Vittorio Imbriani
La novellaja fiorentina
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XVII. IL RE AVARO.

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XVII.

 

IL RE AVARO.[1]

 

C'era una volta un Re avaro. E da quanto era avaro, aveva sola una figlia e la teneva su nelle soffitte, perchè nessun la vedesse. Era avaro e non voleva dar la dote. Viene un assassino a Firenze, e per l'appunto di faccia all'osteria dove si fermò, stava questo Re. Cominciò ad interrogare: - «Chi c'è?» - «C'è un Re, così e così; avaro, che tien la figliola nelle soffitte.» - Che ti fa questo assassino? La notte, quando gli è verso le dodici, va su' tetti alla finestrina, dove l'aveva la camera della principessa, e l'apre. Questa ragazza la cominciò a urlare: - «A il ladro! a il ladro!» - Corre la servitù e vede la finestra serrata, perchè lui, l'assassino, la riserra. - «Maestà si sogna:» - dicono i servitori - «chè non c'è nessuno. Lei sogna assolutamente.» - La mattina la racconta a suo padre questo fatto. - «Eh, l'avrà sognato!» - dice il Re. La seconda sera, all'istess'ora, il ladro apre la finestra per entrare in casa e andare da questa ragazza. E lei urla: - «A il ladro! a il ladro!» - Eccoti, corre i servitori e vede la finestra serrata. - «Ma, signorina, lei armeggia. Non vede che la finestra è serrata?» - Dice: - «No, che io ho veduto un omo.» - Ma, poerina, non gli credevano.[2] Eccoti la mattina gnene dicono a il Re e lui dice: - «Mettetegli insieme la sua damigella.» - La sua cameriera, dirò. Eccoti la sera all'istess'ora il briccone che apre. La cameriera gli dice: - «La non urli! zitto, signorina, zitto!» - Ma quando gli è quasi entrato in casa, cominciano a urlare: - «A il ladro! a il ladro!» - Lui sente due voci in vece d'una, va via e lascia la finestra aperta; non ha tempo, gua', di serrare. Sopraggiungono i servitori che vedono la finestra aperta, che dicono: - «Gli è vero, poerina, che ci è il ladro. Ha ragione, ha ragione, gli è vero.» - La mattina dicono a il Re questo. Dice: - «Murate subito la finestra.» - Eccoti murata subito la finestra! Il briccone, la sera, all'istess'ora, tasta e sente per tutto muro. Batte l'acciarino, accende e vede tutto murato. - «Briccona! me la pagherai!» - dice. Lascia passare un tempo e poi si veste tutto da gran signore e chiede d'andare a udienza. Questa udienza fu fatta passare subito da Sua Maestà. E lo interroga del più, del meno, se gli era scapolo: - «Ma Lei» - dice - «è giovinotto; oppure è ammogliato?» - Questo assassino discorreva tanto bene e tanto bono, che faceva questa interrogazione per dargli la figliola, questo Re. Dice: - «Io son giovinotto. Pagherei» - dice - «per trovare una ragazza per bene, che non avessi tanti capricci. E sa» - dice - «sono uno che non cerca di dote, io, perchè io non ne ho bisogno. Voglio solo una bona ragazza.» - Questo avaro che sente che non prende dote, dice: - «Anch'io ho una figlia, che so che io pagherei per maritarla bene a un giovane come Lei. La vol vedere?» - dice. - «Volentieri» - dice l'assassino - «la vedrei.» - Maestà manda a chiamare la figliola, e lei la vien giù. - «Che comanda, signor padre?» - «Lo vedete quel giovane?» - «Sissignore» - la dice. Fa il complimento. - «Lui» - dice Maestà - «vi chiede in isposa.» - Eh! poerina, la non aveva volontà. La non dice sì, no, gua'! Gli domanda se lui gli chiedeva qualcos'altra, e torna nelle sue stanze la ragazza, piangendo. Maestà dice all'assassino: - «Le piace?» - «Eh» - dice lui - «Molto mi piace. Io sono contentissimo. Quando è contento Lei, è accomodato tutto.» - «Dunque» - dice il Re avaro - «domani l'aspetto a pranzo da me.» - Questo va via, e Maestà manda a chiamar la figliola: - «L'avete veduto quel giovane? Vi ho detto anche dianzi che quello ha da essere il vostro sposo.» - «Signor padre» - dice la ragazza - «Lei non ha che una figlia sola. La marita senza sapere chi è chi non è. Potrebbe anche essere un....» - fa come dire: un briccone. - «Chetatevi!» - dice il Re. - «Vi do uno schiaffo.» - dice alla figliola. Questa poera ragazza la va via piangendo, pensando al suo stato. Eccoti il giovane la mattina viene a pranzo, questo briccone. - «Io» - dice - «ho di bisogno di sollecitare questo matrimonio. Io, che vole? è tanto che manco, ho bisogno di spicciarmi tornando al mio posto. Quando Lei vole, anche se La vole nella settimana, io sono pronto.» - Concludono le nozze; per farla più breve, si sposano; e l'assassino si trattiene altri due o tre giorni, non più. Il padre per regalo gli una scatola di gioje grande, ma grande, alla figlia a titolo di regalo. Un Re, avere una figliola sola e dargli solo una scatola di gioje! E va a accompagnarla per un pezzo di strada: gli sposi va accompagnare. E poi li lascia: - «Addio!» - «Addio!» - come si fa, - «A quando ci rivedremo.» - Quando gli è andato via, l'assassino comincia a imboscare; entrare nel bosco, ecco. Quando gli è nel bosco, gli pare d'essere sicuro, gli dice: - «Briccona, ti ricordi quelle sere, che io veniva alla finestrina, e te urlavi: A il ladro! a il ladro!» - «Sì, me ne ricordo» - dice. - «Smonta di carrozza» - dice - «Ora è il tempo della mia vendetta. Spògliati!» - Sta poerina si sarà levata la veste; ma lui volle che si spogliasse ignuda, ignuda. - «Tutta nuda, tutta nuda!» - dice. Quando la fa ignuda, prende due pentole di lardo e l'unge tutta da capo a piedi; la lega a un albero e gli mette la scatola con le gioje a' piedi, con le mani legate da dietro e i piedi incrociati: messi in croce, si direbbe. E gli dice: - «Come io torno, se non trovo quella scatola, ti butto in mare.» - Come volete che la facesse? era tutta legata. Quest'albero rimaneva sul mare; c'era tutt'i bastimenti. La principessa comincia a fare col capo, così, de' cenni; a chiamare. - «Guarda!» - dice uno di quelli del bastimento - «Non c'è gente che chiama ?» - «Sì, sì, ci sono, altro!» - S'avvicinano i pescatori e vedono questa bella donna, in croce, legata a quest'albero: - «Poerina!» - dicono - «in che maniera?» - «Scioglietemi» - dice - «e buttatemi nel mare e questa scatola prendetela per voi.» - «Poerina, no certo!» - dicono. La sciolgono; e siccome erano mercanti di cotone, levan tutte le balle e la metton dentro nella barca; mettono tutte le balle sopra e vanno via. Venghiamo a questo briccone che torna addietro, e trova l'albero senza più nulla. Vede questa nave: dietro gli va questo assassino a questa nave. E senza dir nulla, prende le balle e le butta nell'acqua, le principia a buttar via. - «Signore, ma cosa cerca Lei? ci manda in rovina, buttando via tutto questo cotone. Se Lei ha qualche sospetto, prenda la spada e buchi, gua'! Non Le si può dir altro.» - «Avete ragione!» - dice. Prende la spada e buca. E siccome il cotone rasciuga, la spada veniva pulita; bucava il cotone, feriva la principessa, ma veniva pulita. - «Eh» - dice - «perchè a quell'albero laggiù, vedete? aveva lasciata roba e non l'ho trovata più.» - Rispondono questi barcaroli: - La vede quella nave laggiù, laggiù? Codesta s'è veduta fermare.» - «Grazie!» - e va via l'assassino e corre dietro a quell'altra nave. E questi seguitano ad andare verso la città. Quando furono liberi, levano tutte le sue balle e trovano la donna svenuta e ferita in una mano. Gli dànno da riaversi. Lei la insiste sempre: - «Buttatemi in mare! Buttatemi in mare!» - Ma loro non gli dànno retta. La levano nella barca e ragionano tra di loro. - «Io» - dice uno - «Io, senti, ho la moglie giovane; a casa io non la posso portare. Gua' tu sai, le donne!...» - Quello che era vecchio, dice: - «La prenderò io e la porterò dalla mi' moglie.» - E così fanno. Si dividono le gioje a metà: il vecchio va a casa con questa ragazza, e quest'altro va dalla su' moglie. Il vecchio picchia alla casa; e la moglie tira e la gli apre. Va su e gli racconta il caso. - «Poerina!» - dice la moglie - «ti si piglierà pur troppo per nostra figliola! La si prenderà e la si tratterà per bene, poerina! La mi dispiace tanto!» - Dice questa ragazza: - «Voglio una grazia: non voglio veder nessuno omo di nessuna sorte, levato mio padre.» - Così chiamava ora quel vecchio che l'aveva presa. - «Come questo è, state sicura» - dice - «che da noi non ce ne vien davvero degli òmini.» - «Eh!» - dice - «queste gioje, bisognerà venderne qualcheduna, perchè io voglio fare dei lavori. Voglio che ne vendiate, e mi compriate tanta seta da ricamo.» - Questa vecchia la vende le gioje, la compra questa seta e la gnene porta. E la principessa fa un bellissimo tappeto, ma tanto bello che non ci poteva esser niente di più bello. Quando la lo ha fatto, vicino a questa vecchia ci stava un Re; pochi passi distante, via. - «Voi» - dice la ragazza - «dovete andare da Sua Maestà a sentire se compra questo tappeto.» - La vecchia prende questo tappeto e lo porta da Sua Maestà. E così Sua Maestà dice: - «Ma chi li fa questi bei lavori?» - Risponde: - «Una mia figlia.» - «Ah, una vostra figlia? È impossibile! Uhm! Sarà, gua'!» - Compra il tappeto e i quattrini. E la vecchia viene a casa e porta i quattrini. E la principessa dice: - «Sapete? domani, dovete comprarmi dell'altra seta con questi quattrini.» - La mercantessa gli compra la seta e la giovane fa un bellissimo parato da stanza. Quando gli è finito, la vecchia la lo porta a questo Re. Sua Maestà domanda: - «Ma quella donnina, ditemi la verità; chi li fa questi lavori?» - Dice: - «Mah! mia figlia!» - Il Re l'intendeva male, ma con tutto ciò bisognava che gli credesse, quando diceva ch'era sua figliola. Gli i quattrini e la li porta alla ragazza. - «Sapete» - dice - «domani dovete con tutti questi quattrini, comprarmi73 dell'altra seta parimenti.» - La vecchia gli compra la seta; e lei, la fa tutto un finimento di seggiole, di poltrone, di tutto ciò che occorre in una camera. Quando l'ha finito, la lo manda a Sua Maestà. Maestà non gli sta a dire: - «Di chi sono i lavori?» - sta zitto. Paga la vecchia e poi gli va dietro, dietro, dietro. Quando questa donna è per serrar l'uscio, gli spinge l'uscio: entra dietro. Questa vecchia comincia a urlare, a urlare. La giovane, che sente urlare, la crede che sia l'assassino, la va sotto il letto e si sviene. Vien su la vecchia e cerca per tutto: non c'è la ragazza; e il Re con lei. - «Oh!» - la urlava - «Lei che n'è stato causa!» - Guardano sotto il letto e la vedono svenuta. La tirano fori, la rianno: e lei apre gli occhi. La vede che non è l'assassino e lei gli ritorna il sangue in calma; perchè lei la paura non era altro che dell'assassino. Sua Maestà gli domanda: - «E perchè vi viene di queste mancanze?» - «La mia disgrazia» - la dice. Vede Maestà questa gran bella ragazza, questa bella donna, se ne innamora. E tutti i giorni andava in questa casa per far visita. Dunque, facendo il discorso corto, la chiede in isposa[3]. I vecchi dice: - «Maestà, nojaltri siamo poera gente....» - «A me non importa. Io voglio la ragazza, non voglio i denari.» - Lei risponde: - «Io son contenta, ma voglio una grazia da voi.» - La ragazza dice così. - «E quale?» - dice il Re. - «Io non voglio veder òmini, levato che voi e mio padre, di nessuna sorta.» - «Come questo è,» - dice Maestà - «io sono contento. Io vi concedo la grazia.» - Da dice: - «L'è tanto bella! a me non mi par vero, che non voglia veder òmini!» - Eccoti, concludon le nozze, senza invito, senza nulla: la giovane non voleva veder òmini: fu quasi uno sposalizio occulto. Lascio dire i sudditi! che si sente lo sposalizio e la Regina non si vede da nessuna parte. Chi: - «Ha sposato un cane.» - Chi: - «Ha sposato una scimmia.» - Chi una cosa, chi un'altra. Tutti i signori della corte, parimenti un bisbiglìo. Lui fu costretto a dirgnene alla moglie: - «Tu bisogna che mi faccia una grazia: ma bada a non dir di no. La corte c'è tutto un bisbiglìo: se io ho preso un cane, se io ho preso una scimmia. Tu, bisogna che tu ti faccia vedere ai sudditi, che tu decida un'ora.» - Allora lei la dice: - «Dalle undici a mezzogiorno, starò sul terrazzino.» - Figuratevi le genti, da dove le venivano: da tutte le parti! Messi i bandi alle cantonate, dicevano - «Qui ci ha da essere una meraviglia.» - Eccoti, questo briccone d'assassino capita ; legge: dalle undici al mezzogiorno la Regina su il terrazzino: - «Oh!» - dice - «vo' vederla.» - Si mette sotto il terrazzino e la riconosce, e fa così: si morde il dito e gli accenna così minacciando. Quella lo riconosce e la va giù svenuta e si sfragella tutta la testa. La vecchia che sente questo colpo e la va di e trova la ragazza che tutta sanguina, chè s'era spaccata la testa, principia a urlare. Corre il Re e vede questo spettacolo. La dice la vecchia al Re: - «L'avete avuta di farla vedere, l'avete avuta! Cos'avete ricavato di farla vedere a il pubblico? La vedete come gli è questa donna?» - Corre subito i medici; con balsami; gli fasciano la testa e la mettono a letto; quattro o cinque giorni, la stava benino. Venghiamo a questo briccone, che lascia passare un tempo: poi si veste da signorone e chiede di andare a udienza. L'udienza principia: mille discorsi, mille complimenti a il Re. Per la quale questo Re rimane incantato e gli dice se vol restare a mangiare una zuppa da lui. - «Volentieri» - dice - «accetterò.» - Costui accetta e stanno a pranzo tutti contenti. La Regina no, perchè la non voleva veder òmini. - «Via» - dice il Re - «si trattiene molto Lei qua?» - «Oh!» - dice questo assassino - «un pajo di settimane.» - «Se mi favorisse tutti i giorni di venire a mangiare una zuppa con me, Lei mi farebbe un gran regalo.» - Quando gli è il quarto giorno che andava a pranzo da Maestà, questo briccone ordina non so quante botti di vino tutte alloppiate; e bottiglie, una quantità d'ogni qualità, tutte alloppiate; e le manda al palazzo. Figuratevi la servitù che vede tutte queste botti di vino! Quando gli è l'ora del pranzo, che a tavola c'era bottiglie e loro ci avevano le botti: bevi ch'io bevo! Sua Maestà non fece che bere, ma una cosa da non la si poter credere, più di mezze le bottiglie. Quando è finito il pranzo, questo assassino vien via come le altre sere: - «Addio a domani; addio a domani.» - Quando gli è una certa ora, chi casca di qua, ubbriaco; chi casca di : tutte le guardie erano alloppiate e Sua Maestà gli era più di loro: lo misero in letto. Venghiamo a questo briccone. Entra nel palazzo e vede una guardia qui addormentata, tutti addormentati. Va nella stanza su lesto, gira la gruccia e apre. Dice lei: - «Chi è?» - la Regina. Risponde l'assassino: - «Sono io, briccona.» - Gli dice: - «Adesso è il tempo della mia vendetta. Esci dal letto e va a prendere un bacino d'acqua, quando io mi laverò le mani intinte nel tuo sangue.» - Lei la va : - «Marito mio, svegliati!» - la dice e lo scote. E lui, il briccone, risponde: - «Eh! non si sveglia, no.» - Manda poi per un asciugamano, poi per non so che altra cosa. E lei sempre: - «Marito, svegliati!» - Ritorna al letto e dice: - «Marito, svegliati!» - Ed esso si sveglia. Il marito si sveglia: - «Cosa c'è?» - «Vedete quel briccone? Mi vole ammazzare.» - Prende la pistola che avea sotto il capo, la scarica e ammazza l'assassino.[4] - «Oh, ora poi» - dice lei - «potrò vedere quanti òmini che voi volete. Ma abbiate da sapere che ce ne sono quarantatrè altri di questi assassini;» - la gli dice - «e stanno nel tal posto, nella tal città.» - Subito Maestà spedisce i soi òmini, quattro e sei, per questo posto ch'ella avea detto. Quattro e sei? Altro! anche un centinajo; tutta la gendarmeria, i soi scudieri: spedì tutto. E li chiapparono pari pari, credetemi, tutte quelle genti. Chi squartato, chi bruciato, chi strascinato a coda di cavallo di questi assassini. Entrorno nel palazzo di questi assassini; presero le ricchezze, che non si può credere, erano più ricchi di Sua Maestà, e le portorono via e diedero foco al posto: - «Perchè se ve n'è rimasto qualcheduno» - dicevano - «sien bruciati.» - Andarono al palazzo del Re, portando tutta la ricchezza che non si dire. Gli raccontano che hanno fatta l'ubbidienza e poi hanno bruciato il palazzo degli assassini. E allora lui gli dice: - «Bravi, io vi ringrazio!» - E avrà loro fatto il regalo, questo è certo. La Regina, lei allora con tutti que' signori, non aveva più paura e andava in società come tutte le altre. La chiede un giorno una grazia a Sua Maestà: - «Voglio una grazia. Voglio che si faccia un invito a tutti i Re del mondo, tutti tutti, che vengano a pranzo da noi; e chi non interviene, pena la testa.[5]» - Bisogna venire, delle teste ce n'è una. Poi la Regina la ordina che per suo padre, questo Re avaro, tutto fosse fatto sciocco; le pietanze tutte sciocche. E poi fossero rizzate le forche. Tutti i Re, tutti tutti intervennero, ed anche questo padre di lei; ed era fatto tutto sciocco per lui. Tutti dicevano: - «bravo» - qua - «bravo» - - «bravo il coco!» - Questo vecchio dice: - «Tutti dicono: bravo il coco! ed io sento ogni cosa sciocca!» - «Sciocco come Lei, signor padre» - la gli risponde, la Regina. - «Io, padre?» - dice lui. - «Lei padre» - dice - «che non aveva che una figlia. Lei si ricordi, che per la sua avarizia la maritò ad un assassino. Ed io» - dice - «debbo a questi vecchi che mi hanno salvata la vita. Venga con me!» - Lo conduce dove c'era le forche: - «Guardi» - dice - «quel che c'è per Lei!» - «Oh me lo merito!» - dice il padre, vedendo le forche. Quando gli è il boja per dare il colpo, dice questa Regina: - «Ferma! gli sia perdonato!» - Potete credere, gli vien giù quel povero vecchio, gli s'attacca al collo, baciandola e chiedendole scusa e perdono. E lei gli disse: - «Alzatevi, io vi ho perdonato.» - Ma il colpo di questo vecchio, tra i rimorsi, tra la paura, tra la vecchiaja, campò pochi mesi. Venne a morte e lasciò tutta la ricchezza alla figliola. Figuratevi che ricchezza la fu quella! Se ne vissero e se ne godettero, e in pace sempre stettero.

 

 

NOTE

 

[1] Cf. Pitrè (Op. cit.) XXI. Lu spusaliziu di 'na Riggina c'un latru.

 

[2] Vedi Straparola, notte III, fav. IV. - «Fortunio, per una ricevuta ingiuria, dal padre e dalla madre putativi si parte, vagabondo capita in uno bosco dove trova tre animali, dai quali per sua sentenza è guiderdonato: indi entrato in Polonia giostra, et in premio Doralice figliuola del Re, in moglie ottiene.» - L'aquila, il lupo e la formica avevan dato a Fortunio di prender le forme loro a piacimento: - «Doralice mesta si ridusse sola in una cameretta non meno ornata che bella, e stando così solinga con la finestra aperta, ecco Fortunio il quale, come vide la giovane, fra disse: Deh, che non son io aquila! appena egli aveva fornite le parole, che aquila divenne. E volato dentro della finestra e ritornato uomo come prima, tutto giocondo, tutto festevole se le appresentò. La Pulcella, vedutolo, tutta si smarrì e (sì come da famelici cani lacerata fusse) ad alta voce cominciò gridare. Il Re, che non molto lontano era dalla figliuola, udite l'alte grida, corse a lei; e inteso che nella camera era un giovane, tutta la zambra ricercò; e, nulla trovando, a riposare se ne tornò, perciocchè il giovane, fattosi aquila, per la finestra si era fuggito. fu sì tosto il padre postosi a riposare, che da capo la Pulcella si mise ad alta voce gridare, perciocchè il giovane come prima a lei presentato si aveva. Ma Fortunio, udito il grido de la giovane e temendo della vita sua, in una formica si cangiò e nelle bionde trezze della vaga donna si nascose. Odescalco, corso a l'alto grido della figliuola e nulla vedendo, contro di lei assai si turbò; et acramente minacciolla, che se ella più gridava, egli le farebbe uno scherzo che non le piacerebbe. E tutto sdegnato si partì, pensandosi che ella avesse veduto nella sua immaginativa uno di coloro, che per suo amore erano stati nel torneamento uccisi.» - Vedi anche Pitrè (Op. cit.) XIX. Lu Scavu. Cf. Con la Novella II della Giornata IX del Pecorone: - «Arrighetto, figliuolo dello Imperadorenascoso dentro un'aquila d'oro, entra in camera della figliuola del Re d'Araona, e fatto accordo con essa la porta per mare in Alemagna. Guerra che ne avviene e la pace fatta per ordin del papa sotto pena d'escomunicazione.» - Da dove comincia: - «Il Re di Raona ebbe una figliuola, la quale avea nome Lena, giovane, bella, vaga, costumata e savia, ecc.» - fino a: - «ed essendone certo, se ne tornò al padre, e dissegli che il figliuolo dello Imperadore era venuto in persona e furata l'avea.» - Cf. per questo ascondimento nella statua d'un uccello l'annotazione alla stanza XIII del II Cantare del Malmantile, che rimanda al II Canto del Mambriano e per altri particolari della fiaba, vedi l'annotazione alla stanza VI del medesimo Cantare del Malmantile. Nel quale, in fin de' conti, si narra l'origine del proverbio È fatto il becco all'oca, onde si hanno varianti senza numero.

 

[3] È notevole la somiglianza di questo episodio con la Istoria bellissima di Angelina Siciliana, la quale amava grandemente Gesù Cristo, dalla quale sentirete, che per vivere castamente vendè fino i suoi capelli, quali furono poi la sua fortuna (Bologna. Alla Colomba).

 

La madre co' capelli via andò

A veder se qualcun li vuol comprare.

Una nobil signora li guardò,

Fece sta donna avanti a se menare.....

- «Ditemi, donna mia buona ed accorta,

Questi capelli son di qualche morta?» -

 

- «No» - rispos'ella presto presto allora

- «Son d'una figlia mia, vi fo sapere,

Che tagliati se gli è, non è un'ora.

Il dir bugie a Lei non è dovere.» -

Rispose allor la prudente signora:

- «Questa vostra figliuola vo' vedere;

E con i suoi li paragonerò.

Danar quanti volete io vi darò.» -

 

 Entra  in carrozza e giunse in tempo poco

dove era la casta verginella.....

 

 Mossa a pietà la nobile signora

Non puol dagli occhi rattenere i pianti.

Comanda ai servi prestamente allora,

Che vadano a trovar vesti ed ammanti.

 

 Un nobil cavalier, magno signore,

S'ebbe di tal donzella innamorare.

Fra dispose dentro del suo core

Per propria sposa volerla pigliare.

Chieder la fece con molta prestezza:

Gli risposer di si con allegrezza. Ecc. ecc.

 

[4] La storia di Scirone ladrone, nel Canto Quinto della Rodi salvata | canti sette | del Conte e Cavaliere | Vicenzo Marenco | Opera postuma | continuata e terminata | da | Giuseppe Turletti | con gli argomenti dello stesso || Carmagnola 1833. | per i Tipi di Pietro Barbiè; corrisponde perfettamente a quest'episodio. La racconta in Isciro, Gualtieri, signore di essa isola.

 

Fama è, ch'allora empio ladron tenesse

Coteste spiagge, che Sciron fu detto,

Che quanti il caso qui sospinto avesse

Stranieri, o il vento ad approdarvi astretto,

Con arte infame ad albergar traesse

Entro solingo ed esecrabil tetto,

Dove sotto accoglienze amiche e liete

Poi gli ancidea furtivo all'ombre chete.

 

Finchè da' venti qui sospinto venne

L'Attico Prence domator de' mostri,

Dal Termodonte le vittrici antenne

Qui raccogliendo e i coronati rostri;

L'usato stil con esso il ladron tenne,

E a scender l'invitò sui lidi nostri,

Chè de' tesori ond'era carco il legno

D'arricchirsi fra volgea disegno.

 

A lieta mensa il traditor l'accoglie

Col fior di quella gioventude Achea;

E medicati vin con certe foglie,

Che fan stupidi i sensi in chi ne bea,

Lor versa in copia; e 'n suo pensier già coglie

Dell'opra il frutto scelerata e rea,

Che pensa in breve a cupo sonno e forte

Veder ciascuno in braccio e darlo a morte.

 

Ma sua ventura vuol, che l'amorosa

Amazone bellissima Reina,

Del giovinetto vincitor già sposa,

a bevanda a cibo il labbro inchina.

E allor ch'immerso in cupo sonno ei posa

Sola desta rimane a lui vicina,

Mentre, caduto già 'l diurno lume

Steso ei giacea su le malfide piume.

 

A par del Duce in stupida quiete

Giacean profondamente i Greci avvinti;

E l'infame ladron tra l'ombre quete

Già tutti avea que' sventurati estinti;

Anzi già ne veniva alle secrete

Stanze, u' chiudea dal sonno i lumi vinti

Il buon Teseo fra l'amorose braccia

Della Reina, ch'al bel sen lo allaccia.

 

E gode, il suo giungendo al caro viso,

Pascer di dolce fiamma i suoi sospiri,

E sulle mute labbia un indiviso

Spirto raccoglier ne' di lui respiri.

Quando sul limitar, di sangue intriso,

Avvien che l'empio penetrar rimiri,

Al chiaror, che dagli astri entra nel tetto:

Ma vario dal pensier seguì l'effetto.

 

Chè la vigile Amazzone coll'asta,

Che sempre a canto era tenersi avvezza,

Il ferro del ladron, che già sovrasta,

Qual può meglio ripara, e 'l colpo spezza;

Quel vinto dal timor già non contrasta.

Ma fugge, e sol ne' piè pon sua salvezza;

Scuote il Campion la spaventata donna,

Ch'alla scossa e al rumor più non assonna.

 

E fatto a un cenno della fraude accorto,

Stringe il brando e 'l fellon premendo segue,

Benchè per calle essendo obbliquo e torto

Oltr'ei trascorso, di lontan l'insegue.

Alfin lo scorge omai vicino al porto,

E tanto va, che par ch'ormai l'adegue,

E almeno di salir la nave u' solo

Potria salvarsi, l'impedisce a volo.

 

Vista de' fidi suoi sul lido infando

Avea intanto la strage il Greco Duce,

E contro il traditor di rabbia urlando

Come fiamma nel volto arde e riluce;

L'incalza a tergo con l'invitto brando,

Che gli folgora in man di mortal luce;

Tutta la notte il segue e già ne preme

L'orme coll'orme e d'afferrarlo ha speme.

 

Per pian, per colle, per dirupo e balza,

Quel fugge, e l'ali al piè timor gli porge,

Qual capriol, cui leopardo incalza,

Di vallone in vallon s'abbassa e sorge,

Sopra una costa, che stringendo s'alza

In erto scoglio alfin, e in mar ne sporge,

Sale e si trova in sul finir del monte

Con Teseo a tergo e 'l mar d'intorno e a fronte.

 

Tocca la cima e d'alcun lato scampo

Più non si vede, onde giù balza e piomba,

Dov'altri scogli fanno ai flutti inciampo

E 'l lido e l'onda al suo cader rimbomba.

Giunge in vetta il guerriero in men d'un lampo

Che l'aria ancor del precipizio romba,

E lo sparso cerebro in sulle sponde

Ne vede e 'l busto volteggiar sull'onde.

 

[5] Fra' pregi della Novellaja fiorentina non può annoverarsi certo quello di dar giuste nozioni ed esatte di diritto internazionale. Pari in pari non ha imperio.

 

 

 





73 Nell'originale "comparmi". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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