Vittorio Imbriani
La novellaja fiorentina
Lettura del testo

XVI. LA PREZZEMOLINA.

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XVI.

 

LA PREZZEMOLINA.[1]

 

C'era una volta marito e moglie. E la sua finestra, di questo marito e moglie, rimaneva sull'orto delle fate. Questa donna era incinta. Un bel giorno s'affaccia alla finestra, e vede un prato di prezzemolo, il più bello! Lei sta attenta che le fate le vadan via, prende la scala di seta e si cala e si mette a mangiare il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, poi la risale la scala, serra la sua finestra e via! Ogni giorno faceva questa storia. Un giorno le fate passeggiavano in giardino: - «E dimmi» - dice la più bella - «non ti pare che manchi del prezzemolo?» - Dicono le altre: - «E forse poco ne manca! Sai quel che si farà? Si figurerà di andare fòri tutte; e una si rimarrà niscosta; perchè qui c'è qualcheduno che viene a mangiare.» - Le fate le figurano di andar via tutte e la donna si cala a mangiare. Quando l'è per ritornare in su, la fata gli sorte di dietro: - «Oh briccona» - dice - «ora ti ho scoperta, eh?[2]» - «Abbiate pazienza» - dice questa donna - «io sono gravida; avevo questa voglia....» - «Ebbene» - dice la fata - «Ti sia perdonato. Senti, se tu fai un bambino, tu gli hai a mettere nome Prezzemolino; se tu hai una bambina, Prezzemolina; e, come è grande, la si vol noi: è per noi, via, non è più tua.» - Figuratevi questa donna! un dirotto pianto, dicendo: - «Malandrina la mia gola, la mi è costata assai!» - Dal marito era sempre rimproverata: - «Golaccia! l'hai visto?» - La partorisce la bambina e gli mette nome Prezzemolina; e quando l'è grandettina, la la manda a scuola. Le fate, tutti i giorni che la passava, gli dicevano: - «Bambina, alla mamma, che la si ricordi di quella roba.» - «Mamma» - dice la Prezzemolina - «hanno detto le fate che vo' vi ricordiate di quella cosa.» - Un giorno la donna era sopraffatta; torna la bambina e gli dice: - «Vi dicono le fate che vi ricordiate quella cosa.» - Risponde: - «Sì, che se la piglino.» - La bambina la va a scola. Dicono le fate: - «Cosa ti disse la mamma ieri sera? - «Mi disse che la possin prendere, che la prendino quella roba.» - «Oh vieni, sei te quella roba che si deve prendere.» - Urli senza fine, questa bambina: lo credo io! Lasciamo questa bambina e torniamo alla madre, che passan ore e non la vede tornare. La si ricorda d'aver detto che la prendino quella roba: - «Oh, mi son tradita! Ora addietro non si torna.» - Dunque queste fate le dicono alla bambina: - «Sai, Prezzemolina, la vedi questa stanza nera nera?» - le ci tenevano il carbone, la brace. - «Come si torna, la deve essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti noi ti si mangia.» - Come volete che la facesse questa bambina? Le vanno via e la bambina si mette a piangere, piangi ch'io piango, singhiozzando; non si poteva chetare. Dunque l'è picchiato: lei va a vedere e crede che le sian le fate; apre e vede Memè, che gli era un cugino delle fate.[3] - «Che hai tu, Prezzemolina, che tu piangi?» - «Vo' piangereste anche voi» - dice. - «Vedete questa stanza? Quando le torna, le torna le mamme, di nera così dev'esser bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti le mi mangiano.» - «Se tu mi dài un bacio» - dice Memè, - «te la fo nel momento questa stanza.» - Lei dice: - «Piuttosto dalle fate esser mangiata, che da un omo esser baciata.» - Dice Memè: - «Tu hai detto tanto benino! ti voglio far la grazia.» - Batte la bacchettina e divien la stanza tutta bianca, tutta uccelli, come avevan detto le mamme. Dunque Memè va via e torna le fate. Dice: - «L'hai fatto, Prezzemolina?» - «Sissignora, vengano a vedere.» - Le si guardano in viso: - «Eh, Prezzemolina, c'è stato Memè!» - «Non conosco Memè, la mia bella mamma che mi .» - Dunque la mattina: - «Come si fa?» - dicono - «non ci riesce di mangiarla.» - «Prezzemolina!» - «Cosa comandano?» - E allora gli dicono: - «Domani mattina devi andare dalla fata Morgana e devi dire la ti dia la scatola del Bel-Giullare.» - «Sissignore» - la dice. Eccoti la mattina la si mette in viaggio, la ragazza. E viaggia. Cammina, cammina, la trova una donna. - «E dove vai» - la dice - «bella bambina?» - «Vado dalla fata Morgana a prendere la scatola del Bel-Giullare.» - La ti mangerà, sai, poerina?» - «Meglio per me» - dice - «così la sarà finita.» - «Tieni» - dice la donna - «queste due pentole di lardo. Tu troverai due porte che si battono insieme. Ungile tutte, e tu vedrai che ti lascian passare.» - Eccoti la bambina la giunge a queste porte e le unge tutte da capo a piede e loro la lascian passare, gua'. Dopo che l'ha camminato un pezzo, la trova un'altra donnina. E la gli dice lo stesso: - «Dove tu vai, bambina?» - Dice: - «Vado dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.» - «Poerina, la ti mangerà, sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Tieni questi due pani, tu troverai due cani che si mordono l'un con l'altro. Buttagnene uno per uno: così tu passi,» - dice. Eccoti la Prezzemolina la trova questi due cani; la gnene butta uno per uno, e loro la lascian passare. Quando l'ha fatto un altro pezzo di strada, la trova un'altra donnina. Gli dice: - «Dove vai?» - «Dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.» - «Poerina, la ti mangerà, sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Tu troverai un ciabattino che si strappa la barba per cucire e i capelli. Tieni, questo è spago per cucire, questa è lesina: tutto il necessario. Dagnene e lui ti lascerà passare.» - Eccoti la bambina la trovava questo ciabattino. Quando la gli tutta questa roba, lui la ringrazia e la lascia passare. Fatto un altro pezzo di strada, la trova l'istessa donnina e gli dice l'istesso: - «Bada, la ti mangerà sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Troverai una fornaja che spazza il forno con le mani: la si brucia tutta. Tieni: questi son cenci, queste sono spazzole; tutto il necessario. Tu vedrai, la ti lascia passare. Dopo poco tu troverai una piazza: quel bel palazzo che c'è, gli è codesto la fata Morgana. Tu picchi, e la scatola del Bel-Giullare, gli è dopo che tu hai salito due scale. Lei, quando tu picchi, la ti dirà: Aspetta bambina; aspetta un poco. Te, tu sali, prendi la scatola e vien via.» - Eccoti la bambina la trova questa fornaja. Quando la gli tutta questa roba, lei la ringrazia e la lascia passare. La picchia, la sale, la prende la scatola e la scappa via. La fata che sente serrar l'uscio, la s'affaccia alla finestra e vede la bambina che scappa via. - «O fornaja, che spazzate il forno con le mani, tenetemela, tenetemela.» - «Se fossi minchiona! Dopo tanti anni, che fatico, la mi ha dato i cenci e la spazzola! Passa, poerina, vai, vai!» - «O ciabattino, che cucite con la barba e vi strappate i capelli, tenetemela, tenetemela!» - «O io sì, che sarò un minchione! Dopo tant'anni, ch'io fatico, la mi ha portato tutto il necessario. Vai, vai, poerina.» - «O cani che vi mordete tanto, tenetemela, tenetemela!» - «O noi sì, che saremo minchioni! La ci ha dato un pane per uno! Vai, vai, poerina!» - «O porte, che vi battete tanto, tenetemela, tenetemela!» - «Oh noi sì, che saremo minchione! La ci ha unte da capo a piedi! Vai, vai poerina.» - E la fanno passare.[4] Quando l'è libera, la dice: - «Che ci sarà egli in questa scatola?» - La trova una piazza, la si mette a sedere e apre la scatola. Esce fori persone, persone, persone, persone: gli escono da questa scatola; che cantavano, che sonavano, tutte. Figuratevi la disperazione di questa bambina. Lei le voleva rimettere in questa scatola: ne prendeva una e ne scappava dieci. La si mette a piangere, potete credere! Eccoti Memè. - «Briccona, l'hai visto quel che t'hai fatto?» - «Oh! voleva vedere...» - «Eh» - dice Memè, - «ora non c'è rimedio. Se tu mi dài un bacio, io ti rimedio.» - «Meglio dalle fate esser mangiata, che da un omo esser baciata.» - «Sai? tu l'hai detto tanto benino, che ti vo' far la grazia.» - Batte la bacchettina e ritorna tutta la scatola come prima: serrata come l'era. La Prezzemolina va a casa e picchia. - «Oh dio!» - dice - «È la Prezzemolina. Come mai non l'ha mangiata, la fata Morgana?» - Dice: - «Felice giorno» - la dice la bambina - «Ecco la scatola.» - Dicono le mamme: - «Che t'ha ella detto la fata Morgana?» - «La me l'ha data e m'ha detto: Fagli tanti saluti.» - «Eh» - dicono le fate - «abbiamo bell'e inteso! bisognerà mangiarla noi. Stasera, come viene Memè, gli si dice che la si deve mangiare.» - Eccoti la sera vien Memè: - «Sai?» - gli dicono - «la non l'ha mangiata, la Prezzemolina; la s'ha da mangiar noi.» - «Oh bene!» - dice lui - «oh bene!» - «Domani, quando l'ha fatte le sue faccende, gli si fa mettere al foco le caldaje, quelle grandi che si fa il bucato. E quando le bollan bene, in tutte e quattro la si butta dentro a cocere.» - Lui dice: - «Bene, bene, sì, sì; riman fissato così.» - Eccoti la mattina le vanno via loro e non dicon nulla; le vanno via come eran solite. Quando le sono ite, ite via, eccoti Memè dalla Prezzemolina: - «Sai» - dice - «oggi, a un'ora, le ti ordineranno di mettere al foco le caldaje, quelle grandi del bucato. E, quando le bollan bene, le ti diranno, chiamaci; le ti dicono: diccelo. E le ti buttan te a cocere dentro. E invece noi s'ha a guardare se ci si butta loro.» - Eccoti Memè va via e dopo poco tornan le fate: - «Sai» - dice - «Prezzemolina, quando s'è pranzato oggi, che t'hai fatte tutte le faccende, metti le caldaje, quelle del bucato, che si fa il bucato; e quando le bollan bene, chiamaci.» - Quando l'ha finite tutte le sue faccende, la mette tutte queste caldaje. Le dicono: - «Fa gran foco.» - La fa foco, figuratevi, anche di più di quel che gli avevan detto. Picchia Memè: - «Oh!» - dice - «ora ora la s'ha a mangiare!» - e si fregava le mani. - «Oh» - dicono - «altro!» - Eccoti l'acqua quando la bolle, Prezzemolina la dice: - «Mamme, le venghino a vedere; l'acqua la bolle.» - Le fate le vanno a vedere alla caldaja se la bolle. Dice: - «Coraggio!» - alla Prezzemolina; gli dice Memè. Lui ne acchiappa due e le mette dentro; lei prende quell'altre e le butta; e bolli, bolli, bolli, finchè non fu staccato il collo non le levorno: sempre a bollire! - «Ora poi siamo padroni di tutto, la me' bambina. Vieni con me.» - La conduce giù in cantina, dove c'era una infinità di lumi e c'era quello della fata Morgana, grosso, grande; quello gli era il più grosso di tutti. La maggiore delle fate! La sua anima, gli era un lume. Spenti che gli erano, le eran morte tutte, ecco! - «Spengi di costì e io spengo di questa parte.» - Così li spensero tutti e rimasero padroni di ogni cosa.[5] Andiedero lassù nel posto della fata Morgana. Il ciabattino ne fecero un signore; la fornaja parimente; i cani li portarono nel suo palazzo; e le porte le lasciarono stare e le facevano ungere. - «Te» - dice Memè - «sarai la mia sposa; questo è giusto.» - E si vissero e si godettero e in pace sempre stettero e a me nulla mi dettero.

 

 

NOTE

 

[1] Argomento stesso, in principio, nel Pentamerone, Trattenemiento primmo de la jornata seconna: - «'Na femmena prena sse magna li petrosine dell'uorto de 'n'Orca; e, conta 'nfallo, le promette la razza che aveva da fare. Figlia Petrosinella. L'Orca sse la piglia e la 'nchiude a 'na torre. 'No Prencipe ne la fuje, e 'nvirtù de trè gliantre gavitano lo pericolo dell'Orca; e portata a casa de lo 'nnammorato deventa Prencepessa.» - Ma il prosieguo ed il fine s'avvicinano piuttosto a lo Turzo d'oro (Tratt. IV Giorn. V) - Cf. Bernoni (Fiabe popolari Veneziane) XII. La Parzemolina. Pitrè (Op. cit) XX. La vecchia di l'Ortu. Gonzenbach (Op. cit.) LIII. Von der schönen Angiola.

 

[2] Cf. per questo particolare, Pitrè, (Op. cit.) XIX. Lu Scavre, XX. La vecchia di l'Ortu. Qui le fate, in altre versioni l'Orca o l'Orco, non fanno, minacciando di mangiarsi vivo vivo il furatore de' loro cavoli o del loro prezzemolo, la distinzione consigliata da Orazio satiro, il quale forse (chi sa?) alludeva a qualche fiaba analoga nello scrivere:

 

Nec vincit ratio hoc, tantundem peccet idemque

Qui teneros caules alieni fregerit horti,

Et qui nocturnus divum sacra legerit.

 

Versi che trovo tradotti così in meneghino:

 

Donca convegnarii, che ona personna

La qual la ve robbass in del giardin

Quatter mognagh o on pizzegh d'erba-bonna,

L'è minga de confond con l'assassin;

E che a grattav on sold in su la spesa

L'è men del sacrilegg de robbà in gesa.

 

Vedi: Amicizia e Tolleranza | Satira | di Quinto Orazio Flacco | Esposta in dialetto Milanese | dal Dottore | Giovanni Rajberti | Et mihi dulces | Ignoscent, si quid peccavero stultus, amici | Milano | Dalla Tipografia di Giuseppe Bernardoni di Gio. | 1841.

 

[3] Forse il Demogorgone del quale il Berni, Orlando Innamorato, XLII, 29-30:

 

Sopra le fate è quel Demogorgone

(Non so se mai l'udiste nominare)

E giudica fra loro, e tien ragione,

E ciò che piace a lui può d'esse fare.

La notte scura cavalca un montone:

Travalca le montagne e passa 'l mare:

Con un flagel di serpi fatto, batte

Le fate e streghe che diventan gatte.

 

Se la mattina le trova pel mondo

(Perchè il giorno non posson comparire),

Le batte con un certo cotal tondo,

Che le vorrebbon volentier morire.

Or nel mar le incatena, e ben nel fondo;

Or sopra 'l vento scalze le fa ire;

Ed or pel foco dietro a le mena:

A chi questa, a chi quell'altra pena.

 

Vedi Stigliani, Occhiale, alla Stanza CCXXXII del XII Canto dell'Adone; e quel che Messer Fagiano risponde in proposito.

 

[4] Cf. De Gubernatis, Le Novelline di Santo Stefano di Calcinaja. II. La comprata.

 

[5] Cf. l'ultimo tratto con la favola di Meleagro e l'episodio della morte di Creonta nel XXI del Morgante.

 

 

 


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