Vittorio Imbriani
La novellaja fiorentina
Lettura del testo

XXV. ORAGGIO E BIANCHINETTA

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

XXV.

 

ORAGGIO E BIANCHINETTA[1]

 

C'era una volta una signora, che aveva due figli: il maschio si chiamava Oraggio, la femmina Bianchinetta. Da ricchissimi, che erano, per alcune disgrazie divennero poveri. Fu deciso che Oraggio sarebbe andato a servire; come infatti s'impiegò in casa di un Principe come cameriere. Dopo diverso tempo, contento il Principe del suo servigio, lo cambiò e lo mise a pulire i quadri della sua quadreria. Fra le varie pitture un ritratto di donna bellissimo formava continuamente l'ammirazione di Oraggio. Spesse volte il Principe lo sorprese ammirando il ritratto. Un giorno gli domandò per qual ragione passava tanto tempo innanzi a quella pittura? Oraggio rispose che quel ritratto era la vera immagine di sua sorella. Essendone lontano da diverso tempo, sentiva il bisogno di rivederla. Il Principe rispose che non credeva che quella pittura somigliasse alla sua sorella, giacchè aveva fatto cercare e non era stato possibile trovare nessuna donna, che a quella somigliasse. Inoltre soggiunse: - «Falla venire qua; e, se è bella come dici, la farò mia sposa.» - Subito scrisse Oraggio a Bianchinetta; ed essa immantinenti partì. Oraggio andò a attenderla al porto; e, quando cominciò da lontano a scorger la nave, ad intervalli gridava: - «Marinari dall'alta marina, guardate la mia Bianchina, che il sol non la tinga.» - Nella nave, dove si trovava Bianchinetta, eravi pure un'altra giovane con la madre, bruttissime ambedue. Giunte vicine al porto, la figlia dette un colpo alla Bianchinetta e la gettò nel mare[2]. Giunte, Oraggio non sapeva riconoscere la sua sorella; e quella brutta ragazza si presentò dicendo che il sole l'aveva così tinta, che non si riconosceva più. Il Principe rimase sorpreso a vedere quella donna così brutta, rimproverò Oraggio e lo cambiò di ufficio; lo mise a guardare le oche. Tutti i giorni conduceva al mare le oche. E tutte le volte che le portava al mare, Bianchinetta usciva e le ornava di fiocchettini di diversi colori. Ed esse tornando a casa dicevano:

 

Crò! crò!

Dal mar venghiamo,

D'oro e perle ci cibiamo.

La sorella d'Oraggio è bella,

È bella come il sole:

Sarebbe bene al nostro padrone.

 

Domandò il Principe ad Oraggio, come mai le oche dicevano tutt'i giorni quelle parole. Ed esso raccontò che la sua sorella, gettata in mare, era stata presa da un pesce marino e l'aveva condotta in un bellissimo palazzo sott'acqua, ove la teneva incatenata[3]. Però, con una lunga catena, che gli permetteva di venire fino alla sponda, allorquando lui portava fuori le oche. Disse il Principe: - «Se è vero ciò che racconti, domandagli cosa ci vorrebbe per liberarla da quella prigione.» - Il giorno dopo domandò Oraggio a Bianchinetta come avrebbe potuto fare per toglierla di e condurla al Principe. Essa rispose: - «È impossibile togliermi di qua. Così almeno mi dice sempre il mostro: Ci vorrebbe una spada che tagliasse quanto a cento; E un cavallo che corresse quanto il vento. Queste due cose è quasi impossibile trovarle. Tu vedi dunque, per me è destino, che debba rimaner sempre qua.» - Tornando Oraggio al palazzo, riferì la risposta di sua sorella al Principe. Ed esso fece di tutto, e riuscì a trovare il cavallo che correva quanto il vento, e la spada che tagliava quanto cento. Andarono al mare: trovarono Bianchinetta, che li attendeva. Li condusse nel suo palazzo. Con la spada fu tagliata la catena. Montò sul cavallo e così potè liberarsi. Giunti al palazzo, il Principe la trovò bella quanto il ritratto che guardava sempre Oraggio, e la sposò. L'altra brutta fu bruciata in mezzo di piazza con la solita camicia di pece; e loro vissero contenti e felici.

 

Stretta la foglia, larga la via,

Dite la vostra, chè ho detto la mia.

 

 

NOTE

 

[1] È Le doje pizzelle, trattenimento VII della giornata IV del Pentamerone - «Mariella, pe' mostrarese cortese co' 'na vecchia, have la fatazione; ma la Zia, 'mmediosa de la bona fortuna soja, la jetta a maro, dove la Serena la tene gran tiempo 'ncatenata: ma, liberata da lo frate, deventa Regina e la zia porta la pena de l'arrore sujo.» - Cf. Gonzenbach (Op. cit.) XXXIII. Von der Schwester des Muntifiuri e XXXIV. Von Quaddaruni und seiner Schwester. Pitrè (Op. cit.) LIX. La figghia di Biancuciuri e LX. Ciciruni. Nel XIX Canto del Morgante l'episodio della Principessa Florinetta di Belfiore, figliuola di Filomeno, ha qualche tratto lontanamente simile con altri della nostra fiaba. La quale del resto è da ravvicinarsi al Luccio della presente raccolta ed alle sue varianti.]

 

[2] Vedi un breve componimento, firmato S. S. (Dottor Savino Savini) pubblicato nel numero 50 (15 Gennajo 1843) del periodico La Parola, che stampavasi in Bologna. Sarà forse opportuno trascriverlo, perchè il dir Vedi, trattandosi d'una bazzecola pubblicata più di trentatrè anni fa su d'un giornalucolo, potrebbe sembrar caricatura al lettore. Raccolta qui, avrà più lunga vita, chè le effemeridi sono effimere per propria natura ed intrinseca, mentre i libri durano un po' più. Intorno ad esso componimento, mi scrive Rinaldo Koehler: - «Die von Ihnen mitgetheilte Arpa stupenda ist eine treue Uebersetzung eines von Rask aufgezeichneten faröischen Liedes, welches in der Ursprache und in schwedischer Uebersetzung (als Seitenstück zu einem schwedischen Volksliede) mitgetheilt ist in E. G. Geijer's und A. A. Afzelius' Svenska Folk-Visor (Stockholm, 1814. I, 86) und danach zuerst ins Deutsche übersetzt sich findet in G. Mohnike's Volkslieder der Schweden (Berlin, 1830. I, 194). In neuester Zeit ist es auch von Rosa Warrens wieder in' s Deutsche übersetzt worden.» -

 

 

POESIA IN PROSA

(Imitazione)

L'ARPA STUPENDA

 

Vanno due cavalieri a una casa, cercando una sposa; di due sorelle dimandano la piccola e la maggiore disprezzano.

La più giovane sa filar lino, e la grande sa guardare li porci.

La più giovane può filare dell'oro, la grande non può filare la lana.

Dice la grande alla piccola sorella: - «Andiamo in riva del mare.» -

- «Che faremo noi alla riva del mare? Nulla dobbiamo portarci.» -

- «Già somigliamo e diverremo così bianche del pari.» -

- «Oh! s'anco ti laverai ogni giorno, bianca non diverrai più di quel, che dio ha voluto. E quand'anche ti facessi bianca più della neve, non avresti l'amante mio.» -

Siede la piccola sorella in una roccia, la grande la spinge nel mare. La poverina innalza le braccia.

- «Mia cara sorella, ajutami!...» -

- «Io non ti ajuterò, se non prometti cedere a me il tuo fidanzato.» -

- «Se potessi, il farei: ma di lui non posso decidere. Cercherò doni e un amante per te.» -

Soffia terribile Ostro e spinge il corpo nel mare.

Corre il vento sulle onde cilestri e torna il corpo alla riva. Già soffia levante e spinge il corpo verso la prua d'un battello.

Due pellegrini raccolgono il cadavere.

Compongono un'arpa delle braccia della donzella; e formano corde co' biondi capegli suoi.

- «Andiamo alla casa vicina, ivi si fan delle nozze.» -

Pongonsi appresso alla porta, e s'ode l'arpa.

Dice la prima corda: - «Mi è suora quella sposa.» -

E la seconda: - «Uccidevami gelosa.» -

E la terza: - «Dello sposo fui morosa110.» -

Si fa rossa, come bragia, la fidanzata: - «Questo suono mi fa male.» -

Si fa rossa, come sangue, la fidanzata: - «Non vo' più sentire quell'arpa.» -

E dice la quarta corda: - «Oh quest'arpa non riposa.» -

La fidanzata si corica in letto.

L'arpa suona più forte, e il cuore della giovine scoppia.]

 

[3] Qui ci vorrebbe la descrizione del palagio sottomarino. I lettori se la fingano con la scorta, che fa di quello di Nettuno il Marini nell'Adone:

 

Strana di quella casa è la struttura,

Strano il lavoro e strano l'ornamento.

Ha di ruvide pomici le mura,

E di tenere spugne il pavimento.

Di lubrico zaffiro è la scultura

De la scala maggior; l'uscio è d'argento.

Variato di perle e di conchiglie

Azzurre e verdi e candide e vermiglie.

 

 

 





110 Morosa qui per amorosa, alla veneziana; e non già femminile di moroso, da mora, indugio.



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License