ficcar la figliola! Se faceva una carrozza tutta di cristallo, si vedeva! Traditora, ora comprendo quanto era maligna.» - Arrivarono al suo posto di Sua Maestà. Figuratevi! - «Evviva gli sposi! evviva gli sposi!» - chi di qua, chi di là; feste da tutte le parti. La prese il suo luccino e lo buttò nella sua vasca e tutti i giorni l'andava a discorrer con lui. - «Vedi se fu bene che tu non m'ammazzassi?» - gli dice il luccino. - «Se non era io, tu eri morta chi sa da quanto!» - Eh di certo, gua'; perchè pare che questi gattini fossero per effetto del luccino. Il luccino poi, dopo degli anni, venne a morte; e lei, la gli fece una campana tutta di cristallo e contornata di pietre preziose e la teneva nel salotto bono. E così è finita. Stretta la foglia e larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.
[1] Pentamerone, Giorn. III, Trattenimento X: Le tre fate: - «Cecella, maletrattata da la matreja, è regalata da tre fate. Chella 'mmediosa nce manna la figlia che ne riceve scuorno. Pe' la quale cosa mannata la figliastra a guardare puorce, sse ne 'nnamora 'no gran signore; ma pe' malizia della matreja, l'è dato 'ncagno la figlia brutta, e lassa la figliastra dint'a 'na votte pe' la scaudare. Lo segnore scopre lo trademiento: nce mette la figlia. Vene la matreja, la sporpa co' l'acqua cauda e scopierto l'arrore, ss'accide.» - La nostra fiaba ha inoltre molti punti di somiglianza con la terza favola della terza notte dello Straparola: - «Biancabella, figliuola di Lamberico, marchese di Monferrato, viene mandata dalla matrigna di Ferrandino Re di Napoli ad uccidere. Ma gli servi le troncano le mani, e le cavano gli occhi; e per una biscia viene reintegrata e a Ferrantino ritorna.» - Cf. De Gubernatis, Le Novelline di Santo Stefano da Calcinaja; I. La bella e la brutta. Cf. Pitrè (Op. cit.) La figghia di Biancuciuri, Ciciruni, Burdilluni, Li dui soru (Lezioni tutte, nelle quali questa fiaba è più o men confusa con l'altra di cui diamo una versione fiorentina nella presente raccolta sotto il titolo d'Oraggio e Bianchinetta) soprattutto LXIII. La Mammadraa. Vedi anche la fiaba della presente raccolta, intitolata: La bella Caterina ossia Novella de' Gatti. Ecco una lezione milanese del Racconto.
Ona volta gh'era ona mamma e la gh'aveva dò tosanett: vunna l'era cattiva e l'altra l'era bonna comè. Ma la mader, la ghe voreva pussèe ben a la cattiva, che a la bonna. Ven, che on dì la ghe dis a quella cattiva: - «Và a cavà on sidellin62 de acqua.» - Quella cattiva, la ghe vœur minga andà, la desobediss63 a la soa mamma; e quella bonna, la dis: - «Sa! che andaroo mi, andaroo mi a cavalla.» - La va a cavà l'acqua, ghe borla giò64 el sidellin in del pozz. Lee, la dis: - «Adess vòo a cà senza el sidellin, chi sa la mia mader cosa la me fa!» - La và giò in del pozz, e la trœuva come ona stretta65 che gh'era di uss; e la picca a on uss: - «Minga trovàa pess e pessin66, corda e sidellin?» - Là gh'era on sant; el dis: - «No, la mia tosa.» - La va innanz e la trœuva on alter uss: - «Minga trovàa pess e pessin, corda e sidellin?» - «No!» - Quell là l'era el ciappin67, le rispond rabbiàa, perchè l'era ona bonna tosa; el ghe dis minga: - «La mia tosa.» - Lee, la picca in d'on alter uss: - «L'ha minga trovàa pess e pessin, corda e sidellin?» - Gh'era la Madonna e la ghe dis: - «Sì, la mia tosa. Sent, te podarisset famm piasèe a fermatt chì intrettant che mi voo via. Mi gh'hoo chi el me fiolin, che te ghe darèe la suppa68; te scovaret, te faret tutt i robb de cà. E mi vegnaròo a cà, te daròo el to sidellin.» - La Madonna, la va via, e lee, la se mett adrèe a fà tutt i robb de cà, la ghe dà la suppa al fiolin, la scova; e in del scovà, invece de trovà rud69, la trovava di coraj, di robb bellissem, insomma robba finna. Lee, la vedeva che l'è minga ruff, e l'ha mess là da ona part, per quand vegneva la Madonna per daghel. La ven a cà e la ghe dis: - «T'hê fàa tutt quell che t'hoo ditt?» - E lee, la dis: - «Sì, ma che la guarda sta robba chì, l'hoo trovàda per terra, l'è minga rud.» - «Ben, tegnela per tì. Te vœut el vestìi de percall o on vestìi de seda?» - E lee le dis: - «No, no, on vestìi de percall.» - E la Madonna invece la ghe da quell de seda. - «Te vœut on didàa de lotton70 o on didàa d'argent?» - «Me le daga de lotton.» - «No, tel dòo d'argent. Tœu, quest chì l'è el sidellin e la toa corda. Quand te set in fin de sto coridor71 chì, guarda per aria.» - Lee, la guarda per aria e ghe ven giò ona bella stella in front. La và a cà; e la soa mamma, la ghe cor a la contra per criagh, perchè l'è stada via on pezz; e la fa per dagh di bott, e la ved che la gh'ha ona stella in front, che la lusiva che l'era ona bellezza; e la ghe dis: - «In dove te see stada fin adess? chi l'è che t'ha miss quella robba lì?» - Lee, la dis: - «Mi sòo minga cosse l'è che gh'hoo.» - La mader, la fa per lavaghela via: invece d'andà via, la ven pusèe bella. La ghe cunta cosse l'è che gh'era success. Allora, l'altra sorella, la vœur andà anca lee. La va via e la fa l'istess, come l'ha fàa soa sorella. L'ha lassàa anda giò el sidellin. La va giò, la picca a l'uss anca lee del sant: - «L'ha minga trovàa pess e pessin, corda e sidellin?» - «No, la mia tosa.» - La va in de l'alter uss; la picca: - «L'ha minga trovàa pess e pessin, corda e sidellin?» - El ciappin: - «No; l'hoo minga trovà; ma ven chì la mia tosetta, ven chì.» - Ma lee, la sent che l'ha minga trovaa el so sidellin e la ghe dis: - «No, no, vòo innanz.» - La picca a l'uss de la Madonna: - «L'ha minga trovàa pess e pessin, corda e sidellin?» - La Madonna, la ghe dis de sì: - «Guarda che mi voo via; te ghe darèe la suppa al mè fiœu e pœu te scovaret. Quand tornaroo a cà, te daròo el to sidellin.» - La suppa, invece de daghela al fiœu, l'ha mangiàda lee. - «Oh!» - la dis - «come l'era bonna!» - La scova e la trœva tanto rud. - «Oh povera mi! Ma la mia sorella, l'ha trovàa tanti bej robb!» - Ven a cà la Madonna: - «T'hè fàa quel che t'hoo dìtt?» - «Sì.» - «Te vœut el didàa de lotton o quell d'argent?» - -«Oh! el vuj d'argent!» - Lee, ghe dà quell de lotton. - «Te vœut el vestìi de percall o quell de seda? - «Che me le daga de seda.» - E lee, la gh'ha dàa quell de percall. - «Tœu, quest chi l'è el to sidellin e la toa corda. Quand te sèe fœura de chi, guarda per aria.» - Quand l'è stada fœura, la guarda per aria, ghe ven propi sul front ona boascia, che ghe sporca tutta la faccia e ven giò tutta la brœuda72. La va a cà tutta rabbiada a piang, a tœulla cont la so sorella perchè lee la gh'aveva la stella e lee invece la gh'aveva quella porcaria lì sulla faccia. La soa mamma, la s'è missa adrèe a lavagh la faccia, a fregà via; e la maggia l'ha minga voruu andà via; sta boascia l'andava minga via. E allora, la mader, la dis: - «Capissi, che la Madonna l'ha fàa per famm vedè, che mi ami quella cattiva e trascuri quella bonna.» -
[2] Tratto frequente nelle fiabe. Una pomiglianese comincia così: - «Nce stevano 'na vota tre figliuole e l'urtima 'e cheste ssi chiammava Viola. Tutt'e tre faticavane; ma 'a primma filava, 'a siconda tesseva e 'a terza cuseva. 'O figlio d''o Re ssi n'ammuravo; e sempe ca passava riceva: - Quanto è bella chella cu fila; quanto è cchiu bella chella cu tesse; ma quanto è cchiu bella chella cu cose! Mme cose 'sto core! Ebbiva Viola! Ebbiva Viola! 'E sore n'avevane 'mmiria e pi' dispietto 'a mittettere a filà'. Passava 'o figlio d'o Re e ricette: Quanto è bella chella cu tesse, quanto è cchiu bella chella cu cose; ma quanto è cchiù bella chella cu fila! Mme fila 'sto core! Ebbiva Viola! Ebbiva Viola! 'E sore 'a mittettere a tessere; ma 'o figlio d''o Re pure accussì diceva e sempe cu' Viola aveva.» - ]
[3] A proposito di questi due segnali diversi, piovuti dal cielo, trascriverò qui un brano della scena III dell'Atto II degli Amorosi Affanni, tragicomedia pastorale d'Andreano de' Ruggieri d'Atripalda (MDCXLIV).
TRISINDO. Nacque l'empia Girasca
Figlia d'Erpauro, che di notte Ilgiglio
E seco Arcaldo mi furò, malvagia,
Per farne un sacrificio al Re de l'ombre.
SILVIA. Et onde nacque in lei tanto aspra voglia?
TRISINDO. Perchè Girasca avea nel sen d'un rospo,
E di Cleante i figli avean nel petto
Il segno d'una stella. E sul Matese
Dargli morte volea con un suo dardo;
Per quel che poi mi raccontò Sirenio, - ecc. ecc.
[4] Di pesci riconoscenti ce ne ha in parecchie fiabe e novellette. Ricorderò lo Straparola, Notte III. Favola L (Cf. Pentamerone, Giornata I. Trattenimento III Peruonto) - «Pietro Pazzo, per virtù d'un pesce chiamato tonno, da lui preso e da morte campato, diviene savio, e piglia Luciana figliuola di Luciano in moglie...» - Ecco come il novellator da Caravaggio narra il primo dialogo fra 'l pazzo ed il tonno: - «Il poverello un giorno prese un grande e grosso pesce da noi tonno per nome chiamato. Di che egli ne sentì tanta allegrezza, che 'l se n'andava saltellando e gridando per lo lito: Cenerò pur con la mia madre! et andava tai parole più volte replicando. Vedendosi il tonno preso e non poter fuggire, disse a Pietro Pazzo: Deh, fratello mio, pregoti in cortesia, che tu mi doni la vita. Come mangiato mi avrai, quale altro benefizio da me conseguir potrai? ma se tu da morte mi camperai, forse che un giorno io ti potrei giovare. Ma il buon Pietro, che aveva più bisogna di mangiare che di parole, voleva pure al tutto ponerselo in ispalla e portarselo a casa per goderselo allegramente con la madre. Il tonno non cessava tuttavia di caldamente pregarlo offrendogli di dargli tanto pesce quanto egli desiderava avere. Et appresso questo gli promise di concedergli ciò ch'egli addimanderebbe. Pietro che, quantunque pazzo fusse, non aveva di diamante il cuore, mosso a pietà, si contentò da morte liberarlo. E tanto e con i piedi e con le braccia lo spinse che lo gettò nel mare; ecc., ecc.» - Confronta anche con l'altra Fiaba della presente raccolta: Il Mago dalle sette teste.]
Ma pe' mmo' non faje fede, ca staje chino
Comm'uovo e te grelleja 'ncuollo chiappino.
- «Non piaci o non sei accetto al signore Iddio, perchè stai pieno come uovo e ti salta addosso il demonio.» -
Trovò che allora appunto avea disfatta
La trecciatura del bel crine aurato,
E con l'avorio de la mano intatta
Pur d'avorio movea rastro dentato.
Piovon perle dall'oro, e, mentre il tratta.
Semina di ricchezze il verde prato.
Mentre i biondi capei pettina e terge
Tutto di gemme il suol vicino asperge.