Vittorio Imbriani
La novellaja fiorentina
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XXII. GLI ASSASSINI

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XXII.

 

GLI ASSASSINI.[1]

 

 

C'era una volta un omo, che aveva tre figliole. Quando erano sulle ventitrè si affacciavano alla finestra. Passa un capo-assassino, si volta in su e vede queste belle ragazze. Che ti fa? Vede una bottega di faccia: - «Scusate, chi sono quelle tre belle ragazze?» - «Sono figliole d'un poero sarto» - gli dicono - «che sta quì in questa strada.» - Quest'omo va alla bottega dove gli aveva detto questo ed apre. Dice: - «Cosa mi comanda?» - Gli era un sarto; credeva, che gli portasse del lavoro. - «Quante figlie avete voi?» - dice. Dice: - «Tre, signore.» - «Abbiate da sapere, che io le ho vedute: una delle tre la voglio sposare.» - «Signore,» - dice - «Io sono un poeromo. Non gli posso dar niente di dote, di altro.» - «Io ricerco la ragazza, e non ricerco quattrini. Mi fareste il piacere,» - dice - «di condurmi a casa e sapere chi di loro mi vole?» - «Volentieri.» - Chiude la bottega e va a casa e picchia. - «Oh dio!» - dicono le ragazze - «gli è il babbo con un signore.» - Tirano la corda. Vengon su. Le ragazze dicono: - «Felice giorno;» - fanno de' complimenti tanto a suo padre, che a questo signore. Il babbo, le fa mettere a sedere e dice: - «Vedete, ragazze; questo signore, una di voi vi vole per isposa.» - Dice la minore: - «No.» - Quell'altra anch'essa: - «No.» - Ma la maggiore dice: - «Lo prenderò io, quando sia contento.» - «Io» - dice allora questo capo-assassino - «ho bisogno di sbrigare questo matrimonio, perchè ho bisogno di tornare nel mio posto.» - In quattro o sei giorni si concludono le nozze: si fa presto! Partono gli sposi; e lei dice addio a il padre, alle sorelle; lui lascia una borsa di quattrini; e vanno via. E principia a imboscare. La dice: - «Che c'è molto ancora per arrivare alla casa?» - «Eh» - dice - «c'è molto ancora; c'è un pezzo; c'è un pezzetto.» - Eccoti arrivano alla casa. - «Evviva gli sposi! evviva gli sposi!» - Tutti quelli altri assassini con le fiaccole. Una tavola apparecchiata: bocca mia, che vuoi tu? che ci era d'ogni ben di dio. Quando ebbero cenato: - «Abbiate da sapere, che noi siamo mercanti. Voi siete padrona di tutto tutto tutto il palazzo, qualunque cosa; ma si vole una grazia da voi.» - «E quale?» - dice. - «Che noialtri si va fori, si va via; e si rimane otto, dieci giorni. Quando noi si picchia, che voi ci aprite subito: questa è la grazia. Ma voi potete dormire in queste notti.» - Dunque, la notte, partono questi assassini; e rimane questa ragazza e comincia a guardare dappertutto, a piangere. La si accorge, che era fra gli assassini. La dice: - «Poero mio babbo! poere mie sorelle!» - E il sonno, piangi piangi, il sonno la prende. Eccoti gli assassini; e lei la dorme, non sente. Che ti fanno? buttan giù la porta. E il marito va su e l'ammazza. E dice ai servi, questo capo assassino: - «Portatela di , dove c'è tutti gli altri morti.» - La mattina viene a Firenze questo capo-assassino e picchia alla casa delle sorelle e d'il padre: - «Uh» - dicono le ragazze - «gli è il nostro cognato, babbo.» - Tiran su la corda: - «Come la sta la nostra sorella?» - «Uh! non la riconoscereste: l'è ingrassata da non lo poter credere. Anzi la l'ha detto, una di voi la vi vol lassù, per otto o quindici giorni.» - Dice la maggiore: - «Anderò io, verrò io.» - «Oh!» - dice - «venite quella, che volete.» - Partono e via, verso casa. Principia a imboscare, come fece all'altra. E la ragazza dice: - «Quanto c'è per arrivare a casa?» - «Eh» - dice questo assassino - «c'è tempo ancora!» - «Eh» - dice - «mi par mill'anni di veder mia sorella.» - Arrivano a il palazzo: - «Evviva! Evviva!» - tutti, che vengon giù a scortare. Dice la ragazza: - «Ahn, dov'è la mia sorella?» - Lei, la cerca subito la sua sorella. - «Ehm!» - dice il capo-assassino - «mangiate ora, la vedrete poi la sorella.» - «No, davvero, ch'io non mangio, s'io non la vedo, io.» - «Ebbene, conducetela a veder la sorella.» - Accendono una torcia, aprono la stanza mortuaria: - «Ecco, la vedete? E così sarà di voi, se non ubbidirete ad aprirci quando noi si torna. Ci dovete aprir subito, altrimenti finirete come quella. Stanotte noi si parte e si starà sette o otto giorni. Quando si torna, bisogna che ci aprite subito; altrimenti vi si ammazza.» - E vanno via. La notte partono; e rimane questa ragazza a piangere. Più che la piangeva, non dormiva, si disperava. E quando la notte lei doveva star desta, lei si addormiva. Eccoti gli assassini; picchiano e nessuno risponde. Dicono al marito: - «Non l'ammazzare, poerina; che vòi!» - «Eh!» - dice - «ce n'è un'altra!» - Va su e l'ammazza senza far discorsi. Giorni dopo, viene a Firenze; e va dalla cognata e dal sòcero; e picchia: - «L'è quì mio cognato; ma non ha la sorella, babbo.» - Dice: - «No?» - Risponde la ragazza: - «No.» - e tira su la corda[2]. Dice l'assassino: - «Dunque; vo' avete da sapere....» - «Oh, le sorelle?» - «Vo' non le riconoscereste. Le sono ingrassate tutt'e due, così; specie la me' cognata! E vole, che la veniate anche voi; e poi tornerete tutt'e due insieme.» - Dice il padre: - «È impossibile!» - Dice: - «Io non posso rimaner solo!» - «Ed io Le prenderò una donna, che La custodirà.» - Prende una donna; e gli lascia uno sborso di quattrini a il padre e gli procura una donna per custodirlo. E va via con questa ragazza; e arrivano a il palazzo: - «Evviva! Evviva!» - Figuratevi, che festa facevano gli altri assassini. Ma lei, la dice: - «Dove sono le mie sorelle, dove sono?» - «Eh mangiate! alle sorelle c'è tempo.» - «Eh non mangio, quando non le ho vedute.» - «Ebbene, conducetela a veder le sorelle.» - Aprono la stanza mortuaria: e gli dice: - «Vedete le vostre sorelle? Perchè nojaltri gli si diceva, che ne aprissero, e loro dormivano, noi le si è ammazzate.» - «Bravi!» - dice - «Hanno fatto bene! Briccone, a non obbedì' questi signori!» - «Abbiate da sapere, che fra due giorni nojaltri andremo via; e si starà dieci, dodici giorni. Quando si torna, bisogna che ci aprite subito, altrimenti vi si ammazza. Dormite il giorno innanzi.» - Eccoti, vanno via dopo due giorni; e la ragazza riman sola. L'accende un lume e va alla stanza mortuaria a vedè' le sue sorelle. Piangeva: - «Poerine! se potesse vederci nostro padre!» - Piangeva; e mentre piange, sente fare: - «Uhuh! Uhuh! Uhuh!» - un rammarichìo. Lei crede che sien le sorelle, che si lamentano; tira fori tutti i morti, e tira fori un figliolo del Re, che era ferito, ma non era morto. La lo tira fuori, la lo mette sopra un materasso, con i balsami la gli medica le ferite; e poi, la gli fa delle gelatine, dei brodi, e per . La rimette tutti i morti adagio dentro la stanza; e poi, trascina il malato adagio adagio e lo mette in una stanza in disparte, che nessuno poteva trovar questo ferito, che lei l'aveva girata la casa e sapeva quel che si faceva. La gli medica le ferite, la gli prepara quel brodo e poi la si mette alla corda.[3] Eccoti, gli assassini picchiano. Lei lesta la tira la corda: - «Ah brava!» - Chi la pigliava di , chi di , regali! - «Voi siete brava! Vedete, quando siete brava, noi come si tratta?» - «Ma sicuro! Non si prendono gl'impegni piuttosto!....» - Lei, la mangia tutt'allegra. - «Ma» - dice il capo-assassino - «fra qualche giorno noi partiremo e si starà anche da venti giorni fòri.» - «Quanto mi rincresce!» - dice: - «Son sempre sola!» - «Eh, ma non pensate! Quando si torna, si starà anche un mese con voi!» - E così loro vanno via; e lei la corre subito da il figlio del Re: e lo trova, che stava veramente benino, ecco. Dopo due tre giorni, dice il Re: - «Morti per morti, qui bisogna scappare.» - Che ti fanno? vanno giù alle scuderie e prendono i meglio cavalli e si caricano di quattrini, di robe, figuratevi! caricano questi cavalli e vanno via. - «Morti per morti, gua'!» - dice. E principiano a imboscare; perchè, per volere, che andassero a casa, bisognava passa' pel bosco; con una paura potete credere! Ma finiscono il bosco liberi. Vanno al palazzo del Re. I servitori dice: - «Se non fosse morto il nostro padrone, si direbbe che gli è lui.» - S'avvicina al palazzo e i servitori lo riconoscono: urli! - «Ah! Ecch'il nostro padrone! ecch'il nostro padrone!» - La Regina, che giusto la non faceva che[4] piangere, la sente quest'urli; la corre a vedere, la riconosce il figliolo. Vi lascio dire! dalla contentezza la si sviene. Quando s'è riavuta, gli dice: - «Questa è la mia sposa!» - e gli racconta tutto il caso, com'era stato. - «Oh!» - la madre. - «Lo credo poerina, ve lo meritate pur troppo!» - Dunque seguono, per far più breve, le nozze: loro penan poco a sposarsi, si sposano, via. E lasciamo a questi, che stanno in festa; e venghiamo agli assassini. Gli assassini, picchia picchia, uh! nessun risponde. Dice un di quegli: - «'Un l'ammazzare, sai, poerina?» - Dice quello: - «Io non l'ammazzo, cheh! cheh!» - Buttan giù la porta; vanno su; e chiama chiama, nessun risponde. Non c'era, gua'! Principiano a girare il palazzo, vanno alla stanza mortuaria e principiano a cavar tutti i morti: e vedono che manca il figliolo del Re. - «Ah briccona! ora ti s'è trovata dove siei! S'è scoperto! col figlio del Re!» - Dice il capo-assassino: - «Acchiappate un orso ed ammazzatelo!» - Quando l'hanno ammazzato, gli levan la pelle; e l'assassino con tutt'arme si fa metter dentro a questa pelle, cucito, che paja un orso vero. E gli dice: - «Portatemi alla piazza del Re. Quando Maestà mi vorrà comprarmi, chiedetene una gran somma.» - Vanno sulla piazza e si metton fermi sulla piazza; e quest'orso, scherzi, ma una cosa che sorprendeva, ecco, una meraviglia! Dice la servitù: - «Maestà, La s'affacci alla finestra, La venga a vedere, che degna cosa, che è questa!» - Maestà s'affaccia; e vede quest'orso, che.... non era possibile, ecco, le maniere che faceva quest'orso. Gli dice a' servitori: - «Domandate quel che vole. Quel che vole, vole; chè io lo voglio comprare.» - Eccoti i servitori: - «Dite, galantomo, lo vendete quest'orso?» - «Nossignori, io non lo posso vendere, su questo ci campo.... Altro che con una gran somma!...» - Così i servitori vanno da Maestà e gli dicono: - «Lo vende, ma con una gran somma.» - «Voglia quel che vole, io lo voglio comperare.» - E l'assassino gli chiede cinquanta o sessanta scudi, ora non mi ricordo. E il Re gli i quattrini; e i servitori prendon l'orso. Figuratevi lo scherzo, che gli faceva a il Re questa bestia... Ma non si pol credere: faceva apposta lui, avete inteso? E Maestà dice: - «Chiamate la Regina, che venga a vedere la compra che ho fatta!» - I servitori gnene dicono. Essa risponde: - «Dite a il Re, che se vol bene a me, ammazzi l'orso. Se poi vol bene all'orso, io me ne vado.» - Eccoti i servitori gli portano l'ambasciata: - «O L'ammazza l'orso, oppure la Regina se ne va.» - Potete credere, il dolore che gli ebbe Sua Maestà a dire che gli aveva da ammazzar questa bestia: - «Poerino!» - gli diceva all'orso il Re - «Ah quanto son dispiacente! eppure, t'ho da fare ammazzare. Tra poche ore tu hai da esser morto! Il dovere gli è verso la moglie e non verso te.» - Quando sono le ventitrè, eccoti i maniscalchi e ammazzan l'orso; i maniscalchi quelli di mercato, che ammazzan le bestie, i macellari. Quando gli è morto, allora Maestà manda a dire alla Regina, se ora la può venire di qua a vederlo almeno da morto, se non l'ha voluto veder vivo. Lei la risponde: - «Nossignore, che non ci verrò, fino che non è sparato.» - Ritornano i servitori: - «Maestà, la Regina non voi tornare, altro che quando sarà sparato l'orso.» - «Poerino!» - fa Sua Maestà - «ancora sparato, tu vedi!» - Lo fa sparare e ci trovano questo assassino con tutte le qualità dell'armi più peggiori.[5] E la Regina, la viene allora senza esser chiamata: - «Vedete, ch'è due volte» - la dice - «che v'ho salvata la vita? Voi non li conoscevi, perchè rimanesti ferito; ma io li conosco appieno, mentre che (sapete) mi trattenni tutti quei giorni, che io vi medicava. Dunque in quel posto, che noi siamo partiti, ce n'è rimasti altri trentadue: questi bisogna di spengerli.» - Vanno lassù quelli comandati da il Re e li chiappan caldi, caldi. A forza di cannoni, di fucilate, chi bruciato, morirono tutti tutti tutti. Presero tutte le ricchezze, che potete considerare! Danno foco a il posto e vengon via, e portan tutta questa gran ricchezza a il Re. La Regina fa ricerca di suo padre: gli era vecchio, vecchio, ma gli era vivo. La gli racconta tutto il caso delle sorelle, di lei; quel che l'ha patito. Suo padre pianse, potete credere! Lei, lo fece il primo signore del palazzo. Se ne vissero e se ne godièdero, ed in pace sempre stiedero.

 

Stretta la foglia sia, larga la via,

Dite la vostra, chè ho detto la mia.

 

 

NOTE

 

[1] La fiaba della presente raccolta, intitolata Le tre fornarine, è una variante di questa, che va pure confrontata con quelle intitolate L'Orco ed Il contadino che aveva tre figlioli, nonchè, per alcuni punti, con l'altra intitolata Il Re avaro. Vedi Gonzenbach (Op. cit.) X. Die jüngste klüge Kaufmannstochter. Pitrè (Op. cit.) XXII. Li sette Latri, ecc.]

 

[2] Si abbia sempre presente la costruzione delle case fiorentine, che accennammo in nota all'Uccellino, che parla.]

 

[3] In altre versioni, il Principe è ben morto e la giovane il risuscita o con un unguento miracoloso, che i suoi padroni posseggono, oppure anche con un'erba di strana virtù il cui uso le è stato insegnato da un uccello. Era difatti un tempo credenza generale, che esistesse un'erba con la potenza di risuscitare o di risanar le ferite. Brunetto Latini dice nel Tesoro: - «Rigogolo è un uccello de la grandezza del pappagallo, et volentieri usa ne' giardini et ne' luoghi freschi et inarborati; et chi vae al nido loro et tronca la gamba ad uno de' figliuoli loro, la natura gli tanta conoscenza, che gli va per una erba, et portala al suo nido, et la mattina li truova l'uomo sani. Et simigliantemente, se l'uomo lega bene li suoi pulcini, l'altro li truova isciolti, non sarebbeno stati legatifortemente. Et non puote l'uomo saper con che erba elli li guarisce, con che ingegno li scioglie.» - Vedi anche in Pitrè (Op. cit.) il conto XI. Li tri belli curuni mei; e, nella Posillechejata del Sarnelli, il conto I. La pietà remmonerata: - «Pececca pe' compassione menaje 'na savorra sopramano; e pe' bona fortuna cogliette lo vozzacchio e le fece cadere la palommella da le granfe. La quale, caduta 'ncoppa a 'na troffa d'erva, a malappena la toccaje, che subeto, fatte quatto capotrommola  e brociolejata 'no poco 'nterra, sse ne tornaje a bolare bella e bona, comme se maje fosse stata scannarozzata.» - Con la stessa erba la Pacecca risuscita il figliuol del Re di Campochiaro, che se la sposa; e poi il cognatuzzo, del quale le veniva a torto apposta l'uccisione. Questo racconto del vescovo di Bisceglie ha infiniti punti di contatto, anzi è tutt'una cosa in fondo, col conto CXII del Pitrè (Lu tradimentu), il quale ne è una trasformazione religiosa. (Così il divo Antonino Pio è divenuto in Sorrento Sant'Antonino; così Ercole Ostiario divenne San Cristoforo, ed i miti pagani si trasformarono in leggende cristiane e da noi e dovunque). Altro riscontro a La pietà remmonerata può leggersi nella prima dispensa della Scelta di Curiosità Letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII, edita dal librajo Gaetano Romagnoli, in Bologna. È la Storia d'una donna, tentata dal cognato, scampata da pericoli, ritornata in grazia del marito per sua castità e divozione, che il Zambrini ricavò da un codice miscellaneo dell'Università bolognese, segnato di n.° 158.]

 

[4] Che, nel significato di se non; è gergo infranciosato moderno; ma in buona lingua non si dice.]

 

[5] Vedi, nel Pecorone, la Novella Prima della Giornata Vigesimaquinta: - «Democrate di Ricanati delibera di dare una caccia di animali selvaggi, a certi signori forestieri. Muore di questi un'orsa grossissima. Alcuni masnadieri fanno disegno di rubare Democrate. Un di loro si veste della pelle di essa; e, messo dagli altri in una gabbia, si presenta a Democrate, fingendo che gli mandi quest'orsa un albanese suo amico. La notte introduce i compagni. Al romore accorre un fante, e va a raccontare che l'orsa è fuori della gabbia. È uccisa, e allor si scuopre l'infelice masnadiero.» - Questa novella, Ser Giovanni Fiorentino la desunse dall'Asino d'oro di Apulejo. (Vedi, nella versione del Firenzuola, il Libro IV).]

 

 

 


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